Tutto è scontato; nulla deve stupire: semplicemente esiste e non potrebbe essere diversamente, infatti c’è. Questa è la logica del darwinismo moderno. Nell’ultimo numero di Le Scienze (settembre 2011) un articolo importante, enfatizzato anche nell’editoriale, esemplifica molto bene questo dogma, applicandolo all’occhio, quello stupendo organo di senso che ci consente di introiettare il mondo esterno, di godere della bellezza di un volto e di un paesaggio e perfino di sorridere.
Da sempre – si sottolinea nel pezzo – l’occhio è stato presentato come un esempio di irriducibilità e quindi di creazione immediata, senza evoluzione. Lo stesso Darwin si era reso conto di questo, ma ora, dopo 150 anni di scoperte e di ricerche, la scienza biologica è in grado di dimostrare che anche l’occhio, come tutta quanta la vita, è frutto di piccole ma continue trasformazioni che, a partire da un sensore per il ritmo circadiano, è diventato quel globo mobile che tutti apprezziamo.
Come? Per effetto della selezione naturale, la solita bacchetta magica.
“Un ingegnere che avesse progettato l’occhio con questi difetti, rischierebbe di sicuro il licenziamento.” Come a dire: spazziamo subito via dal nostro orizzonte ermeneutico il grande Nemico della Scienza, Dio. Con questa perentoria certezza Trevor Lamb, ricercatore del Dipartimento di Neuroscienze all’Università Nazionale di Canberra in Australia, nell’ultimo numero di “Le Scienze” intende archiviare definitivamente e trionfalmente la tesi del “disegno intelligente” e mettere la “pietra tombale sul concetto di complessità irriducibile”, applicata al suo esempio più classico: la bellezza e l’efficienza dell’occhio umano.
Quali sono questi scandalosi difetti dell’occhio umano? Sono numerosi, a detta dell’autore, che, comunque, si accontenta di enunciarne tre, “che degradano la qualità dell’immagine”: “una retina invertita che costringe la luce a passare attraverso i corpi cellulari prima di raggiungere i fotorecettori; vasi sanguigni nella superficie interna della retina; una macchia cieca dove le fibre nervose convergono in un nervo ottico”.
Perché esistono questi difetti di costruzione, si chiede l’autore dell’articolo?
Risposta: “Perché la selezione naturale non produce perfezione, ma piuttosto si destreggia con il materiale a disposizione, con conseguenze talvolta bizzarre”
Il ragionamento è dunque semplice e a tutti comprensibile: se l’occhio è difettoso, non può essere il frutto della creazione di un Essere intelligente. Questa è la verità, anzi, l’unica verità possibile in campo scientifico, dove tutto è rivedibile per definizione.
Una volta che abbiamo escluso con baldanza l’esistenza di Dio, possiamo procedere a trovare qualche soluzione. Ma sarà un percorso in discesa, perché il vero Nemico della Scienza è appena stato ucciso; ogni alternativa potrà andare bene. E allora ecco l’altra verità: la selezione naturale. L’occhio è un bricolage fortuito e quindi sempre migliorabile, eseguito dall’ambiente e dalla sua selezione, che non ha alcuna causa, non ha alcuno scopo da perseguire e tanto meno una funzione (la vista) da sviluppare.
L’autore fornisce le prove sperimentali di questo percorso fortuito e inatteso. In soli 100 milioni di anni un sensore luminoso di ritmi circadiani risalente a 600 milioni di anni fa, si è evoluto in un organo otticamente e neurologicamente raffinato, databile 500 milioni di anni.
La filiera dell’occhio umano inizia, secondo il dr. Lamb, con la retina della missina, un agnato dall’aspetto piuttosto primitivo, che si presenta a due strati cellulari, con una struttura morfologica che ricorda quella dell’epifisi dei vertebrati non mammiferi, la ghiandola che regola i ritmi circadiani.
