Shopping: il mercato dello sperma
Di Irene Bertoglio (del 23/05/2007 @ 15:51:47, in Bioetica, linkato 1852 volte)
Nel numero di marzo 2007 di «Flair» viene riportato un servizio intitolato: «donne che decidono di fare un figlio da sole (trovando il donatore su internet)». La storia racconta di una trentottenne che, desiderosa di avere un figlio e non avendo trovato l’uomo “giusto”, si rivolge ad un sito internet per acquistare lo sperma da un donatore. Il primo colpo di scena lo si ha leggendo che questi «donatori di sperma, proprio come i cuori solitari, devono rispondere a miliardi di domande: salute, educazione, valori, hobby, passioni…» in modo tale che la “single mother” possa sceglierne uno di suo gradimento. Nel nostro caso, l’aspirante madre in questione, ha privilegiato un uomo «molto richiesto» al quale erano rimaste soltanto «otto unità» per un prezzo di 3100 dollari. Ciò non sembra però sconfortarla, dato che nell’articolo è specificato che la donna «si è messa in lista d’attesa per comprare altro sperma dello stesso donatore non appena fosse stato disponibile». Ma vediamo come funziona questa organizzazione “Single mothers by Choice”. Il sito «ospita undici liste e donne di tutto il mondo lo affollano per scambiarsi consigli ed informazioni o per vendere le fiale di sperma avanzate. Tre quarti di loro hanno scelto di concepire con un donatore come fanno le coppie lesbiche da anni: perchè l’adozione è lenta, costosa e spesso negata ad un single, anche se in America è legale. Mentre acquistare sperma su internet non è molto diverso dal comprare un paio di scarpe». Jane Mattes, sessantaduenne fondatrice dell’associazione, afferma: «se oggi dovessi scegliere tra diventare mamma o trovare l’uomo ideale, sceglierei di diventare mamma. Per trovare un uomo c’è tutta la vita». Ora, tralasciando una domanda che tuttavia sorge spontanea su quanto pensi di aspettare ancora la signora Mattes nel crearsi una famiglia, vista la sua non più giovanissima età, un’altra questione sorge all’orizzonte. Perchè l’impressione è proprio quella che, nel desiderio sfrenato ed ingovernabile di queste donne che pretendono un figlio a tutti i costi, sembra ch’esse dimentichino che dare la vita non è un gioco senza conseguenze e che un bambino non è frutto della soddisfazione di un capriccio momentaneo ed egoista. Una posizione irresponsabile come quella sopra descritta non tiene conto di quale sia l’ambiente propizio per la crescita di un figlio, ossia quello costituito da un padre e da una madre. Se anche quest’ultima, dopo aver partorito, si trovasse un compagno, egli non sarebbe comunque il padre del nascituro e ciò creerebbe un clima ancor più confuso per il bambino. Il racconto di «Flair» prosegue con il caso di una donna, Daniela, che ha scelto come donatore non un anonimo, ma «una persona conosciuta, un suo caro amico omosessuale». Sì, perchè la maggior parte dei bambini nati con questa pratica non conosceranno mai il loro vero padre, padre che avrà figli sparsi per il mondo, figli che non sapranno nemmeno della loro esistenza. Che fortuna, invece, il futuro figlio dell’intervistata, che potrà conoscere suo padre, un omosessuale! L’asserzione della stessa giornalista è sintomatico, infatti scrive: «Lo SVANTAGGIO è che il donatore noto avrà sempre pieni diritti parentali… ma questo non preoccupa Daniela: lei vuole che suo figlio abbia un padre, anche se parziale». Dopo numerosi tentativi falliti di inseminazione “amichevole”, Daniela si rassegna all’idea del donatore anonimo: «ne aveva anche trovato uno che le piaceva […] ha aperto il computer per mostrarmi il prescelto. Carnagione olivastra, media altezza, capelli folti. Aveva origini cinesi, peruviane e italiane». Il tutto viene ulteriormente condito dalla convinzione della donna: «ho sempre creduto nel multiculturalismo. E mischiare le razze è più sano: hai presente l’intelligenza dei bastardini? E poi è cattolico come me»… Il donatore viene dunque scelto sulla base dei propri gusti personali: «la maggior parte delle madri single spiega così la scelta dell’uomo che dovrà dare metà DNA al loro bambino: “Mi è sembrato davvero speciale…”»! Sarà questo bambino il dono di un gesto d’amore, del calore di due corpi che si uniscono per dare alla luce una nuova creatura? No, egli sarà il semplice prodotto di una pratica fredda, disumana, di una situazione folle in cui sembra di assistere ad un concorso di bellezza in cui il vincitore avrà come premio la possibilità di procreare… Ma nel momento in cui queste madri si accorgono dell’errore di crescere da sole il proprio figlio cosa succede? «Voglio che mio figlio, che è già senza padre, abbia almeno un fratello»: ed ecco un nuovo tentativo di restare incinta grazie alla stessa originaria pratica. «Voglio un figlio, voglio che mio figlio, voglio…»: è davvero lecito permettere alla nostra società di continuare su questa falsa riga di buonismo pretenzioso senza mai far fronte ad alcuna responsabilità? Pur sapendo che avrebbe dovuto crescere il figlio in maniera solitaria, la madre ha anche il coraggio di puntare il dito contro: «quando è nato Christopher, per settimane siamo rimasti letteralmente soli, nessuno si faceva vivo». E le delusioni di Single mothers proseguono con la storia di «una certa Q. che ha raccontato del colpo al cuore che ha provato scoprendo che il suo uomo aveva generato ventuno bambini, comprese quattro coppie di gemelli. E non era finita, dato che era ancora attivo. Nessuno di questi bambini oggi ha più di tre anni, e le loro famiglie – quattro coppie lesbiche, tre eterosessuali e sei madri single – una volta superato lo shock hanno creato una lista tutta loro, dove regolarmente aggiornano le foto dei bambini (tutti biondi e molto somiglianti) e si scambiano notizie». Tutte queste persone vorrebbero incontrare il comune donatore e «se non succederà», dice Q, «non so cosa potrò rispondere a mio figlio quando ad un certo punto mi chiederà “chi è mio padre?”».