Animali: compagni dell'uomo, non loro simili
Di Giulia Tanel (del 02/11/2011 @ 07:00:00, in Cultura e società, linkato 1614 volte)
Secondo i dati diffusi dall’Eurispes per il 2011, il 41,7% degli italiani possiede un animale domestico, e tra questi ben il 48,4% è rappresentato da cani, mentre nel 33,4% dei casi si tratta di un gatto.
E’ oramai acclarato che gli animali svolgono molto spesso una funzione positiva, sia sotto il profilo psicologico, che fisico, che sociale. Pensiamo alla Pet-Therapy, o alla compagnia che una bestiolina può fare ad un anziano o ai bambini, o ai cani-guida per i ciechi, e quant’altro.
Fin qui, dunque, nulla di strano. Avere un animale domestico e esserci affezionati è un costume sempre più diffuso e ha i suoi innegabili risvolti positivi.

Come affermava già Aristotele nell’Etica Nicomachea, però, bisogna sempre seguire la teoria del giusto mezzo, evitando di cadere negli estremi, che sono nocivi sia nell’eccesso, che nel difetto.
Questa definizione aristotelica pone quindi chiaramente in evidenza come, nella fattispecie degli animali domestici, non sia corretto né bastonarli (estremo per difetto), né innalzarli allo status di esseri umani (estremo per eccesso).

Nella società odierna, tuttavia, la virtù del “giusto mezzo” è sempre più spesso confinata negli angoli e stiamo assistendo ad una dilagante umanizzazione degli animali domestici. Ne sono un segnale lampante, per esempio, il numero sempre più alto di persone che seguono la dieta vegetariana, oppure il fatto che in sempre più città d’Italia accanto al cimitero per gli uomini vi sia anche quello per cani e gatti, con tanto di lapide con inciso il nome, la data di nascita e di morte e i fiorellini freschi a fungere da decoro. Trattamento, questo, che viene però negato ai feti abortiti, che vengono gettati via come "rifiuti ospedalieri"...

Un indice ancora più diretto e significativo di questa sorta di innalzamento delle bestioline da compagnia è dal nome che viene loro dato.
Fino a pochi anni fa non si andava oltre ad appellativi quali: Pallina, Lassie, Pongo, Virgola, Red… Oggi, invece, vi è la tendenza a dare a cani e gatti nomi umani.

Recentemente, passeggiando con il mio cagnolino (di nome Briciola), mi è capitato di scambiare due parole con il padrone di un altro cane, che ho così scoperto chiamarsi Emma - un derivato del tedesco Amme, che propriamente significa “nutrice” - e che fu il nome di una santa vissuta nell’anno mille.
In un’altra occasione, invece, ero ferma in attesa vicino ad una giovane donna, la quale ad un certo punto si era messa a chiamare: “Giulio, Giulio”. Pensando che stesse richiamando il suo bambino, avevo volto lo sguardo intorno per accorgermi, con profondo sgomento, che Giulio non era altro che un cane. Chissà cosa avrebbe detto il permaloso Giulio Cesare al mio posto! Per non parlare del fatto che San Giulio I fu un papa di Santa Romana Chiesa…

Come sottolinea Rosanna Brichetti Messori in un articolo apparso sul numero di settembre-ottobre 2011 de Il Timone: “[…] se ci guardiamo attorno, notiamo che non sempre è facile raggiungere con queste bestie e bestiole un rapporto che sia davvero equilibrato”. Non bisogna ignorarli e trascurarli, sottolinea l’Autrice, ma neanche idolatrarli, “[…] perché esiste pur sempre una chiara differenza tra persone e animali, una precisa distinzione che va mantenuta”.
E questa diversità deve essere ben chiara a partire dai nomi: un animale, per quanto amabile e bello sia, non merita il nome che è stato di un santo o di una santa.
La mia piccola Briciola, che sta dormendo accanto a me mentre scrivo, se potesse capire sarebbe d’accordo: i santi sono i grandi rivoluzionari della storia, agli animali lasciamo il compito di farci un po’ di compagnia e, tutt’al più, di farsi coccolare.