In pratica, il dr. Lamb vuole ricostruire l’occhio a partire dai suoi pezzi come il bambino fa con il gioco del Lego. Inizia con la retina e prosegue con la sua curvatura a globo, quindi con la genesi del cristallino e dei muscoli che muovono l’occhio.
Qual è la causa di queste creature? “La pressione di selezione”. Imbarazzante.
Che cosa vuol dire “la pressione di selezione”? Come può una lente convergente come il cristallino comparire dal nulla di sé per effetto di una spinta dell’ambiente di vita dell’animale? E i muscoli oculo-motori? E la retina? E il nervo ottico?
In natura questo non si verifica mai. La selezione opera su ciò che esiste prima della sua azione; non può creare nulla. E quanto alla sua “pressione”, abbiamo seri dubbi: in natura c’è posto per tante soluzioni diverse.
Ma quello che sconcerta di più è il silenzio assordante dell’autore su quella che è la funzione dell’occhio: la vista.
Si noti bene che la vista non fa meraviglia; i difetti dell’occhio, sì.
Eppure… nessun centimetro quadrato del nostro corpo è trasparente alla luce, tranne quei due punti che si trovano in apposite fossette ossee, nella parte superiore del cranio facciale.
Lì accade il miracolo: un raggio di luce che porta le informazioni sulla realtà entra nel nostro corpo, lo perfora letteralmente attraversando un diaframma che si dilata e si restringe a seconda della luminosità, con apposito muscoletto circolare (il famoso costrittore della rima pupillare).
La luce buca la cornea dell’occhio e viene concentrata da una lente convergente, il cristallino, su un fondo di cellule fotosensibili che tappezzano il globo (la retina).
L’immagine viene messa a fuoco sulla retina, rovesciata in base alle leggi dell’ottica, scatenando una serie di reazioni chimiche.
Il segnale chimico ridiventa segnale elettrico lungo il nervo ottico che conduce l’informazione fino al cervello occipitale.
Lì un altro miracolo: gli impulsi elettrici creano una costellazione di segnali tali per cui il cervello (meglio: la mente) elabora l’immagine che sta fuori di noi.
Ne siamo consapevoli: stiamo vedendo!
Dentro di noi si è formata l’immagine di ciò che sta fuori e il nostro cuore continua a pompare sangue, i reni a filtrarlo, i polmoni si dilatano e si restringono, in assoluta indifferenza a quanto sta accadendo agli occhi…
La vista c’è, ma il nostro corpo potrebbe funzionare anche senza…
Se c’è una complessità irriducibile, è proprio la vista, che trascende la retina, la rodopsina, i muscoli oculomotori, il nervo e tutto l’hardware occorrente.
Come può aver agito l’ambiente naturale per creare tutti questi pezzi, per metterli insieme per realizzare una funzione che li trascende sia come singoli che come organizzazione?
Affermare poi che la vista sia “degradata” dai vasi sanguigni (necessari per irrorare tutti i tessuti coinvolti… altro miracolo) mi pare proprio una pretesa. La pretesa di chi esclude a priori la presenza e l’azione del trascendente ed è così costretto ad attribuire all’ambiente gli stessi poteri che si attribuiscono a Dio.
Non mi sembra di avere una vista degradata: non sono disturbato né dalla retina, né dai suoi capillari, né dalla sua macchia cieca.
Come sempre accade nella biologia evoluzionistica, la genesi delle forme non ha alcuna giustificazione razionale. Cito un esempio paradigmatico: per spiegare l’origine del cristallino, l’autore dice: “durante lo sviluppo embrionale si forma la lente, come ispessimento dell’ectoderma, che si rigonfia entro lo spazio vuoto ricurvo a forma di C creato dalla retina. Sembra verosimile che una sequenza di cambiamenti simili sia avvenuta durante l’evoluzione.”
E’ questa una spiegazione causale? Non è semplicemente la descrizione dei prodigi compiuti dall’embrione in modo spontaneo, per forze endogene, per vincoli precisi stabiliti dal suo Creatore?
Ora, se l’evoluzione imita lo sviluppo dell’embrione, non può esserne la causa.