Ritratto di Nichi Vendola
Di Rassegna Stampa (del 19/06/2011 @ 17:04:41, in Politica, linkato 14242 volte)

Ce lo presentano come il nuovo messia di Sinistra e Libertà (come se non fosse in politica ormai da decenni), l’Erri De Luca con l’orecchino, il profeta che cita il Vangelo per autoeleggersi Uomo della Provvidenza, la verginella che ha saputo battere le oligarchie partitiche, l’ottimo amministratore, il governatore non corruttibile.

E via farloccando, come fanno volentieri i supporter di Repubblica e Unità per far crescere e irrobustire il mito. L’ultimo, forse, che ancora resta agli ex e post comunisti che non hanno rinunciato all’utopia del cambiare il mondo solo dando aria alla bocca e alla fantasia parolaia. Beh, l’avete capito: stiamo parlando di Nichi Vendola, leader del Sel, presidente della Regione Puglia e minaccioso sfidante del pacioso Pierluigi Bersani alla guida della coalizione "capitanata" dal Pd.

Ma per capire chi è davvero il possibile leader della futura ammucchiata anti Cavaliere, converrà lasciare le agiografie di carta della sinistra-limousine e sfogliare le carte della sua non brillante amministrazione.

Quelle, per intenderci, della giunta della Regione Puglia diventata celebre per le inchieste giudiziarie, gli arresti per corruzione e le stangate rifilate ai cittadini per ripianare la voragine della Sanità. Nella “Fabbrica di Nichi” (questo il nome scelto per il laboratorio politico e quartiere generale dei brainstorm vendoliani), il prodotto più venduto sono i "buchi" di bilancio e le generose consulenze ad amici e compagni.

E proprio la Sanità che permise nel 2002 a Vendola di conquistare la Regione Puglia, oggi rischia di essere il suo Vietnam. Infestato non dai vietcong, ma da guerriglieri ancora più micidiali: i debiti e gli scandali. L’ultimo, lo scorso mese di aprile: un autista della Asl di Lecce arrestato perché rubava la benzina dall’auto di servizio per fare il pieno alla sua fiammante Porsche Carrera.

Una goccia nel “mar rosso” della Sanità pugliese. Solo un impercettibile smottamento nella voragine complessiva da 412 milioni di euro: 326 erano già messi in preventivo, ma gli altri 86 sono un buco che nessuno è riuscito ancora a tappare.

Neppure l’esercito di super esperti e consulenti che il governatore Nichi ha chiamato alla sua corte. Il fatto è che dal 2006 la giunta regionale pugliese è riuscita a sfornare circa 500 contratti di collaborazione, tra co. co.co. e consulenze. Insomma, un fiume di incarichi ai quali si vanno ad aggiungere centinaia di mandati a legali e avvocati esterni nonostante la presenza di un’Avvocatura regionale, sbandierata e rivendicata più volte come un fiore all’occhiello dall’entourage vendoliano.

Numeri da capogiro, capaci di stordire un elefante. Ma a Vendola piacciono i record e le imprese no-limit. Basti pensare che ben 38 dei suoi consulenti e collaboratori superano il tetto dei 50mila euro di stipendio, con punte di 80mila euro per una singola prestazione. In realtà, alcuni di loro sono titolari di più incarichi e arrivano a raggranellare anche 300mila euro di compensi.

Tra i più fortunati c’è il capo dell’avvocatura regionale, Nicola Colaianni, vanto della politica “post-modernista” del governatore pugliese: ha una retribuzione da 168mila euro. Alla fine, come dice Totò, è la somma che fa il totale e buttando giù la linea delle somme la botta è davvero bella: 11 milioni di euro in contratti.

Da ultimo, il capitolo delle spese per la politica: le retribuzioni annue comprese dei politici vanno comunque dai 117mila euro che finiscono in tasca ai consiglieri regionali (il presidente del Consiglio regionale però ne riceve 142mila) fino ai 167mila del più pagato: Vendola Nichi. Con uno stipendio così, al governatore deve essere stato certamente più facile assorbire anche i traumi delle vicende giudiziarie.

Ricordare lo scandalo di Sanitopoli, quello che poco più di un anno fa portò all'azzeramento della giunta regionale pugliese? Bene, non è bastato l'azzeramento delle deleghe assessorili, non è servito l'arresto di Sandro Frisullo (ex vicepresidente Pd della giunta Vendola ammanettato perché "chiedeva" escort e soldi e in cambio avvantaggiava l'imprenditore GiampaoloTarantini), non sono bastati gli arresti di avvocati e imprenditori.

