Il Kenia fra odio della fede e degrado umano
Di Rassegna Stampa (del 05/07/2011 @ 09:35:52, in Attualitą, linkato 1107 volte)

di Danilo Quinto

La situazione sociale del Kenia è ben descritta in un testo inviato e diffuso di recente dall’Agenzia Fides da padre Daniele Moschetti, missionario comboniano che opera da molti anni nel Paese. «Korogocho - spiega Padre Moschetti - è una delle baraccopoli tra gli oltre 200 slums esistenti a Nairobi. Nairobi conta più di 4 milioni di abitanti di cui 2,5 milioni vivono negli slums, in meno del 5% del territorio della città. L’80% dei baraccati paga l’affitto per vivere in una baracca che non hanno costruito loro. Un apartheid economico e sociale e un'ingiustizia assurda dove il profitto disumano calpesta la dignità dell’uomo, in vari ambiti della sua vita, di chi vive in questi inferni illegali resi legali dall’indifferenza generale».

Il missionario descrive così la vita a Korogocho che ha circa 120mila abitanti stipati in un km quadrato: «la baraccopoli è formata da sette “villaggi” chiamati Highridge, Grogan, Ngomongo, Ngunyumu, Korogocho, Githaturu, Kisumu Ndogo\Nyayo. Tra i maggiori slum della città che per numero di persone è il quarto, dopo Kibera, Mathare e Mukuru Kwa Njenga. È un insediamento illegale nato intorno alla fine degli anni settanta. Più di metà della terra è di proprietà dello Stato, o di singoli privati. Lo slum è multietnico, conta circa 30 gruppi etnici diversi e la lingua franca è il Kiswahili, oltre all’inglese.

La baraccopoli vede anche la presenza, a pochi metri di distanza, dell’unica discarica di Nairobi dove vengono scaricati ogni giorno tonnellate di rifiuti di vario genere. Migliaia di persone a Korogocho e dintorni sopravvive lavorando in discarica o in attività connesse comprese quelle illegali e microcriminalità che fanno da padrone in una realtà emarginata come questa. I fumi e gas tossici della discarica uccidono lentamente la gente e sono migliaia le persone che vengono curate nei vicini dispensari per problemi polmonari, di respirazione, agli occhi e per il cancro.

Nella lunga lista delle vittime ricordiamo il laico missionario Gino Filippini che ha vissuto con noi per 15 anni nella nostra baracca e ha lasciato una grande testimonianza di vita e di fede». «Prostituzione, disoccupazione, assunzione di droga, alcolismo, rapine, criminalità, violenza domestica rappresentano i maggiori e più rilevanti problemi», aggiunge Padre Moschetti. «Si vive a stretto contatto - dice - con una realtà dove vi è anche una presenza numerosa di bambini di strada che ora, per sfuggire alla morsa della polizia in città, cercano rifugio negli slums. Molte armi da fuoco illegali sono facilmente reperibili, un elemento che incrementa la criminalità che ora ha fatto di Nairobi una delle città più violente non solo dell'Africa ma anche del mondo».

«La lotta per la dignità e i diritti della gente - conclude Padre Moschetti - la rilocazione della discarica contro ogni mafia e gli interessi di piccole lobbies, il diritto alla terra, all’educazione e ad essere considerati pienamente cittadini con tutti i diritti si mescolano con la tanta passione che la nostra comunità missionaria di St. John, con le sue 21 piccole comunità cristiane, riversa nella formazione cristiana, biblica e liturgica, ma anche nei progetti di riabilitazione per alcolisti e tossici, bambini di strada e prostitute, e cercando di rispondere alle sfide coinvolgendo tutta la popolazione della baraccopoli». È lungo l’elenco - riportato nel rapporto dell’associazione di diritto pontificio Aiuto alla Chiesa che Soffre - degli episodi gravissimi avvenuti negli ultimi anni in Kenia nei confronti dei cattolici. La mattina del 16 gennaio 2009, nel corso di una rapina, è stato ucciso padre Giuseppe Bertaina, a Langata, nell’Istituto di Filosofia dei Missionari della Consolata, di cui era rettore e amministratore, nella capitale Nairobi.

