A quanto pare, Amanda e Raffaele non c’entrano nulla con l’omicidio di Meredith, nonostante sia stato dimostrato il fatto che hanno mentito accusando innocenti e dicendo di essere dove non erano, e nonostante il processo di Rudy Guede, condannato definitivamente per “concorso in omicidio” con sé stesso, a questo punto. Pazienza. Il garantismo è anche questo, e garantismo sia. Una parola che tuttavia, secondo l’opinione pubblica americana, gli italiani non conoscono ancora bene. Ora, può anche darsi che l’Italia abbia una giustizia ammalata – forse è addirittura moribonda, in effetti – ma viene comunque da chiedersi da che pulpito venga mai questa predica.
Per capirlo, possiamo rifarci ad un caso concreto: quello dell’italiano Chico Forti, condannato con l'ergastolo. Costui, recatosi nell’americanissima Floria per ragioni di lavoro, dopo un processo sommario durato meno di un mese – alla faccia della prudenza e del garantismo! -il 15 giugno del 2000 venne condannato in via definitiva con la accusa di omicidio. Un’accusa pesantissima ma dalle basi quanto meno inverosimili: a detta della giuria popolare della Dade Country di Miami, l’imprenditore sarebbe stato il mandante dell’omicidio di Dale Pike, figlio di Antony Pike e conoscente dello stesso Forti, a quel tempo in gravi difficoltà economiche. Strano, molto strano. Infatti, l’intero contatto tra Forti e Dale Pike - i due non si erano mai incontrati prima - è durato appena mezz’ora, e l’imprenditore trentino non aveva alcuna ragione per vendicarsi col padre del ragazzo, che, anzi, avrebbe dovuto incontrare di lì a poco, vale a dire il 18 febbraio, a New York. Inoltre - a parte il “dettaglio” dell’arma del delitto, mai trovata – c’è che nessuno ha mai provato in alcun modo il contatto tra l’assassino di Pike, tutt’ora senza nome.
Senza contare che Forti, convocato come persona informata dei fatti poco dopo l’omicidio, si recò spontaneamente e senza avvocato al dipartimento di polizia. Comportamento assai singolare, per un potenziale mandante d’omicidio. Mandante, giova ricordarlo, dell’omicidio del figlio di una persona frequentata per pochi minuti. Una tempistica surreale, degna di un boss mafioso di tutto rispetto. A questo si aggiunga la totale assenza di prove a suo carico, escluse quelle “circostanziali”, la cui inconsistenza è denunciata dallo stesso vocabolo, che rimanda a circostanze, coincidenze, ma certo non a certezze o a fatti. Non a caso, il pubblico ministero locale, Reid Rubin, impiegò ben ventotto mesi per predisporre la sua arringa finale, un vero e proprio record, tipico di chi è costretto a costruire un impianto accusatorio sulle sabbie mobili.
Paradosso finale dell’intera vicenda, fu che al processo la parola finale, anziché all’avvocato, venne concessa proprio al pubblico ministero Rubin, che fu pertanto libero di avanzare la più strampalata delle teorie, consapevole del fatto che né Forti, né il suo difensore avrebbero potuto opporre replica alcuna. E buonanotte, altro che avvocato Buongiorno. Ciononostante, dopo appena poche ore di ritiro, la Corte ha scelto di pronunciarsi. E lo ha fatto emettendo una condanna che farebbe ridere, se non fosse vera: «La Corte non ha le prove che lei sig. Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ha la sensazione, al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l’istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Portate quest’uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all’ergastolo senza condizionale».
Ricapitolando: pur in totale assenza di prove, senza che i suoi presunti complici né l’arma del delitto siano mai stati individuati ma sulla scorta di una solidissima «sensazione», la Giustizia americana è definitivamente convinta che Forti abbia ucciso il figlio di una persona incontrata mezz’ora in tutta la sua vita per poi correre, una volta convocato, al dipartimento di polizia. E gli americani vorrebbero insegnarci il garantismo? Tutto, amici, ma non quello su cui avete Forti problemi. Please.