La nostra epoca conserva uno spirito, un sentire comune? Dove risiede la tradizione di un popolo, lo stigma che lo caratterizza e lo distingue? Siamo ancora in grado di riconoscere la nostra specificità?
L’uomo è il vertice della creazione o il prodotto casuale dell’evoluzione ? In esso possiamo riconoscere il luogo dove la volontà creatrice di Dio ha condensato il fine dell’intero progetto?
A leggere i commenti rilasciati dal naturalista Mario Tozzi, in un’intervista apparsa in un inserto del quotidiano l’Adige, le cose paiono volgere in una direzione sostanzialmente materialista.
Tozzi è stato interpellato con riferimento alla mostra “ La scimmia nuda”, inaugurata presso il museo di scienze naturali a Trento.
La mostra – che resterà per molti mesi a Trento – vuole ricollocare l’uomo nel proprio habitat più opportuno, ovverosia la natura, mostrando come lo stesso non sia nulla più di una scimmia evoluta.
I curatori della mostra però si sono ben guardati dal formulare simili affermazioni, piuttosto hanno strizzato l’occhio ad una nebulosa dimensione umanistica -oltreché scientifica- cui la mostra si richiamerebbe. A conforto di tali propositi sui giornali abbiamo letto di come la teologia cattolica più avveduta riconosca senza alcun problema l’ipotesi evoluzionistica.
Quando però sentiamo dichiarazioni di questo tipo: “ l’uomo non è il vertice dell’evoluzione…. egli appartiene al regno animale, quella umana non è che una specie fra le tante”- questa è grosso modo la tesi di Tozzi- allora qualche dubbio sorge. Si tratta del sospetto che dietro l’apparente neutralismo, dietro lo sbandierato rigore scientifico della mostra, si celi una sottile motivazione ideologica. Quella di ridurre l’uomo ad prodotto casuale, frutto fortuito dell’evoluzione.
Non voglio analizzare gli argomenti che i teorici dell’evoluzionismo propongono; ad essi possono essere affiancati i molti buchi e le molte lacune che caratterizzano tale teoria.
Basti qui osservare come l’idea evoluzionistica si sfaldi nel momento in cui è costretta a confrontarsi con l’origine, con la causa prima, quella causa che ha tratto il mondo dal nulla.
Non solo, se ci peritassimo di verificare quante probabilità avesse il mondo di evolvere e di strutturarsi secondo l’ordine meraviglioso che lo caratterizza, credo ci stupiremmo e considereremmo l’ipotesi del caso come assolutamente irragionevole.
Simulazioni al computer hanno dimostrato come la provabilità che il mondo abbia avuto origine dal caso, sia la stessa che la Divina Commedia derivi dal battere a caso i tasti di un computer da parte di una scimmia (Scienza e Fede mimep docete, Pessano,1995, pag.13). Persino uno studioso dichiaratamente ateo come l’astrofisico Stepen Hawking ha dichiarato: “le leggi della scienza, quali le conosciamo oggi, contengono molteplici numeri fondamentali … il fatto degno di nota è che i valori di questi numeri sembrano essere stati esattamente coordinati per rendere possibile lo sviluppo della vita” ( Dal Big Bang ai buchi neri, Bur, Milano, 1997, pag.147).
Insomma anche uno scienziato che non riconosce la presenza del creatore è costretto ad ammettere l’assoluta improbabilità di un mondo frutto del caso.
Pensiamo solamente al contenuto di una cellula vivente: 53 miliardi di molecole proteiche, 166 miliardi di molecole lipidiche, 2900 miliardi di piccole molecole, 250.000 miliardi di molecole di acqua e in più gli acidi nucleici.
E’ interessante ricordare anche le parole di un grande esperto di fisica teorica, Grichka Bogdanov : “ affinché la formazione dei nucleotidi porti per caso alla elaborazione del Dna, utilizzabile, sarebbe stato necessario che la natura moltiplicasse i tentativi a casaccio nello spazio di almeno un milione di miliardi di anni, il che è un tempo 100.000 volte superiore dell’età di tutto il nostro universo.”
Credo questi esempi siano sufficienti per allargare la nostra capacità di lettura e confronto con la vulgata materialista.
Se dunque il caso non può spiegare lo strutturarsi del mondo - posto che ci si lasci interrogare senza pregiudizio dalla ragione - esso non può neppure spiegare la varietà del creato. Negli ultimi anni tra l’altro si sono affacciati sulla scena degli studi dei pensatori liberi svincolati dalle logiche accademiche . In un bel testo dal titolo L’errore di Darwin, viene addirittura posta in discussione l’età dell’universo. L’autore sostiene infatti che le datazioni sin qui proposte spostino l’origine troppo in là nel tempo. Oltre ad un corposo insieme di dati Zillmer presenta l’impronta fossile di un dinosauro accanto a quella di un essere umano. Se le tesi di Zillmer fossero vere l’evoluzionismo verrebbe minato alla radice.
