di don Enrico Finotti
Se si medita attentamente la struttura della settimana originale nella quale “In principio Dio creò il cielo e la terra” (Gen 1, 1), si noterà che essa ha una chiara ed ineludibile struttura liturgica. Infatti, ogni giorno si conclude con questa frase: “E Dio vide che era cosa buona” (Gen 1, 4. 10. 12. 18. 21). Questo atto contemplativo di Dio, che si compiace delle creature, appena create dal nulla, è sostanzialmente un atto di culto sommo e perfetto, che Dio riferisce a se stesso in un dinamismo eterno e beatificante. Dio contempla in sé stesso la gloria, la bontà e la riuscita della sua creatura.
In questo sguardo profondo e beatificante di Dio vi è il senso ultimo e la finalità essenziale del creato. Senza questa assunzione divina e questa dichiarazione di compiacenza ogni creatura rimane spenta, senza significato e assurda in se stessa. In qualche modo ogni giorno le cose plasmate dal Creatore attendono, serie e immobili, il placet divino. Appena questo è pronunziato, le creature riprendono vita, sorridono e iniziano l'avventura del loro essere: “Le stelle brillano dalle loro vedette e gioiscono; egli le chiama e rispondono: 'Eccoci!' e brillano di gioia per colui che le ha create” (Bar 3, 34-35).
Quindi possiamo dire che in ogni giorno della settimana della creazione Dio opera e contempla, in tal modo che l'opera trova senso, fine e pienezza nello sguardo contemplativo di Dio. La dignità di ogni creatura sta fondamentalmente nel fatto che fu creata ed è perennemente contemplata da Dio. In tal senso, ogni creatura, ancor prima di essere vista dagli uomini, è veduta da Dio e, anche senza lo sguardo dell'uomo, essa mantiene la sua realizzazione essenziale, in quanto è 'vista' da Dio. Se questo vale per gli esseri inanimati, quanto più per i figli di Dio, che in tal modo escono dalla solitudine esistenziale e trovano una accoglienza divina indefettibile che raggiunge anche le situazioni di maggior emarginazione nella storia degli uomini. Quindi ogni giorno della creazione accoglie indissolubilmente il lavoro di Dio - “Sia la luce…sia il firmamento…appaia l'asciutto…ci siano luci nel firmamento del cielo… le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra…la terra produca esseri viventi…facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza…” (Gen 1, 3. 6. 9. 14. 20. 24. 26) - e il culto di Dio – “E Dio vide che era cosa buona… Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gen 1, 4. 10. 12. 18. 21. 31).
Veramente l'intuizione di S. Benedetto da Norcia 'Ora et labora' ha la sua ultima origine nella struttura dei giorni della creazione. Per questa profonda ed elementare sintonia con l'ordine della creazione, la Regola di S. Benedetto susciterà un movimento di rigenerazione della cultura e dei popoli, degno delle grandi svolte della storia della salvezza. E questo perché i due termini: spirito e carne, contemplazione e azione, già uniti indissolubilmente dal Creatore fin dal principio, sono rivitalizzanti dal carisma benedettino e ne nasce una nuova civiltà. Da ciò si comprende come il senso della giornata dell'uomo non può risolversi unicamente nel lavoro produttivo, ma deve sboccare regolarmente nell'atto contemplativo e adorante verso il Creatore. Ossia la Liturgia non può totalmente mancare dalle ore della giornata. Senza di essa la gestione del creato rimane senza finalità e diventa assurda. Se Dio stesso ha contemplato, non può fare diversamente l'uomo.
La Liturgia è quindi, già sul piano naturale e fin dall'origine della creazione, elemento ineludibile del giorno, che scorre nel tempo. In altri termini, il giorno aliturgico è contro la natura e in tal senso lo hanno ben compreso le religioni di tutti i popoli, che hanno espresso un culto quotidiano intrecciato all'azione. Il giorno secolarizzato, senza culto a Dio e totalmente proteso ad una gestione materialistica delle cose e degli eventi, che oggi tende a diventare costume generalizzato, è in opposizione con la stessa struttura naturale dell'uomo e del creato in aperta contraddizione con l'origine stessa della creazione. La Liturgia, come ingrediente quotidiano, è previa alla stessa redenzione, ed affonda le radici nell'atto originario della creazione, assumendo un valore sul piano della legge naturale, che vale per tutti gli uomini di ogni tempo e di ogni cultura.
Il carattere liturgico di ciascun giorno della creazione si potenzia nel settimo giorno, che conferisce all'intera settimana della creazione il carattere di settimana liturgica. Infatti, quel culto quotidiano che Dio rivolgeva a se stesso quando proclamava, “e Dio vide che era cosa buona”, diventa solenne e si estende per l'intero giorno settimo, quando “Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro” (Gen 2, 3). Dio creatore non solo pone in ogni giorno il sigillo del culto alla sua divina maestà nella contemplazione dell'opera da Lui creata, ma al termine della creazione Dio consacra un giorno intero, il settimo, ad un atto prolungato e pieno di contemplazione della sua gloria, che ora risplende nell'unità e nella sinfonia di tutto il creato e soprattutto nell'uomo, fatto a sua immagine e somiglianza (Gen 1, 26).
Ecco che anche la Liturgia più solenne ed estesa del settimo giorno trova il suo più profondo fondamento nella stessa settimana originale. Tutta l'opera della creazione è così orientata alla gloria di Dio, alla sua adorazione, alla sua compiacenza. Solo se porta a questo traguardo cultuale la creazione ha senso, perché per questo è stata fatta, e soltanto nel compimento adorante ogni sua gestione trova la sua più intima e naturale finalità. Dio stesso quindi ha creato ogni cosa per la sua gloria. Questo significa che il creato è per il culto. Se dovessimo togliere la dimensione cultuale dall'opera della creazione, tutto improvvisamente si spegne e appassisce e l'identità di ogni creatura rimane sospesa in attesa di un complemento che le è necessariamente richiesto dalla struttura genetica del suo stesso essere. Ecco allora che il giorno sacro nella settimana è inanzittutto un'azione divina prima di essere comandata all'uomo. Dio stesso contempla e adora in se stesso l'opera della sua creazione.
Se Dio per così dire contempla l'opera della sua gloria, l'uomo non può che seguirlo in un culto adorante di lode. Nel giorno sacro continua da parte di Dio la compiacenza verso il creato e il comandamento divino dato all'uomo - “Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio…Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro” (Es 20, 8-10. 11) - é l'invito ad unirci ad un'opera cultuale che Dio esercita perennemente verso il creato pronunziando eternamente la sua parola “è cosa buona”. Se Dio esercita personalmente il culto come compiacenza verso la sua creazione, come può l'uomo non unirsi alla compiacenza divina in un atto di lode e di adorazione verso il Creatore? Concludendo possiamo affermare che la liturgia quotidiana e settimanale, feriale e domenicale ha il suo fondamento, il suo modello e la sua giustificazione nella stessa attività divina, che Dio creatore esplica nella settimana originale della creazione.
(Testo tratto da “La centralità della liturgia nella storia della salvezza”, Edizioni Fede & Cultura, pp. 14-17).