Nulla di più naturale che Berlusconi non voglia recarsi a Napoli per essere sentito come vittima-testimone di un ricatto messo in piedi dal malvagio Tarantini e dai suoi ancora più malvagi complici e che definisca la convocazione “un trappolone” architettato per interrogarlo senza l'assistenza dei suoi legali. Del resto la cosa è tanto evidente che perfino un commentatore prudente e avveduto,e certamente non berlusconiano come Antonio Polito sul Corriere della Sera del 18 settembre scrive, sia pure per sminuirne l'importanza di causa o concausa del collasso governativo degli ultimi mesi, di “trappoloni giudiziari... con tre Procure che indagano tutte sullo stesso reato e quella di Napoli nel ruolo di Maramaldo” ai danni di un premier“da 17 anni sotto assedio penale”.
In realtà se n'è accorto anche un gran numero di cittadini, senza distinzione di parte politica, tanto che i più recenti sondaggi concordano nell'individuare un calo di fiducia nei confronti della magistratura (-11% ), inferiore a quello del Parlamento (-17%), ma notevolmente superiore a quello dello stesso Berlusconi (-7%), che se la batte pressoché alla pari con Bersani e Di Pietro.
Tuttavia, se si pone la questione in termini di potere (come non sarebbe giusto, ma è inevitabile), il problema è un altro, perché la magistratura non ha bisogno per operare e mantenersi in sella del consenso elettorale, il che in linea di principio è perfettamente giusto in un corretto sistema di equilibrio dei poteri, che esclude interventi politici da parte dei magistrati. Ovviamente in un paese normale l'indice di fiducia dovrebbe essere per tutte le istituzioni (premier e magistratura compresi) molto più elevato.
Purtroppo non siamo un paese normale, ma proprio per questo la democrazia italiana non potrebbe sopportare un secondo golpe giudiziario a così breve distanza da quello di “mani pulite”. A chiunque vada attribuita la frase a suo tempo famosa, un paese democratico può venire “rivoltato come un calzino” anche più volte e restare tale a condizione però che a farlo siano gli elettori e non i giudici o, come avviene in altri contesti, i militari o i servizi segreti. Il problema è allora come evitare che un secondo golpe infligga un nuovo colpo alla democrazia italiana.
Al punto in cui siamo l'unica via sembra quella dell'accettazione di un “vulnus” minore, pur sempre una ferita alle regole democratiche, ma non così grave come sarebbe il totale sovvertimento delle scelte degli elettori: il famoso passo indietro di Berlusconi non come resa alla canea di un'opposizione completamente ignara delle regole democratiche, ma come consapevole scelta personale all'insegna di principi diversi dal “muoia Sansone con tutti i filistei”.
A torto o a ragione Berlusconi fin dal suo ingresso in campo ha ingaggiato (o è stato costretto a ingaggiare, poco importa) una battaglia contro la magistratura, dalla quale, dopo 17 anni, è uscito- inutile negarlo- sconfitto. Se conserva lucidità non può che prenderne atto, così come deve riconoscere il peso che nella sconfitta ha avuto la sua vita privata, lontanissima da quella che i cittadini, anche i più libertari e permissivi, si attendono da un uomo pubblico.
Berlusconi non accetta che la questione venga posta in questi termini e rifiuta di essere giudicato per la sua vita privata, faccia allora una riflessione all'insegna non della morale, ma della prudenza politica, che, nelle certezza degli attacchi di cui sarebbe stato oggetto se non per altro per avere fatto fallire l'occhettiana “gioiosa macchina da guerra”, avrebbe dovuto fargli comprendere, la posizione di debolezza in cui l'avrebbero messo le sue abitudini, diciamo così, festaiole.
Un vuoto di potere e una competizione elettorale in questi momenti di crisi mondiale sarebbero esiziali e ridurrebbero l'Italia peggio della Grecia. E' importante che si arrivi, nel rispetto della volontà democraticamente espressa dagli elettori, alla scadenza naturale derl 2013, ma è importante che ci arrivi l'attuale maggioranza, l'unica abilitata ad esprimere il governo, ma non necessariamente che Berlusconi conservi fino a questa data (“lontana” secondo Bossi) il ruolo di presidente del consiglio.