Continua il poco rassicurante ritratto di Giuliano Pisapia, nuovo sindaco di Milano (ancora da Avvenire, 26 maggio 2011) Quanto sia
importante
l’azione
capillare
per
evitare
che le donne si trovino a
scegliere di interrompere la
gravidanza è dimostrato dal
prezioso lavoro volontario svolto
dai Centri di aiuto alla vita e da
tutti i soggetti impegnati nella
difesa della vita dal
concepimento. Ma quanto
ancora ci sia molto da fare
stanno lì ad evidenziarlo i
120mila aborti annui che ogni
anno si registrano in Italia. Di
fronte a tali cifre, è chiaro il
ruolo che le amministrazioni
locali possono recitare nel
sostegno alla maternità proprio
in virtù della loro incisività sul
territorio. Un ruolo che sembra
non piacere ai radicali. Sul
numero del luglio 2009
dell’Agenda Coscioni, organo
informativo dell’omonima
associazione legata a doppio filo
col mondo radicale (Marco
Cappato ne è il segretario e sarà
eletto a Milano se vince Pisapia),
l’attuale amministrazione
comunale milanese e la Regione
Lombardia venivano messe sotto
accusa per i finanziamenti
erogati al Centro di aiuto alla
vita della Clinica Mangiagalli.
Proprio al Cav del grande
ospedale Letizia Moratti ha
promesso nuovi aiuti concreti
qualora venisse rieletta. Ancora
sull’Agenda Coscioni, si
denunciavano il ricorso a
giudizio dei radicali troppo
diffuso all’obiezione di coscienza
(detto dai paladini della libertà
assoluta è un bel paradosso) e
l’asserita difficoltà per le donne
di ottenere la pillola del giorno
dopo. Non deve stupire dunque che i
radicali a Milano abbiano
scelto di sostenere Giuliano
Pisapia, al quale
opportunamente il
sottosegretario al Welfare
Eugenia Roccella ha posto alcune
domande (rimaste senza
risposta) in merito ad alcuni
punti del suo programma
elettorale e in particolare
sull’educazione dei giovani. «Il
diritto all’assistenza in caso di
interruzione volontaria di
gravidanza deve essere garantito
attraverso la corretta attuazione
della legge 194», si legge a pagina
20 del programma. Un proposito
generico, il cui significato probabilmente va ricercato nella
storia parlamentare di Pisapia.
L’8 luglio 2002, l’allora deputato
avanza una proposta di legge con
l’intento di modificare il testo
della 194 in senso permissivo.
All’articolo 1 della proposta si
indicavano nella contraccezione
ordinaria e d’emergenza – la
pillola del giorno dopo, in realtà
dai provati effetti abortivi – gli
strumenti con i quali lo Stato
doveva impegnarsi nella
prevenzione dell’aborto.
Approcci discutibili, come
dimostrano molti casi che a un
aumento della diffusione della
contraccezione non hanno visto
associarsi una diminuzione del
ricorso all’interruzione
volontaria della gravidanza.
Inoltre, Pisapia e gli altri
firmatari del testo chiedevano
l’abbassamento del limite di età
oltre il quale si può procedere
all’aborto senza interpellare i
genitori: oggi tale limite coincide
con la maggiore età, mentre si
chiedeva di arretrarlo ai sedici
anni. Si proponeva poi di
spostare in avanti il limite
gestazionale, dai novanta giorni
alle quindici settimane.
Modifiche dunque in direzione
permissiva, ma non solo per
quanto riguarda i limiti
temporali. Anche in merito
all’uso della Ru486, la posizione
di Pisapia era molto chiara,
chiedendo «la possibilità di
interrompere la gravidanza
utilizzando le tecniche di aborto
farmacologico». La squadra che sostiene Pisapia
si distingue anche per il
proprio attivismo in tema di
fecondazione assistita. È stata eletta
nella lista del Partito democratico
Marilisa D’Amico, professore
ordinario di diritto costituzionale
all’Università di Milano e
protagonista di tante battaglie
contro la legge 40. D’Amico, interpellata
sul proprio programma
elettorale, ha dichiarato che
intende sostenere la «creazione
di un servizio di consulenza»
presso tutti gli ospedali affinché
le coppie possano «ricorrere alla
fecondazione assistita, di cui oggi
si parla troppo poco». E che a Pisapia
non piacciano i limiti imposti
dalla legge 40 non è un segreto.
Nel 2002, quando ancora
il testo era in discussione in Parlamento,
Pisapia propose di sopprimere
l’articolo 4 che consente
l’accesso alla fecondazione solo
in caso di sterilità e infertilità e
vieta quella eterologa con gameti
esterni alla coppia.
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