Non è facile comprendere in base a quali criteri la Banca Centrale Europea e l'Ocse abbiano approvato la manovra finanziaria varata dal nostro governo.
Forse per soddisfare banchieri e finanzieri basta rastrellare denaro. Certo è che un bene delicato e prezioso coma la solidarietà è stato dalla manovra trasformato in una buffonata e addirittura in uno strumento di divisione. Nel corso del dibattito politico in un primo tempo si è detto che la solidarietà imposta per legge è pelosa e ha natura reale di tassa, ma poi la si è ripescata per i cosiddetti “ricchissimi”, quelli che godono di un reddito annuo superiore a 300.000 euro, che magari non saranno proprio dei nababbi (il riferimento è sempre ad importi lordi), ma certo non se la passano male.
Insomma possono permettersi di essere solidali e se non lo sono per natura o amor di patria si può imporglielo. Fin qui tutto bene, peccato però che la manovra individui due altre categorie di cittadini, che, pur essendo molto lontani dai 300.000 euro di reddito, vengono assoggettati alla solidarietà obbligatoria. Si tratta dei dipendenti pubblici e dei cosiddetti “pensionati d'oro”.
Per loro la solidarietà obbligata scatta al raggiungimento della soglia dei 90.000 euro e raddoppia ai 150.000 (sempre lordi, ovviamente). Non basta. Per i ricchissimi l'aliquota di solidarietà è del 3% mentre per dipendenti e aurei pensionati è del 5% per i medio-ricchi da 90.000 e addirittura del 10% per quelli da 150.000, i re Mida del sistema previdenziale
- Seguiamo per sommi capi il percorso della manovra. Quando il ministro Tremonti propose un contributo di solidarietà del 5% a carico di tutti i titolari di un reddito superiore ai 150.000 euro l'intera classe politica e sindacale balzò in piedi gridando all'iniquità, e quando la proposta è stata eliminata Berlusconi ha esternato soddisfazione per essere riuscito ancora una volta a non mettere “le mani nelle tasche degli italiani”.
Arduo però comprendere perché sia iniquo imporre una solidarietà del 5% all'intera categoria dei titolari di un reddito da 150.000 e sia invece giusta ed equa una solidarietà obbligatoria del 5 o del 10% quando si tratta di dipendenti pubblici o di pensionati. Quanto poi alle tasche degli italiani non resta che pensare che pensionati e dipendenti pubblici o non portano tasche o sono stati privati della cittadinanza. Il che, conveniamone, sarebbe abbastanza singolare, nell'anno che celebra il 150° dell'unità.
L'ultimo tocco (di autentica perfezione) è dato dall'aliquota di solidarietà. Per ricchissimi da 300.000 è pari al 3% essendo sembrata eccessiva quella del 5 o del 10% ritenuta però equa adeguata per chi ha un reddito pari alla metà o a meno di un terzo dei nababbi.
Rimangono due dubbi. Il primo riguarda quei dipendenti pubblici e quei pensionati d'oro che, avendo altri redditi oltre quello di lavoro pubblico o di pensione, raggiungono quota 300.000. Saranno tenuti ad una solidarietà del 5/10% o solo del 3? Oppure pagheranno l'8 o il 13%? Cioè il 5 o il 10 come pensionato o dipendente pubblico e il 3 come ricchissimo? Il secondo dubbio concerne la Costituzione, nella quale un tempo figurava l'articolo 3, che sancisce (sanciva?) l'assoluta uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Non risulta che l'articolo sia stato abrogato. Forse l'uguaglianza non vale davanti al fisco e alla solidarietà?