Padre Giuseppe Ettorri, insegnante nello stesso istituto, ha raccontato che alcune persone sono entrate di nascosto nell’istituto, durante l’orario delle lezioni. Gli studenti e gli insegnanti erano nelle aule e non hanno notato niente di sospetto. I malviventi lo hanno sorpreso, lo hanno picchiato, legato e imbavagliato. La polizia ha accertato che la morte è avvenuta per insufficienza respiratoria, conseguenza del modo in cui padre Bertaina è stato imbavagliato. Il sacerdote era in Kenya dagli anni 1960. Un seminarista ha dato l’allarme ed è stata presa una donna, in possesso di alcuni libretti di assegni, sottratti al missionario ucciso. La notte tra il 10 e l’11 dicembre è stato assassinato nella sua casa a Kericho (250 km da Nairobi) l’irlandese padre Jeremiah Roche, della Società di S. Patrizio per le Missioni Estere, anch’egli a scopo di rapina. La mattina successiva, alcuni parrocchiani, preoccupati perché il sacerdote non aveva celebrato la messa mattutina, lo hanno trovato nel suo letto, con le mani legate e ferite di machete al capo.

Padre Roche era attivo nella raccolta di fondi per i diversi progetti di sviluppo che aveva promosso. Sono state rilasciate, a fine febbraio 2009 a Mogadiscio (Somalia), le due religiose, suor Maria Teresa Olivero e suor Caterina Girando, rapite da banditi somali il 10 novembre 2008 a El-Wak, città del Kenya a circa 10 chilometri dal confine. Le suore sono state tenute prigioniere per 3 mesi in territorio somalo, mentre veniva svolta la trattativa per la loro liberazione. Le due religiose operano in Kenya da 35 anni e da 25 lavorano nella casa della fraternità di El-Wak, dove gestiscono un piccolo ambulatorio e una casa di accoglienza. Sono benvolute e stimate dalla popolazione locale, in gran parte islamica. Anche se nel Paese i rapporti tra cristiani e musulmani sono in genere pacifici, permangono contrasti anche gravi.

Ad esempio nella città di Garissa, vicino al confine somalo, nel marzo 2009 il leader della Chiesa Redeemed Gospel ha lamentato che le autorità ancora non hanno provveduto a costruire una nuova Chiesa, al posto di quella distrutta nel pomeriggio del 14 settembre 2008 per un assalto di giovani islamici. Le autorità hanno spiegato che ricostruire la Chiesa dove già sorgeva, come chiesto dai fedeli, sarebbe stato sentito dagli islamici come una provocazione. Infatti i contrasti tra le due comunità sono stati anche causati dalla costruzione di una moschea quasi attaccata alla preesistente chiesa, a soli 3 metri di distanza. La polizia non ha provveduto a identificare e arrestare i colpevoli dell’incursione. I leader musulmani accusano il governo di utilizzare il pretesto di combattere il terrorismo per arrestare e cacciare loro fedeli di altri Paesi e impedire il proselitismo.

Per esempio, le autorità non hanno rinnovato il visto di soggiorno ed hanno espulso gli studiosi islamici esteri Sheikh Ismail Rufai e Sheikh Ibrahim Shariff Atass. Nel dicembre 2008 è stato negato il rinnovo del visto a Sheikh Mohammed Osman Egal, noto studioso islamico Wahhabi e cittadino britannico. Un rapporto del febbraio 2009 delle organizzazioni non governative britanniche per la tutela dei diritti Redress e Reprieve, come pure un precedente rapporto del settembre 2008 di Human Rights Watch, riportano l’arresto negli ultimi anni di oltre 150 musulmani quali sospetti terroristi, tra cui donne e bambini. Secondo tali rapporti, molti di costoro sono stati fermati per settimane senza sapere l’accusa precisa e senza poter vedere un avvocato, come pure sono stati sottoposti ad abusi psichici e fisici. Tra 85 e 120 di loro sono stati estradati in Somalia e in Etiopia, nei primi mesi del 2007.

