di Camillo Langone
Essendo italiano il mio nemico è Giorgio Napolitano. Ma quello che penso di colui che ci ha trascinati nella disonorevole e dissanguante guerra di Libia ricade sotto l'articolo 278 del Codice Penale. Essendo un devoto mariano il mio nemico è Roberto Formigoni, l'uomo che ha nascosto la Madonnina dietro un grattacielo empio e megalomane (“Egli ha costruito un proprio mondo autonomo, rinnegando il compito che Dio gli aveva affidato: custodirlo” scrive non di lui però di lui monsignor Luigi Negri in “Fede e cultura”). Ma con il braccio cementoarmato di Cl ho già dato, credo di essermi già ampiamente meritato il non-invito al Meeting di Rimini, non ho bisogno di aggiungere altro. Essendo un esteta e un cristiano il mio nemico è Sergio Marchionne, arrogante responsabile di auto squallide e turni disumani, ma ho già dato anche con lui. Essendo un credente nell'Incarnazione il mio nemico è don Giuseppe Russo, il direttore del servizio nazionale per l'edilizia di culto della Cei, uno che sui tabernacoli delle chiese produce gli stessi effetti dei soldati sudanesi maomettani, cambia solo il metodo: quelli i tabernacoli li mitragliano, lui li cancella con i progetti dei suoi amici architetti nichilisti. Ma chi lo conosce don Giuseppe Russo, non voglio fare una pagina per addetti ai lavori, non che sia diventato democratico ma l'estate è la stagione pop per eccellenza. E allora chi mi resta? Matteo Renzi? Matteo Renzi suda ambizione da tutti i pori della sua pelle grassa e dovrebbe detergersi una volta al minuto per riuscire a distogliere l'attenzione dal demone spietato che lo agita, mi fa venire in mente uno di quei tirannelli centro-italiani scaltri e strangolatori descritti da Machiavelli: la proposta di razzismo anagrafico che gli ha meritato fama nazionale profuma di Borgia e De Gobineau. Però, devo dirlo, una cosa buona nella vita l'ha fatta. Mentre i personaggi prima citati ho la sensazione che abbiano sempre e soltanto nuociuto, dal primo vagito all'ultima decisione presa nell'ultima riunione, l'anno scorso il sindaco di Firenze ha abbattuto un ecomostriciattolo, la pensilina di fianco alla stazione di Santa Maria Novella. Demolizione poco più che simbolica, viste le dimensioni del manufatto, eppure fra i più noti primi cittadini, tutti incapaci di autonomia intellettuale nei confronti dell'architettura griffata, nessun altro ha dimostrato un simile coraggio (nemmeno Alemanno, che pure in campagna elettorale aveva solennemente, vanamente promesso di picconare l'offesa recata da Richard Meier a Roma). A seguito di questo evento nella mia ostilità si è aperta una fessura e io sono schmittiano, credo che l'inimicizia debba basarsi su un'alterità totale altrimenti c'è il rischio che degeneri in qualche forma di comprensione e giustificazione. Quindi, per evitare distinguo, niente Renzi. Forse Nichi Vendola? No, nemmeno lui che certo si meriterebbe una cospicua stroncatura. Malauguratamente anche impegnandomi non riesco a considerare nemico un fratello nella fede, per quanto scellerato possa essere. Chiamatemi sognatore ma nel mio cuore coltivo la speranza che il presidente della Regione Puglia un giorno si penta e chieda scusa: agli elettori per tutte le balle che ha raccontato e a Cristo per le vanterie sodomitiche.