Nel marzo dello scorso anno scorso, Vendola se la vide di nuovo davvero brutta: indagato insieme al suo capo di Gabinetto Francesco Manna, per concussione in concorso per alcune nomine di direttori di Asl pugliesi. L’inchiesta si è poi risolta con il proscioglimento del governatore, ma in coincidenza con la richiesta d’arresto per il senatore del Pd ed ex assessore alla Sanità Alberto Tedesco, per il suo braccio destro Mario Malcangi, per il caposcorta di Vendola e per tre tra imprenditori e manager sanitari.

II puntata

È un tribuno della plebe, un micidiale lanciatore di frasi contundenti: scioglie parole e insulti nella benzina per poi tirarli contro gli avversari come fossero bottiglie molotov.

Al compagno Nichi Vendola piacciono i paradossi, le metafore surreali e il genitivo sassone, quello che Marx usava per cippirimerlare e confondere reazionari e revisionisti. Così ha sostituito la lotta di classe con la classe della lotta perché da governatore veste Prada, mica gli stracci di un no global qualunque. Ma soprattutto, il Vendola è imbattibile nell’arte degli ossimori e della conciliazione degli opposti: solo chi ha fantasia (e faccia tosta) può fondare un partito e chiamarlo “Sinistra e Libertà”. Più ossimoro di così.

Quando parla, si trasforma come il dottor Jekyll e mister Hyde: profeta della pace, e affabulatore dei popoli, ma anche feroce accusatore e demolitore di chi non la pensa come lui. Sotto l’orecchino Swarovski e i capelli graziosamente a caschetto stanno nascosti i denti aguzzi del Coniglio Mannaro. Esagerazioni? No, sta tutto scritto, nero su bianco. Su Liberazione, il quotidiano di Rifondazione comunista dove qualche anno fa Vendola aveva una sua rubrica: “Il dito nell’occhio”.

 Più che un dito una trave: cose terribili, da stalinismo anni Trenta, una fila di accuse da plotone di esecuzione che il Grande Inquisitore barese sparava contro dirigenti del Pci-Ds, radicali, prodiani e tutto il resto della sinistra che sedeva alla sua destra. Nel suo ultimo e bellissimo libro, “Carta straccia” (baedeker indispensabile per chi vuol capire come gira il mondo e funziona “la macchina del fango” nei quotidiani di sinistra) Giampaolo Pansa s’è preso la briga di spulciare la raccolta del quotidiano ex rifondarolo per raccontare l’altra faccia del licantropo Vendola. Il meglio Nichi lo dà durante la guerra “umanitaria” della Nato contro la Serbia, quando al governo c’è l’Ulivo.

Massimo D’Alema? “Livido come i neon del metro. Gravemente atlantico, cinico, con una spocchia da statista neofita”. Fassino? “Blaterante scempiaggini cingolate e mortali”. Umberto Ranieri: “un caporalmaggiore della Nato”. La radicale Emma Bonino è invece una “vipera con la faccia di colombella, amante delle carneficine umanitarie”. Lamberto Dini, allora ministro degli Esteri di D’Alema, è solo “un noto venditore di tappeti”, Armando Cossutta, “un esempio di cinismo incarnato nella liturgia levantina del mentire”, “l’ipocrisia eletta a scienza, metodo, a progetto politico”, sapeva “tradire se stesso, la propria storia, i propri compagni, senza neppure inarcare il sopracciglio, senza abbassare il volume della tromba”. Fino al fulminante: “Armando, voce del verbo armare”.

 E poi il capo dei Comunisti italiani, Oliviero Diliberto: prende “le distanze dalla guerra senza prendere le distanze dalla sua poltrona”.

 Insomma, il pacifista Vendola era incazzato rosso con i compagni di lotta: Lidia Ravera li battezzò “porci con le ali”, lui li ribattezzò in “porci con le bombe” a servizio degli Usa. “Questo establishment sinistro, al governo e alla Rai, ha portato i porci con le ali nelle basi Nato e poi nei cieli adriatici. Verso la conquista di un posto al sole o perlomeno all’ombra delle nuove piramidi americane”.

L. Santambrogio, il sussidiario.net