Esiste o no? La Padania c’è davvero oppure è solamente, per dirla con Paolo Rumiz, «un assemblaggio di rumorosi e italianissimi campanilismi?» (La secessione leggera, Feltrinelli 2001, p. 23). E’ il quesito politico del momento e, secondo qualcuno, la prova di quel “ritorno alle origini” che Bossi starebbe inscenando per arginare il proprio calo di popolarità. Una trovata pubblicitaria, insomma, un viagra elettorale, ma nulla di più. D’accordo, ma la Pedemontania, più nota come Padania? E’ solo un tardo artificio del Carroccio?
La questione è piuttosto complessa, ma è da escludere che l’idea dell’esistenza padana sia farina del sacco leghista. Del resto, lo stesso articolo con cui il futuro ideologo della Lega, il prof. Gianfranco Miglio (1918-2001), nel lontano ’75 si espresse a favore dell’istituzione di una «Padania politico-amministrativa» - La Padania e le “grandi regioni”, «Corriere della Sera», 28/12/1975 – non faceva che riprendere, almeno in parte, quanto già proposto dal comunista Guido Fanti che, in un’intervista rilasciata al quotidiano «La Stampa» il 6 novembre 1975, auspicò proprio l’aggregazione di una macroregione costituita dalle cinque regioni della valle del Po, ossia Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Liguria.
Nel lontano 1728, poi, fu un certo Charles Louis de Montesquieu – che non era certo antenato di Calderoli o di Borghezio – a definire «la più deliziosa pianura del mondo» quella pianura «che si estende fra le Alpi e l’Appennino: queste due catene di montagne, unite all’inizio del Piemonte, divergono, formando un triangolo con il mare Adriatico, che ne è come la base». Tornando a tempi più recenti, la leggenda vuole che Giuseppe Babbini, il primo autista di Bossi, abbia scovato anni addietro un manuale geografico della Hoepli curato da Angelo Mariani e risalente al 1910 nel quale si parla, appunto, di “Padania”. Fondata o meno che sia quest’ultima voce, la questione si delinea come piuttosto controversa, non foss’altro perché del tutto è assente una visione univoca sui presunti confini dell’area padana.
Quel che è certo, comunque, è che se si vuole contrastare qualsivoglia secessionismo nordista, quello di evocare il sentimento dell’italianità non è certo un buon argomento. Primo perché è tutto da dimostrare che, nel resto della penisola, si sia maggiormente orgogliosi – tanto più coi tempi che corrono - di essere italiani più di quanto non lo sono i sedicenti padani della loro terra. Secondo perché la stessa unità d’Italia, come la storia insegna, non è certo stata frutto di una risposta alle istanze popolari. Anzi, nel processo risorgimentale ci si è macchiati spesso di inenarrabili violenze proprio contro di esse. In particolare ai danni dei cittadini meridionali, dai quali, guarda caso, provengono le più antiche rivendicazioni autonomiste della Penisola.
Va inoltre considerato, come ha fatto notare il sociologo Alessandro Dal Lago – anch’egli non certo sospettabile di simpatie leghiste -, che, anche se una comunità è immaginaria, nel momento in cui «viene presa sul serio dai suoi membri» questa «diventa quello che è» (Esistono davvero i conflitti tra culture? in Multiculturalismo, Il Mulino 2006, p. 71). Appare pertanto curioso che, sulla scia delle recenti dichiarazioni del Presidente Napolitano, si voglia difendere a spada tratta un’identità a tutt’oggi più virtuale che tangibile, com’è quella italiana, minacciando addirittura di arresto coloro che, per ragioni sia pure discutibili, rivendicano istanze regionali o macroregionali. Con questo non si vuole, sia chiaro, sposare aprioristicamente le tesi filo-padane, ma solo rilevare la complessità di un dibattito troppo spesso liquidato con la sprezzante e affrettata accusa di folklore partigiano.
Ora, posto che, come si è detto all’inizio, il ritorno in auge della supposta identità padana potrebbe essere squisitamente strategico, comunque la si pensi la questione va affrontata, non evitata. Anche se forse, dinnanzi a siffatte controversie, la parola magica già c'è e potrebbe essere la stessa che circolò – sottovalutata – ancor prima che l’Italia fosse unificata e che a tutt’oggi pare contenere la sola proposta governativa in grado di contemperare le molteplici istanze localistiche con la necessità di un centralismo che non disperda l’inestimabile patrimonio italiano: federalismo. Peccato che, anche sul modo di intendere questa proposta, continuino a prevalere le divisioni.