Purtroppo mi resta solo Oliviero Toscani. Dico purtroppo perché avrei preferito un nemico più giovane, più pericoloso in prospettiva, col quale vivere una lunga storia di odio. Fra me e Toscani corre un solo grado di separazione ma non posso fare finta di rischiare l'osso del collo, gli amici in comune sono soltanto due, un allevatore di maiali e un organizzatore di mostre. I migliori maiali e le migliori mostre d'Italia, pazienza, se prenderanno molto male queste pagine passerò agli allevatori e agli organizzatori immediatamente seguenti in classifica. Rinuncerò al prosciutto cotto di Paolo Parisi, uno dei due prosciutti cotti italiani commestibili, ma non si vive di solo prosciutto cotto e se un domani morirò di fame non sarà per la presente intemerata. Oppure avrei preferito un nemico più potente e metafisico col quale atteggiarmi a San Giorgio col Drago. Toscani non è un drago, al massimo sarà un varano, l'orrendo sauro indonesiano dalla bocca perpetuamente fradicia di sangue che mangia le sue vittime a partire dalla regione anale, introducendosi a forza di denti e svuotando il corpo dall'interno. Nonostante i terrificanti costumi, le dimensioni contenute suggeriscono al rettile di limitare le aggressioni agli esemplari più deboli e indifesi (a volte bambini). Toscani personalmente non conta nulla, a contare è il padrone presso il quale nel 1972 scelse di mettersi a servizio: lo Spirito del Tempo. L'anno prossimo, se il diavolo non se lo prende prima, festeggerà quarant'anni di impegno per un'Italia più brutta e più disperata. Psicologi, psicanalisti e farmacisti dovrebbero già fargli un monumento per il fatturato che ha garantito loro a partire dalla storica campagna per i jeans Jesus. Con quella pubblicità ha volgarizzato, trascinandola al livello del pubblico intellettualmente più debole e indifeso (le lettrici delle riviste femminili), l'idea un tempo elitaria e filosofica che la vita è priva di senso alcuno. Nella fattispecie: che seguire Cristo o un culo non fa differenza, anzi, meglio il culo se il culo è di moda. Inevitabile la successiva esplosione di psicofarmaci e psicoterapia, ultime spiagge affollate da chi non ha i soldi o il corpo per i jeans del momento, o non ha la donna con quei pantaloni e quel culo lì. Il tremendo dell'intera faccenda è la riduzione di tutto all'economia e alla biologia, vale a dire un tragico impoverimento dell'umano, un crollo delle quotazioni di ogni persona. Ho letto che l'invecchiamento riduce la massa cerebrale: e l'esposizione a simili messaggi? A che servono tutte quelle meningi se poi devono gestire solo istinti e riflessi pavloviani? Se un chilo di differenza tra cervello di uomo e cervello di scimpanzè è soltanto zavorra, tanto vale darlo al gatto.
Adesso con Google è facile sapere che il Famoso Culo apparteneva alla modella Donna Jordan, appena prima dei motori di ricerca mi trovai a casa di Loredana Bertè e l'antica callipigia era seduta proprio sotto il poster Jesus. Mi venne spontaneo chiederle: quella lì eri tu? Tra il compiaciuto e il misterioso glissò, e per qualche tempo rimasi nel dubbio. Chissà che cosa mi era venuto in mente ma qualsiasi cosa mi fosse venuta in mente era un pensiero inutile, siccome come insegna Eraclito non si posano due volte gli occhi sullo stesso culo.
Almeno serve a qualcosa vendere l'anima al diavolo? Toscani nelle notti di budget pieno si trasforma da varano in vampiro, non per nulla gli industriali che speranzosi gli hanno affidato la propria immagine ne sono usciti gravemente anemici, comprendendo troppo tardi che anziché ai propri prodotti stavano facendo pubblicità al pubblicitario. Sarà che Satanasso fa i manifesti ma non gli scontrini, dei Jesus si è persa quasi subito ogni traccia. A differenza dei Levi's, i jeans più venduti nel mondo a prescindere dalla réclame, tranquillissima e felicemente non memorabile. E Benetton, che fine hanno fatto le multicolori maglie Benetton? I pullover andavano a gonfie vele poi è arrivato Toscani e dopo qualche premio della critica specializzata, tanto utile alla vanità quanto inessenziale agli utili, la dinastia di Treviso ha pensato bene di buttarsi su autostrade e stazioni, dove la concorrenza non esiste e la pubblicità non conta nulla. E dell'ultima chiassata toscaniana, le gigantografie con l'anoressica, qualcuno rammenta chi la pagò? Nessuno ricorda il nome del committente, anzi, nessuno ha mai saputo il nome del committente. Meglio per lui: legare le sorti della propria azienda alle quattr'ossa di quella povera moribonda sarebbe stato letale, come nelle torture dei repubblicani spagnoli che legavano un prete vivo a un prete cadavere e poi lasciavano entrambi al sole e alle mosche. A proposito: Oliviero Toscani, bel ragazzo milanese figlio di papà pertanto radicale, può definirsi un pretofilo, ha sempre abusato dei religiosi con la slealtà che gli è propria attingendo dal grande serbatoio del luogo comune più loffio. Sfondatore di porte aperte, falso dissacratore perché solito dileggiare l'inoffensivo sacro del passato e non quello permaloso e pericoloso del presente (non Maometto ad esempio, né i sodomiti o gli animalisti...), con la complicità di Benetton ha fatto baciare un prete e una suora preconciliari, estinti in natura da decenni, surrogando la realtà con un paio di costumi da carnevale. Pasolini ebbe la lungimiranza di analizzare i suoi primi passi e, senza mai nominarlo, negli “Scritti corsari” lo inquadrò come sfruttatore di forme folcloristiche per masse “idiotamente irreligiose”. Perfetta definizione per un parassita che millanta di essere creativo, se lo dice allo specchio e se lo fa dire dai plaudentes perché gli piace moltissimo, quando è creativo come può esserlo un tarlo.