Tra costoro, 8 sono tornati in Kenya dalla Somalia, nell’ottobre 2008, e hanno chiesto all’Alta Corte un indennizzo contro il governo e la compagnia aerea che li ha condotti coattivamente in Somalia: nessuno di loro ha poi mai avuto accuse penali formali. La causa è ancora pendente. Il governo, da parte sua, ha timore di infiltrazioni di islamici radicali. A metà gennaio 2010 a Nairobi ci sono stati violenti scontri tra la polizia e dimostranti che chiedevano la liberazione dell’imam Abdullah Al-Faisal. Costui, condannato per incitamento all’odio e altri reati terroristi e ritenuto da alcuni tra gli ispiratori dell’attentato alla metropolitana di Londra, era stato in carcere in Gran Bretagna dal 2004 al 2008. È entrato in Kenya il 31 dicembre 2008 ed è stato arresto per avere violato le norme sul visto d’ingresso. Negli scontri è morto un manifestante e ci sono stati numerosi feriti, anche tra la polizia. Il 21 gennaio Abdullah Al-Faisal è stato espulso e inviato nella nativa Giamaica. I suoi seguaci hanno protestato, sostenendo che l’arresto era illegale. Altri hanno commentato che le autorità non volevano far entrare un convinto assertore della lotta islamica violenta. In Kenya, numerose sono le sette religiose e diffusa è la pratica di stregoneria.

Nel 2009, sono proseguiti gli scontri tra polizia e seguaci della setta Mungiki, gruppo che si ispira ai riti e alle credenze ancestrali africane e che si qualifica come erede dei Mau Mau degli anni 1950, a suo tempo combattenti per l’indipendenza contro il potere coloniale britannico. Costituitasi negli anni 1980 la setta, che raccoglie soprattutto giovani delle periferie disagiate, è stata dichiarata fuori legge perché coinvolta in estorsioni, violenze, atti di criminalità comune. Il 5 marzo 2009, due attivisti per i diritti umani, Kamau King’ara e Paul Oulu, sono stati uccisi nella capitale Nairobi dai colpi esplosi da due killer, mentre erano in automobile. Erano rispettivamente direttore esecutivo e coordinatore della “Oscar Foundation”, ente che ha denunciato che dal 2002 al 2009 sono state uccise almeno 1.721 persone, quasi tutte molto giovani, ritenute appartenenti alla setta dei mungiki. Altri 6.542 simpatizzanti sono scomparsi. Queste denunce erano state poi riprese dal Rapporto del Relatore speciale delle Nazioni Unite per il Kenya, Philip Alston, presentato nel febbraio 2009, che ha indicato l’esistenza di “squadroni della morte” e ha chiesto la rimozione del capo della polizia e del procuratore generale.

Dopo che per anni la Chiesa cattolica ha lanciato l’allarme sul pericolo per l’ordine pubblico rappresentato dalla sette, di recente i mungiki hanno preso comunità cristiane come bersaglio di attacchi. Tra l’altro, la setta descrive i fedeli cristiani come schiavi di valori e principi occidentali. Alcune comunità cristiane della provincia Centrale riferiscono di avere subito ripetute minacce, nei primi mesi del 2009, con la richiesta di cessare le loro attività. La pratica della stregoneria è diffusa, come pure il timore per la magia. In questo senso si segnalano sia una serie di delitti e di mutilazioni rituali, sia la persecuzione di giovani e vecchie, tacciati di essere “streghe”. Lo Stato punisce come reato chi pratica la stregoneria per trarne vantaggio, ma il vero problema sono gli omicidi rituali.

Ci sono numerosi rapporti dalla provincia di Nyanza, specie dal distretto di Kisli e dalla città costiera di Malindi nella provincia Coast, di abusi e di omicidi che si ritengono collegati a pratiche magiche. Il 6 maggio 2009 a Kiogoro, distretto Kisii, 9 donne sono state accusate di avere adescato un bambino di 11 anni per sottoporlo a rituali di stregoneria. Una di loro ha confessato di avere praticato stregoneria ed è stata condannata a un anno di carcere; mentre per alcune altre il processo è in corso. La violenza popolare si scatena anche contro chi è sospettato di stregoneria; e la gente talvolta percuote e caccia persone che ha avuto vicine per decenni. Il 26 febbraio 2009 la folla ha bruciato vive 4 donne, a Nyamataro (distretto Kisii), perché sospettate di avere praticato stregoneria su un bambino. Cinque colpevoli sono stati processati e condannati a un anno di carcere. Il 26 gennaio 2009, ignoti hanno accoltellato a morte una persona a Gongoli (Malindi), perché sospettato di stregoneria.