Ma per comprendere l’elemento ideologico che traspare dalle parole di Tozzi basti osservare come non abbia alcun senso asserire che l’uomo non sia il vertice dell’evoluzione; negare questo dato elementare equivale a negare che un calcolatore elettronico sia il vertice di un’evoluzione che passando per il conteggio sulle dita e il pallottoliere arriva sino a noi.
E cosa pensare dell’affermazione che vorrebbe ridurre l’uomo ad un semplice animale? Tolta l’ipotesi di Dio le cose non potrebbero essere che queste. Ma allora cos’è la mente e la produzione del pensiero che ci distingue radicalmente da ogni altro essere vivente? Come possono i materialisti credere che le produzioni dello spirito siano il frutto della materia, di reazioni biochimiche, neuronali. La materia non può “produrre che se stessa”, il cervello semmai è la struttura che rende possibile l’operare dello spirito. Nessuno di noi infatti, vedendo la luce che entra da una finestra penserà che essa sia prodotta dal vetro, piuttosto dovrà ammettere che il vetro consente alla la luce di rivelarsi e di illuminare. Come argutamente osserva l’ing. Angelo Belussi sul numero 62 del Timone- Aprile 2007- : “la mente è un’entità spirituale, cioè sfugge alla valutazione in termini di concretezza fisica, è immateriale pur essendo inserita nella realtà, che è in grado di condizionare enormemente.” La mente, detto in altre parole, si distingue dalla dimensione materiale rappresentata dal cervello, ascoltiamo ancora Belassi: “ le prerogative fondamentali della mente, ciascuna delle quali si articola in molteplici aspetti particolari, sono: l’autocoscienza; la volontà; la memoria secondaria, la capacità di utilizzo di parametri valutativi innati che le consentono di apprezzare la bellezza, l’armonia. Il cervello invece consiste in una serie di apparati di natura totalmente fisica.”
A queste considerazioni ne va aggiunta un’altra, il fatto che la mente “ha la facoltà di intervenire sugli assetti neurologici del cervello, apportando loro notevoli modificazioni anatomiche e funzionali. Questo fenomeno, definito plasticità del cervello, comporta l’instaurazione di nuove ramificazioni, aggiunte a quelle già esistenti nel patrimonio genetico originario(…). In definitiva la distinzione fra mente e cervello è paragonabile a quella tra tecnico informatico e computer o tra pilota e vettura.”
Le indagini effettuate sul cervello attraverso i moderni microscopi a scansione rilevano come non esista nulla che possa anche remotamente spiegare le funzioni della mente.
Ma vi è un fatto ancor più interessante reso noto ancora dall’ing. Belassi: “ Ci sono casi in cui una persona, per malattia o un trauma, subisce una parziale compromissione della corteccia cerebrale, con conseguente amnesia più o meno marcata; ma poi -sia pure in tempi talvolta prolungati- si verifica la piena riacquisizione della memoria. Questo fatto avviene perché alcuni moduli corticali sono in grado di procedere alla formazione di nuovi circuiti, sostitutivi di quelli distrutti”.
Questo fatto attesta che i neuroni non sono la sede della memoria secondaria, con buona pace dei materialisti; infatti il tessuto neuronale distrutto -se fosse la sede di detta memoria- dovrebbe aver smarrito i dati in esso memorizzati, in realtà come dianzi detto ciò non accade.
Dunque, pure ammettendo che all’atto originario creativo di Dio segua l’evoluzione, così come le varie scuole evoluzionistiche si sforzano di mostrare, dovremmo comunque affermare che in un dato momento di quella che noi chiamiamo storia- ma che per Dio è solo un istante- si siano create le condizioni affinché la vita potesse prendere consapevolezza di se stessa. E’ questo l’attimo in cui emerge l’uomo. Da quest’istante l’essere umano non solo pensa se stesso ma pure Dio.
Questa è la differenza abissale fra l’uomo e l’animale, con buona pace di tutti i riduzionisti che sembrano desiderare tornare alla caverna per recuperare la propria radice prima.
Non è forse oggi, particolarmente viva in tanti ambienti “progressisti” una deriva primitivista, fatta di istinto, irrazionalità, disimpegno, vivere alla giornata.
Un primitivismo che vorrebbe legittimare i rapporti plurimi fra uomo e donna, la poligamia, la pedofilia, il diritto al sesso sicuro, la droga, lo sballo, l’assenza di ogni tradizione, radice.
Si tratta della stessa linea evolutiva che esalta il diritto a non avere figli, ad una vita senza l’onere dell’impegno, del sacrifico, persino dell’amore.
E agli illuminati cattolici che scuotono indifferenti le spalle di fronte alle celebrazioni del darwinismo e dell’animalismo, cosa rispondere?
Se l’uomo non è che una bestia stupidamente consapevole di sé, vittima della propria libertà, succube della propria coscienza, che significato ha l’incarnazione?
Chi è Cristo davanti alla scimmia nuda? Valeva la pena soffrisse e morisse per un semplice primate senza futuro?
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