In Romania, divorzi low-cost
di Mario Palmaro
Basta prendere un aereo per la Romania e spendere 1500 euro. La coppia stipula un contratto di affitto di tre mesi, che serve per ottenere la residenza, e a quel punto avere il certificato di divorzio dal tribunale rumeno è un gioco da ragazzi.
E’ il divorzio “low cost”, cui anche le coppie italiane possono accedere sfruttando le norme europee, che rendono il documento valido in tutti i Paesi che aderiscono all’Unione. Ovviamente la stampa laica e illuminata, Corrierone in testa, gongola: è tutto un elogio per le magnifiche sorti e progressive del divorzio rapido nella terra del Conte Dracula. Ed è insieme un grido di dolore per i tempi “lunghissimi” che invece tocca attendere in Italia per disfare un matrimonio. Perché un Paese è tanto più civile quanto più in fretta riesce a cancellare il vincolo matrimoniale.
Inutile stupirsi di un simile tracollo mentale delle nostre elite culturali: decenni di società divorzista hanno instillato l’idea che il matrimonio sia una burletta, con il risultato che oggi è indubbiamente più facile “licenziare” la moglie o il marito, piuttosto che un proprio dipendente. Con il risultato che il contratto di lavoro dipendente è un vincolo morale e giuridico più forte del matrimonio. La follia al potere.
Ma la vicenda dei divorzi super veloci dice però anche dell’altro: induce a riflettere, prima che sia troppo tardi, sulla tragica debacle della sovranità nazionale che i meccanismi perversi dell’Unione Europea sta determinando nella più totale indifferenza dei cittadini. Spesso l’opinione pubblica si accapiglia intorno alle scelte del parlamento, alle leggi da varare, alle decisioni del governo di turno, nella fiducia un po’ ingenua che poi sia davvero l’Italia a darsi delle leggi e a farle – più o meno – rispettare. Ma se una coppia può, con un viaggetto in Transilvania e una delega a un avvocato, ottenere la distruzione giuridica del matrimonio aggirando allegramente le norme in vigore in Italia, costringendo il nostro Paese a digerire che questo atto abbia piena dignità giuridica; beh, tutto questo significa una sola cosa: e cioè che la sovranità nazionale è morta e sepolta.
Ovviamente, le implicazioni di questa deriva sovrannazionale sono molteplici, e toccano i più diversi profili giuridici: ad esempio, la nostra Corte costituzionale rischia di essere contraddetta e ridimensionata dai pronunciamenti della Corte di Giustizia europea. E l’interpretazione dei nostri principi costituzionali potrà essere piegata nella direzione ritenuta più coerente con le istanze politiche e ideologiche della vecchia e disperata Europa. In questo modo, i temi eticamente sensibili – dall’aborto all’eutanasia, dalla fecondazione artificiale al testamento biologico, dalle unioni di fatto all’adozione delle coppie gay – verranno surrettiziamente sottratti alle decisioni dei parlamenti nazionali, e ridefinite dagli euro burocrati che decidono in nome del popolo senza aver ricevuto alcun mandato elettorale.
Vero è che, sul piano formale, gli stati nazionali hanno conservato precise prerogative. Ma sotto il profilo sostanziale le cose sembrano ben diverse. E ogni divieto contenuto nelle leggi in vigore potrebbe a questo punto essere aggirato con un viaggetto all’estero o con una sentenza creativa. Così, ognuna delle nostre nazioni rischia di essere – è il caso di dirlo – vampirizzata dall’Unione Europea. Però, bisogna ammetterlo, in modo rapido e indolore, come si conviene alle nazioni davvero “civili”.
da www.labussolaquotidiana.it
19-10-2011
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