Bravo Toscani come fotografo? Bravo come migliaia di altri e meno bravo di centinaia di altri. Qui per non infierire, per non seppellirlo sotto un'intera enciclopedia della fotografia mi limito alla sua generazione, i nati negli Anni Quaranta. Lo avvicino quindi a Günter Blum e Luigi Ghirri, entrambi anzitempo defunti siccome muoiono sempre i migliori. L'abbinamento col tedesco è per similitudine, con l'italiano per contrasto. Blum come Toscani deve la sua carriera al culo che però lui amava davvero, per sé stesso, senza secondi fini: il culo di Natalie in cima a quelle lunghissime gambe, a quegli acutissimi tacchi non significa altro che bellezza, la bellezza che ferisce e che consola. Blum non avrebbe mai strumentalizzato un culo a fini politici. Ghirri al contrario di Toscani valorizzava le cose. A consumare, a sperperare, a sfruttare quanto accumulato dai predecessori sono capaci tutti. Certo il fotografo milanese si è dimostrato più capace di altri, un primatista dell'entropia, quando ha degradato il Vangelo in volantino pubblicitario. Il fotografo reggiano attuava il procedimento opposto, difficile e raro: prendeva un dettaglio all'apparenza insignificante e lo innalzava alle soglie del sacro. Ne ha scritto bene Gianni Celati: “Le fotografie di Ghirri tolgono di mezzo un luogo comune tra i più penosi, secondo cui il mondo si dividerebbe in aspetti interessanti e banali, in posti belli o brutti. Attraverso le sue foto tutto diventa interessante, ossia tutto acquista la dignità dell'essere”. A chi frequenta le pagine dell'Antico Testamento non può non venire in mente Matteo 10,30: “Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati”. Nella pianura resa infeconda dai capannoni e dalle monoculture, Ghirri si mise a contare (azione propedeutica al salvare) ogni muro scrostato, ogni comodino, ogni carraia. Non diede senso alle cose (folle pretesa): mostrò il senso delle cose. Di fronte al cancello di Formigine o al canale di Roncocesi, due grandi classici emiliani, oggi come allora sento il bisogno di inginocchiarmi e piangere: realtà che diventa fazzoletto di lino e liberazione; con Toscani, invece, esca e frustrazione.
Si sono impegnati in tanti a deitalianizzare l'Italia ma solo Toscani si è impegnato così tanto a detoscanizzare la Toscana: di solito i riccastri come lui che scendono in Maremma da Milano lo fanno per godersi il contesto, non per distruggerlo. A questo semmai ci pensano gli indigeni: a luglio nel frigobar dell'albergo di Venturina l'unico alcol era il Pinot-Chardonnay Cinzano e a Bolgheri, a pochi metri dai cipressi alti e schietti, all'ora dell'aperitivo c'era solo Prosecco. Poi magari detestano la Lega ma sono i primi a snobbare i propri vini e ad arricchire i grandi elettori di Zaia. Toscani ama gli odiatori di sé stessi perché sono il suo pubblico migliore: senza il masochismo di massa come se comprava la tenuta di Casale Marittimo? Gli serviva un pezzo di Toscana da umiliare: sulle colline del Sangiovese ha piantato Syrah, Cabernet Franc e Petit Verdot, sui prati dove cavalcavano i Maremmani ha lanciato gli Appaloosa. Gli equini alieni sono forse la sua colpa più orrenda, stavolta non ha nemmeno l'attenuante del guadagno, del lavoro, quello che ha fatto contro le razze toscane è cattiveria disinteressata, pura. Della quale com'è ovvio mena gran vanto. “Nel 1980 Oliviero Toscani importa il primo Appaloosa in Italia” ha fatto scrivere nel sito. E' come se colui che ha introdotto nei nostri fiumi la nutria o il pesce siluro lo andasse a raccontare in giro, pavoneggiandosi. Il volgare cavallo-vacca (il mantello lo rende simile a una frisona) venuto dall'America fa sentire Buffalo Bill ognuno di questi cavalieri della domenica che da ragazzi hanno visto troppi film. Non ha Hollywood dalla sua parte il Cavallino di Monterufoli, razzetta maremmana tipicissima ridotta a soli otto stalloni e speriamo che nessuno di questi si ammali o si stufi di montar cavalline. Andai in un ristorante gestito da cuoco ambizioso e virtuoso, sarebbe stata una bella trasferta se non avessi avuto davanti per tutta la durata del pranzo un'intera quadreria raffigurante Appaloosa, lascito del proprietario dei muri, un famoso parrucchiere amico del famoso fotografo, Aldo Coppola, che certo di capelli ne capisce più di cavalli. Piatti e pareti confliggevano, stridevano, per quanto lo chef si desse un gran daffare per colpa di quei cavallacci mi sembrò di pranzare in un'hamburgeria di lusso. Poi ci furono problemi, il locale scomparve dalle guide e non me ne stupii: ristorante o nazione, tutto quello che cade sotto l'influsso di Toscani ha presto bisogno di una trasfusione, di denaro o di senso.
Il Foglio, 10 agosto 2011
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