Quando la notte, l'ultimo film di Cristina Comencini, è un lungometraggio molto intenso, sotto diversi aspetti.
La pellicola, tratta dall'omonimo libro scritto dalla regista stessa, narra la storia di Marina (Claudia Pandolfi), una giovane madre che decide di andare a trascorrere un mese di vacanza con il proprio bimbo di due anni in un paesino alle pendici del Monte Rosa. Qui Marina prende in affitto un appartamento che appartiene al cupo e schivo Manfred (Filippo Timi).
I giorni trascorrono lenti e le difficoltà emergono prepotenti:il piccolo Marco non dorme, è sempre in movimento e Marina non ce la fa più a stargli dietro. Finché una notte accade un "incidente", che solo grazie al veloce intervento di Manfred non si conclude in tragedia; la guida alpina, infatti, sentito un colpo provenire dal piano superiore, intuisce essere successo qualcosa di strano e sfonda la porta dell'appartamento dove alloggiano Marina e il bambino. Entrato in casa, trova il piccolo Marco steso per terra, ferito alla testa e grondante di sangue, mentre Marina lo fissa immobile da dietro una porta. Per fortuna, dopo una corsa all'ospedale, il bambino se la cava con sei punti alla nuca.
Da questo episodio ha inizio un'indagine reciproca tra Manfred e Marina: il primo perché vuole capire cos'è realmente successo nella casa la notte dell'incidente; la seconda perché ha intuito la difficoltà di intessere un rapporto sereno con le donne che ha Manfred e vuole capirne il motivo...
Questo film della Comencini, che è stato fischiato e bistrattato dalla critica alla Mostra del Cinema di Venezia, ha i suoi pregi e i suoi difetti.
Partendo da questi ultimi, è innegabile che la pellicola presenti dei toni forse troppo esasperati, oltre a soffermarsi ad indagare il rapporto madre-figlio per troppe scene consecutive, scadendo nella ripetizione. Inoltre, la parte finale del film appare totalmente superflua: dopo quindici anni Marina ritorna all'ombra del Monte Rosa per rivedere Manfred e i due - da tutti questi anni reciprocamente innamorati - si abbandonano ad una scena di sesso francamente banale e gratuita.
Da un punto di vista prettamente cinematografico, quindi, forse la critica di Venezia aveva le sue buone ragioni per non apprezzare il film, che comunque per i "non intenditori" rimane molto godibile.
Ma quel che più importa è sottolineare l'indiscutibile pregio di
Quando la notte : il tema che va ad indagare.
La pellicola, infatti, tratta la questione della maternità, ma lo fa in maniera inusitata: per una volta, a prevalere sul grande schermo non sono le super-mamme lavoratrici, sempre sorridenti e in perfetta forma, bensì sono i dubbi e le difficoltà (fisiche e psicologiche) che una madre prova nei confronti del proprio bambino.
La maternità è un istinto insito in ogni donna, nonostante le femministe cerchino di convincersi e di convincerci del contrario. Esse sono per natura portate ad accogliere, a donarsi, a prestare attenzione agli altri: se si negano queste loro prerogative, si annulla l'essenza stessa della femminilità, che differenzia il gentil sesso dagli uomini.
Sostenere questo, però, non equivale a dire che essere madri sia una passeggiata. Parlo da figlia, ma penso di non sbagliare. Quando nasce un bambino la vita cambia: i ritmi si modificano, i pensieri sono sempre e primariamente rivolti a lui, il rapporto di coppia si trasforma... E anche quando i figli crescono e diventano autonomi, rimangono comunque sempre un punto fisso nella mente di ogni madre.
Su questa considerazione ben si inserisce un altro aspetto, anch’esso molto importante, che nel film della Comencini viene solo abbozzato: per essere madre è necessario (e non opzionale) avere accanto un uomo che sia nel contempo marito e padre. E questo sia per il bene della donna – che in questo modo non si trova a dover affrontare in totale solitudine l’impegno,estremamente bello, ma faticoso,di dover crescere un figlio –, che per quello del bambino – che ha bisogno di crescere con due figure di riferimento -, che per l’uomo stesso, che non può che essere arricchito dall’esperienza di essere padre.
E’ inutile negare che uomo e donna siano diversi; essi però sono complementari, e l’uomo ricopre un ruolo fondamentale nel supportare la maternità della propria moglie e nel contribuire all’educazione della prole. Dove non arriva un genitore, arriva l’altro; se vi sono degli aspetti in cui un componente della coppia ha maggiori difficoltà, sa che non è solo ad affrontarli, eccetera.
Insomma, sarà pur vero che molti aspetti della maternità sono esclusivamente femminili (la gravidanza, l’allattamento…), ma i figli si fanno in due proprio perché accanto ad un buona madre è necessario che vi sia un padre e un marito. Per il bene di tutti.