E' una guerra contro la vita
di Riccardo Cascioli
I lettori ci scuseranno se anche nell’editoriale di oggi parleremo della “pillola dei 5 giorni dopo”, dopo averlo già fatto ieri. Ma a noi sembra che ai più sfugga l’enorme portata culturale dell’introduzione del concetto di “contraccezione d’emergenza”, già affermatosi con la pillola del giorno dopo, ma che ora rivela tutta la sua menzogna e pericolosità.
Nell’intervista che pubblichiamo in primo piano al professor Mozzanega viene chiarito molto bene il grande inganno scientifico e il tentativo di cambiare il concetto stesso di gravidanza, con buona pace del sottosegretario Eugenia Roccella che pare preoccuparsi solo della compatibilità con la legge 194.
Ma qui interessa sottolineare le implicazioni di una ben studiata strategia per mutare nelle persone la percezione della realtà. Che comincia appunto nel cambiare il nome ai fatti, in modo che assumano un significato diverso da quello che effettivamente hanno. In questo caso si chiama contraccezione un fatto che in tutta evidenza è un aborto. Bisogna dire che è una strategia ben riuscita, se perfino il quotidiano dei vescovi italiani, nel riportare le decisioni del Consiglio Superiore di Sanità, ieri, 16 giugno, definiva la pillola dei 5 giorni dopo “un prodotto che agisce per evitare la gravidanza”. E no: evitare la gravidanza è lo scopo della contraccezione che può avvenire soltanto prima del rapporto sessuale. Quando si interviene dopo la fecondazione, la gravidanza viene interrotta, non evitata. Non sembri una questione di lana caprina: in sede internazionale, i grandi cambiamenti e le grandi battaglie avvengono intorno alle singole parole e alle definizioni. Così è avvenuto per l’introduzione del concetto di “contraccezione d’emergenza”, che è una invenzione relativamente recente, legata storicamente alla Conferenza Internazionale ONU del Cairo su Popolazione e Sviluppo (1994). Le agenzie ONU e le grandi lobby abortiste, che godevano allora del grande sostegno dell’amministrazione Clinton, al Cairo incontrarono una forte resistenza nell’introdurre l’aborto come metodo di controllo delle nascite. I paesi latino-americani e parte di quelli islamici trovarono nella delegazione della Santa Sede il punto di riferimento per difendere i loro popoli dall’aggressività di Usa ed Europa, disposti a pagare miliardi di dollari per finanziare aborto e controllo delle nascite. Sebbene tale pratica abbia avuto un grosso impulso a partire dal Cairo, non si riuscì però a far passare l’aborto come un diritto umano o comunque un diritto delle donne. Ecco allora che, grazie alle nuove pillole disponibili sul mercato, si fece strada l’idea di proporre la “contraccezione d’emergenza”, per la diffusione della quale nel 1996 fu formato un Consorzio internazionale che include alcune agenzie dell’ONU (Fondo per la Popolazione, Programma per lo Sviluppo, Organizzazione Mondiale della Sanità, Banca Mondiale) e le più importanti organizzazioni internazionali per l’aborto, tra cui l’International Planned Parenthood Federation (IPPF), il Population Council, Pathfinder International, Population Services International. Il primo obiettivo di questo Consorzio, che in tutti questi anni ha profuso un’infinità di fondi per il buon successo della causa, era – ed è – quello di aggirare le legislazioni anti-abortiste ancora vigenti. Infatti mentre l’aborto in molti paesi è ancora vietato o fortemente limitato, la contraccezione è più o meno libera ovunque. Ecco allora che chiamare “contraccezione” un medicinale che è abortifaciente, permette di introdurre l’aborto laddove è vietato, con l’aggiunta di ingenerare nelle giovani generazioni una banalizzazione del rapporto sessuale, a cui si può porre sempre rimedio. E peraltro, una volta che si può intervenire dopo il rapporto sessuale, si capisce che passare da un giorno a tre o 5 mesi è solo questione di tempo. Si crea cioè una concezione del rapporto sessuale e delle sue conseguenze che pone le basi culturali per un’accoglienza dell’aborto. Né bisogna dimenticare che inizialmente definire queste pillole abortive “contraccezione d’emergenza” è servito per poterle distribuire negli interventi dell’ONU per i profughi - in Africa e in Asia, ma anche in Bosnia - sotto la voce “servizi di salute riproduttiva”.
Una seconda funzione della “contraccezione d’emergenza”, questa più diretta ai paesi ricchi, è la possibilità di poterla distribuire ai minorenni senza neanche il consenso dei genitori. Mentre le solite lobby abortiste e agenzie ONU si battono per rendere possibile anche l’aborto alle minorenni all'insaputa dei genitori,intanto con la “contraccezione d’emergenza” questo è già realtà. In questo modo, oltre alle conseguenze negative sulla educazione all’affettività degli adolescenti, si strappa ai genitori la libertà di educare i propri figli. Questo è già quanto succede in diversi Paesi nord-europei. E accadrà presto anche da noi, se lasciamo passare questa rivoluzione del linguaggio per cui accettiamo tranquillamente di chiamare contraccezione ciò che invece è aborto. E accadrà all’interno dei programmi di educazione sessuale che stanno diventando sempre più obbligatori a partire dalle scuole medie, ma anche dalle elementari.
Non è l’allarme di qualche ossessionato che vede cattive intenzioni ovunque: basta guardare cosa succede in Germania, in Inghilterra, in Francia, per capire dove ci vogliono portare. Basta guardare ai documenti e ai programmi delle succitate organizzazioni e agenzie ONU per sapere qual è la strategia e l’obiettivo. C’è in atto la ridefinizione dei diritti umani, dei valori, della dignità della persona, della legge naturale; in altre parole, la ridefinizione della realtà secondo uno schema ideologico. Tanto da far dire al neo arcivescovo di New York, Timothy Dolan – in questo caso riferendosi ai matrimoni gay – che ci stiamo trasformando nella Corea del Nord. Ed è esattamente così: anche l’Europa, passo dopo passo, sta diventando una Corea del Nord, un regime totalitario dove addirittura si persegue un governo che fa pubblicità per la vita, come documentiamo oggi nel Focus.
Sarebbe bene che anche i vescovi, oltre al meritorio impegno a favore delle aziende municipalizzate, ponessero attenzione ai processi in atto senza aspettare di dover correre a chiudere il recinto dopo che i buoi sono scappati.
Da La Bussola Quotidiana, 17 giugno 2011
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