Giuristi internazionali all'ONU: «L'aborto non è un diritto»
di Marco Respinti
Non esiste il diritto internazionale all’aborto. Nei trattati delel Nazioni Unite non c'è. C’è solo nelle parole del Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-moon e nelle voglie della potente lobby neomalthusiana internazionale che sul punto gli dà corda. Per questo oggi, 6 ottobre, al Dag Hammarskjold Auditorium del Palazzo di Vetro, a New York, viene presentato un documento di capitale importanza che riafferma e proclama il diritto alla vita di ogni essere umano in qualsiasi parte del mondo sia destinato a nascere così come sancito proprio dall'organismo che li riunisce tutti.
Sintetico, preciso, militante, il documento è stato ideato per rispondere pan per focaccia alla "cultura di morte" che oramai si è impossessata in maniera esplicita anche dei vertici degli organismi internazionali, anzitutto le Nazioni Unite. Si chiama San José Articles (perché a San José, in Costa Rica, è attiva l’Inter-American Commission on Human Rights che, con il gemello Inter-American Court of Human Rights, opera virtuosamente per il diritto alla vita) e senza esitazioni afferma l’umanità scientificamente attestata del concepito, sottolinea che pure i bambini non ancora nati sono già coperti dai trattati dell’ONU garanti dei diritti umani proprio perché esseri umani, sfida apertamente gli organismi che sostengono che l’aborto è un diritto internazionale a darne prova a norma di legge e invita altresì i governi a utilizzare positivamente i documenti dell’ONU per il fine esattamente contrario, vale a dire proteggere la vita umana nascente da chi cerca di adulterarli con l'aborto.
Uno dei cavalli di battaglia strategici di tutto il mondo pro-life è infatti il potere (ancora) rispondere a chi sostiene quel che oggi sostiene apertamente Ban Ki-Moon che nessun documento delle Nazioni Unite presenta l’aborto come un diritto della persona da sostenere e da promuovere, una conquista sociale, una ricetta per il bene comune o un grimaldello per scardinare le legislazioni nazionali vigenti. Chi dà retta a queste sirene, sbaglia, dicono i firmatari dei San José Articles, e compie abusi enormi in nome delle (troppe) carte prodotte dall’ONU laddove dette carte, per farraginose e magari volutamente confuse che siano, non li autorizzano affatto a farlo. Talora ciò avviene per ignoranza (anche ai vertici delle istituzioni giuridiche e politiche di certi Paesi), talaltra per malizia di certe organizzazioni non-governative ispiratrici e complici, ma è così che alcuni governi finiscono per ribaltare le proprie legislazioni onde accogliere un "diritto all’aborto" che sarebbe intimato dall’ONU ma che in verità così proprio non è.
Certo, l’assenza di tale esplicito "diritto" nei documenti dell’ONU non evita che l’aborto venga comunque smerciato sottobanco da troppi comprimari attraverso l’interpretazione inclusiva di linguaggi intenzionalmente ambigui ("salute riproduttiva", "diritti sessuali"), ma se non altro l’assenza di quella provvisione permette di ritorcere palmo a palmo l’arma della neolingua di orwelliana memoria contro i suoi stessi fabbricatori.
Nessun "colpo di Stato" interpretativo di alcun Segretario Generale - questo è ciò che sostengono oggi i pro-lifer proprio in casa di Ban Ki-Moon - può dunque manipolare i documenti pubblici internazionali voluti dal concerto delle nazioni del mondo.
I San Jose Articles sono del resto il fior da fiore della filosofia, della giurisprudenza e della politica pro-life. Al loro testo ha messo mano in primis Robert P. George, docente di diritto nell’Università di Princeton, "padre" di quella Dichiarazione di Manhattan che oramai è un importantissimo movimento internazionale, "filosofo di riferimento" della galassia antiabortista e già consigliere per la bioetica di George W. Bush jr.. In Italia lo si conosce per il suo recente Il diritto naturale nell’età del pluralismo (trad. it., Lindau, Torino 2011). Nell’opera di stesura dei San José Articles lo hanno quindi coadiuvato l’ambasciatore Grover Joseph Rees III, nonché Paolo G. Carozza e O. Carter Snead, entrambi docenti alla Law School dell’Università Notre Dame di South Bend, nell’Indiana, il primo tra l’altro già presidente dell’Inter-American Commission on Human Rights di San José in Costa Rica. Quindi l’opera di cesellamento del documento è passata attraverso il rigore di una trentina di esperti tra diritto internazionale, sanità e amministrazione pubblica di tutto il mondo, fra i quali David Alton della Camera dei Lord, Nicholas Windsor (il rampollo della famiglia reale britannica noto per essersi convertito al cattolicesimo e avere così messo costituzionalmente fine a qualsiasi sogno di salire al trono potesse mai accarezzare), il noto filosofo giusnaturalista John Finnis docente a Oxford, il Superiore Generale dei Knights of Columbus Carl Anderson e Giuseppe Banegiano, italiano, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Nelle prossime settimane i San Jose Articles verranno presentati ufficialmente in sedi politiche e istituzionali a Londra, Madrid, Santiago del Cile, Buenos Aires, San José di Costa Rica, Calgary in Canada, Washington, Manila, Strasburgo (una delle sedi di lavoro del Parlamento Europeo) e pure Roma.
Probabilmente si tratta della mozione che più apertamente di ogni altro testo finora varato a livello internazionale dal mondo pro-life sfida sul loro stesso terreno e attraverso i loro stessi strumenti di azione (i documenti da esse prodotti) le organizzazioni internazionali statutariamente nate e impegnate nella difesa della pace nel mondo e nella tutela dei diritti umani per tutti. Ovvero: se l’ONU volesse confutarne i contenuti, si sconfesserebbe da sé.
Link per leggere I "San José Articles": http://labussolaquotidiana.it/ita/articoli-i-san-jos-articles-3244.htm
da www.labussolaquotidiana.it
06-10-2011
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