L’8 febbraio 2009, a Malindi, un uomo è stato bastonato e lapidato a morte, probabilmente dai parenti, perché accusato di avere causato la morte del figlio tramite magia. Il 29 aprile 2009, alcuni abitanti di Malindi hanno percosso, legato e bruciati vivi una coppia di coniugi ultrasessantenni, dopo la morte del loro nipote di 18 anni per malattia. La folla li ha accusati di avere lanciato una maledizione sul nipote dopo avere litigato con l’altro nonno. Con loro, si giunge a 22 persone uccise per l’accusa di praticare stregoneria in meno di un anno, da metà 2008 all’aprile 2009. Nel marzo 2009 un uomo è stato incarcerato a Bomet (Rift Valley) per il possesso di amuleti. Il giudice gli ha negato la libertà su cauzione, anche per timore che la folla potesse linciarlo. E’ stato trattenuto in carcere per diversi mesi.

La Costituzione in vigore in kenya riconosce la libertà religiosa e il governo la tutela. Il Paese - si legge nel rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre - ha visto una situazione di crescente violenza, conseguenza dei molti problemi politici e sociali irrisolti; come pure di un utilizzo strumentale della politica da parte di alcuni leader che, talvolta, approfittano delle divisioni etniche e sociali per aumentare il livello dello scontro, al fine di ritagliarsi maggior potere. Le elezioni presidenziali del dicembre 2007 hanno visto un durissimo confronto tra il presidente uscente Kibaki e lo sfidante Raila Odinga, degenerato in scontri armati che nei primi mesi del 2008 hanno causato migliaia di morti e costretto oltre un milione di persone alla fuga.

La crisi è stata risolta con la creazione di un governo di unità nazionale in cui Odinga è primo ministro, ma la situazione è restata tesa; e nel 2009 centinaia di migliaia di persone erano ancora costrette a rimanere nei campi profughi, in condizioni precarie. Il 30 aprile 2009 l’Alta Corte del Kenya ha archiviato l’accusa contro 4 uomini ritenuti responsabili dell’incendio di una chiesa (il Capodanno del 2008 a Eldoret, nella Rift Valley), in cui sono morte 33 persone, nell’ambito delle violenze seguite alle elezioni presidenziali. I giudici hanno criticato polizia e procura per il modo - a loro opinione non adeguato - in cui sono state svolte le indagini e poi condotto il processo. Tra i punti più controversi della riforma costituzionale, c’è l’ambito di giurisdizione delle Corti islamiche. Nel Paese, a maggioranza cristiana ma con una forte presenza islamica, concentrata soprattutto in alcune regioni, l’art 66 della vecchia Costituzione prevede un tribunale speciale per i musulmani (kadhi) che applica il diritto islamico (shari’a) quando entrambe le parti professano tale fede, in materia di diritto familiare e di successioni.

Le kadhi, attive dal 1963 e disciplinate da una legge del 1967, operano nelle regioni costiere dove maggiore è la presenza islamica. Peraltro, l’Alta Corte Centrale ha giurisdizione anche sulle decisioni delle kadhi, ogni decisione può essere appellata in via diretta davanti all’Alta Corte. I musulmani chiedono che la loro giurisdizione sia estesa all’intero Paese e che diventi esclusiva, eliminando la possibilità di appello avanti all’Alta Corte. Ambienti cristiani si oppongono a questo tipo di modifica, chiedendo che ci sia una divisione di ambiti tra Stato e religione, ritenendo comunque che lo Stato non possa abdicare dalla giurisdizione ultima in tali materie. Alcune comunità, come la Chiesa anglicana, affermano pure che in questo modo agli islamici vengono assicurati privilegi, rispetto alle altre religioni, e chiedono la completa abolizione delle Corti Kadhi. Gruppi cristiani, soprattutto protestanti, hanno accusato gli islamici di voler creare «uno Stato dentro lo Stato».

Il reverendo Peter Karanja, segretario generale del Consiglio nazionale delle Chiese del Kenya (Ncck), nel febbraio 2010 ha scritto al Comitato che studia la nuova Costituzione per esprimere l’opposizione anche al mantenimento dell’attuale giurisdizione delle kadhi. I cristiani, inoltre, si oppongono alla proposta che la nuova Costituzione affermi che la persona viene a esistenza solo con la nascita; e chiedono che sia invece riconosciuto il diritto alla vita e la piena dignità umana della persona sin dal concepimento. I nuovi gruppi religiosi si devono registrare, anche al fine di ottenere benefici fiscali. Essi sono liberi di gestire scuole. Le scuole cristiane sono frequentate da molti musulmani, ma questo ha portato a frequenti contrasti circa la pretesa delle ragazze di portare in classe il copricapo islamico; come pure per l’alimentazione o per la condivisione dei banchi scolastici tra maschi e femmine.  (fonte: www.labussolaquotidiana.it)