In questi giorni di Europride, è utile leggersi Luca di Tolve, Ero gay (Piemme 2011).
Ad un certo punto, nelle note Luca segnala articoli come questo dal Corriere della sera:
Qualche tempo fa tutti i giornali "gay" di San Francisco hanno pubblicato un' emblematica vignetta: due omosessuali, uno sieropositivo, l' altro no, che si guardano intensamente attraverso una siepe di filo spinato. Sotto, la didascalia "apartheid virale".
L' immagine riassumeva cio' che le autorita' sanitarie di San Francisco andavano dicendo da anni, prematuramente: "Grazie all' astinenza e al safe sex stiamo sconfiggendo l' Aids".
Ora un nuovo studio rivela che, a un decennio dall' esplosione dell' epidemia del secolo, una seconda, forse piu' drammatica ondata di infezioni sta disseminando tragedia e morte nella "capitale gay d' America". "L' incremento di infezioni e' drammatico, spiega Ron Stall, autore della ricerca e professore del Centro per lo Studio e la prevenzione dell' Aids all' universita' di San Francisco , e le prospettive per il futuro sono ancora piu' sconcertanti".
I numeri parlano chiaro: su 100 uomini gay, nell' 82, 18 avevano appena contratto la malattia.
Nell' 85, grazie agli enormi sforzi della comunita' gay per contenere la diffusione dell' epidemia, quel numero era sceso a meno di 1 nuovo sieropositivo ogni 100 omosessuali in un anno.
Ma adesso il numero, improvvisamente, si e' piu' che raddoppiato e tra gli uomini al di sotto dei 25 anni addirittura quadruplicato.
"Il motivo e' che un numero crescente di gay ha smesso di prendere precauzioni, spiega Stall, ed e' tornato alla promiscuita' selvaggia di un tempo". In una citta' dove oltre meta' della popolazione gay e' sieropositiva, le implicazioni sono a dir poco catastrofiche.
"Un uomo gay su tre, oggi, pratica sesso a rischio, precisa un altro studio, svolto dal Dipartimento della Sanita' del comune di San Francisco, soprattutto rapporti anali, senza l' uso di profilattici".
Ovvero, secondo le statistiche, il metodo piu' rischioso nella trasmissione del virus.
Il vero dramma e' che dietro questi aridi numeri si nasconde la nuova "cultura gay della morte".
Che, lentamente ma inesorabilmente, si e' infiltrata tra i sopravvissuti di cio' che alcuni hanno ribattezzato "l' olocausto gay del secolo".
Chi decide di non usare precauzioni non lo fa per ignoranza e cattiva informazione, come un tempo, ma per scelta. Dopo aver seppellito, uno per uno, dozzine di amanti ed amici, molti gay sono diventati fatalisti, noncuranti del proprio futuro.
"La depressione e' una norma nella nostra comunita', spiega Tom Moore, psicologo di Castro Street, il distretto gay della citta', c' e' gia' la barzelletta che auspica di mettere l' antidepressivo Prozac nell' acqua del quartiere".
Dietro la nuova cultura suicida, spiegano gli esperti, s' annida il senso di colpa dei sopravvissuti: "Il modo migliore per placare il dolore provocato dalla morte e' unirsi ai morti, dice Gordon Murray, altro psichiatra degli "orfani" di Castro, come le vedove pellerossa che si gettano sul falo' funerario".
Secondo il New York Times, che dedica al fenomeno un ampio servizio intitolato "la seconda ondata di Aids nella capitale gay", "l' identita' gay e l' Aids sono talmente collegati che molti uomini fanno di tutto per contrarre il virus, per sentirsi piu' gay".
In mancanza di una cura contro la malattia, altri non se la sentono di condurrre una esistenza di castita' ... Farkas Alessandra Pagina 9 (13 dicembre 1993) - Corriere della Sera
qui alcune pagine del libro:
http://api.edizpiemme.it/storage/village/2011/02/28/566-1561.pdf