Avevo sul tavolo un libro, appena edito, dell’amico Lorenzo Fazzini (“Un vangelo per l’Africa. Cesare Mazzolari, vescovo di una chiesa crocifissa”, Lindau), quando tutti i giornali, domenica 17, hanno dato la notizia: è morto monsignor Mazzolari. E’ stato un colpo al cuore. Il Sudan è per me un luogo “mitico”, da quando ero ragazzo, e mio padre mi parlava di questa terra di cattolici ed animisti, perseguitati dagli islamici del Nord del paese.
Poi, solo l’anno scorso, avevo chiesto, proprio a Lorenzo, di portare Cesare Mazzolari nella mia città, ma l’incontro era saltato all’ultimo momento, non ne ricordo il motivo. Mazzolari, dunque, è morto, pochi giorni dopo che il paese per cui ha dato l’esistenza, il Sudan del sud, aveva festeggiato l’indipendenza (9 luglio). Gli è stato concesso di vedere l’alba di un nuovo giorno, ma non più di questo. E così la conoscenza diretta di un così grande uomo, non sarà più possibile ad alcuno.
Che fosse grande, però, lo hanno riconosciuto tutti. Il Corriere della sera ha titolato: “Addio a don Mazzolari, amico dei bimbi soldato”. Anche il Giornale ha messo in luce la lotta di Mazzolari per salvare bambini africani dalla schiavitù e dalla guerra.
E’ innegabile: un occidentale che lascia la nostra ricca terra per andare a vivere, per trent’anni, in mezzo alla miseria più nera, alla guerra, al terrore, fa il suo effetto. E’ ben altro rispetto ai volontari delle varie organizzazioni umanitarie, che con generosità partono per le loro missioni, sicuri però di tornare, molto presto, al calduccio delle loro case. Mazzolari ha vissuto il Vangelo alla lettera: ha abbandonato i suoi genitori a 18 anni, sapendo che non li avrebbe quasi più rivisti. Non per smania di viaggiare; neppure per quell’inquietudine che muove tanti giovani verso sempre nuovi lidi. Al contrario, Mazzolari è partito mettendo la propria volontà nelle mani di Dio.
Un uomo così non può che stupire, anche i media laici. Che però hanno messo in luce, di lui, soprattutto le opere di carità: “Mazzolari ha salvato migliaia di bambini soldato; ha costruito scuole, ospedali, con instancabile tenacia”…
Tutto vero. Ma dire questo, e non capire perché, è molto poco. A muovere Mazzolari, come racconta Fazzini, è stato l’amore di Cristo. La carità, quella perseverante, capace di sacrificio, indomabile, non nasce, nell’uomo decaduto, come un sentimento spontaneo. Non siamo, naturalmente, buoni. Non è neppure un acquisto per sempre. Mazzolari confessava di trovare forza in Cristo: in Cristo Eucaristia, in Cristo crocifisso, in Cristo incarnato.
Solo così per lui era possibile rinunciare totalmente a se stesso, consapevole che “chi perderà la propria vita per Me, la salverà” (LC, 22-25). Quando ero giovane, confessava sempre Mazzolari a Fazzini, parlando dello scandalo pedofilia in Usa, andai a studiare in quel paese: “Durante gli anni del dopo-Concilio, nella Chiesa degli Stati Uniti, constatavo la diffusione di una spiritualità molto superficiale, basata per lo più sulla psicologia. Quest’ultima diventava il sistema per curare la vita interiore”.
In questo modo, continuava Mazzolari, Dio veniva sempre più “marginalizzato”, con la conseguenza inevitabile che, accanto alle motivazioni, venisse a mancare anche la castità. Non era più compresa, né, poco a poco, praticata. Ma la castità è il primo dono di sè che il sacerdote fa: è ciò che gli permette di donarsi poi, interamente, agli altri; di poter essere mandato oggi in un paese, domani in un altro…
Monsignor Mazzolari, senza moglie, figli, né psicologia, ha vissuto la fame, la guerra (dal 1983 al 2006), la prigionia, in mezzo ad un’etnia, i dinka, in cui i ricchi si permettono anche decine di mogli, e le figlie vengono vendute per delle vacche. Lui bianco, tra i neri, condividendo storie, dolori, speranze, originariamente non suoi. La sua morte, dunque, non ha lasciato indifferenti. I giornali, dicevo, lo hanno lodato, ne hanno riconosciuto la generosità e l’opera sociale. I missionari sono ancora apprezzati, perché si sa che portano lavoro, istruzione, sanità.
Ma c’è qualcosa, in loro, che oggi si stenta a comprendere; che, addirittura, o si mette tra parentesi, o si condanna. Colui che li muove. Questo accade persino nel mondo cattolico. Proprio Mazzolari lamentava sia la formazione dei giovani missionari, sia la mentalità dei cattolici: “Spesso in Italia trovo fondi per opere sociali, ma non per costruire una chiesa…siamo diventati iconoclasti e non vogliamo più sentire parlare di cose sante”.
Due mi sembrano i motivi di ciò. Il primo è il prevalere di una mentalità di stampo socialista-marxista, secondo cui come il prete è uno psicologo, così il missionario è solo un operatore sociale chiamato a cambiare più la struttura economica che il cuore degli uomini. Il secondo è il relativismo religioso. Ma non sarebbe partito, Mazzolari, se non avesse creduto che esiste una bella differenza tra Cristo ed Allah. Lasciò tutto, dunque, per donare agli altri qualcosa di più prezioso di se stesso: per annunciare il Vangelo. Le scuole, i bambini salvati dalla guerra, le opere sociali, furono inevitabili conseguenze. Il Foglio, 28 luglio 2011