Pubblichiamo una lettera dell'ottimo padre Giovanni Cavalcoli, cui ci legano amicizia e stima.
Carissimo Lorenzo, ho letto sul sito Libertà e Persona il tuo articolo in difesa di Gherardini. Concordo con Te nel ritenere che gli argomenti da lui avanzati, considerando la grande dottrina e la lunga esperienza dell’illustre Teologo, vanno presi in considerazione con molta attenzione e rispetto, per cui non concordo con le sbrigative e faziose critiche delle quali è stato oggetto da parte di presuntuosi incompetenti e dei modernisti.
Tu sai bene quanta stima ed ammirazione ho per Mons.Gherardini, e gli debbo anche molta riconoscenza per tutti i miei articoli che dal 1992 ha pubblicato su Divinitas; e tuttavia in coscienza, seppure con rammarico, devo dire, come Aristotele, quando rispettosamente si separò da Platone, amicus Plato, sed magis amica veritas. Tutti cerchiamo la verità e in particolare la verità cattolica, e per questo attualmente in questa grande disputa sull’interpretazione e sul valore del Vaticano II, è possibile un sereno dibattito, anche se da posizioni alquanto differenti.
Al riguardo mi piace di notare che questo confronto sta avvenendo soprattutto nell’area delle varie posizioni o moderate o tradizionaliste, di vario grado. Viceversa assai difficile è dialogare con i modernisti, i “falsi progressisti”, come li ha chiamati il Papa - quelli veri sono altra cosa -, chiusi come sono nella loro spocchiosa autosufficienza che li rende ciechi alla vera situazione della Chiesa, nella loro convinzione di essere i supremi custodi della Chiesa e che la verità del Concilio cominci e finisca con loro.
Fatta dunque questa premessa, passo alle questioni che tu sollevi. Innanzitutto il rapporto tra le dottrine del Concilio e la situazione di crisi della Chiesa postconciliare. Dico subito che tra le dottrine del concilio, bisogna distinguere quelle dogmatiche da quelle pastorali. Per quanto riguarda le prime, è vero – questo lo sanno tutti – che benchè il Concilio sia stato in se stesso un evento straordinario e solenne, esso intenzionalmente non propone nuove dottrine dogmatiche in forma straordinaria e solenne. Ma questo non significa che esso non proponga, benchè in forma semplice e ordinaria, nuovi chiarimenti, esplicitazioni e sviluppi di dogmi già definiti o di dottrine di fede tradizionali.
Ora, quando si tratta di materia di fede, un Concilio non può non essere infallibile, cioè non può sbagliare, non può insegnarci il falso, perché ciò vorrebbe dire che Cristo, quando promise alla sua Chiesa di assisterla sempre con lo Spirito della Verità, la ha ingannata, cosa che per un cattolico è blasfema al solo pensarlo. Viceversa, un Concilio può sbagliare nelle direttive pastorali, ossia nel determinare come condurre il popolo di Dio, come evangelizzare, come curare o rinnovare la disciplina, quali linee pratiche prendere nel presente momento storico, quali errori correggere, quali verità sottolineare. Su questo piano quindi è lecito, dopo attento esame e matura riflessione, muovere critiche al Concilio e ritenerlo responsabile di certi mali che oggi affliggono la Chiesa, come per esempio l’eccessivo l’indifferentismo, il relativismo, il secolarismo, il permissivismo o il diffuso becero buonismo.
E quindi su questo piano che potrà essere opportuno per non dire necessario ed urgentemente necessario modificare, cancellare, correggere, recuperare tradizioni abbandonate. Al contrario, gli sviluppi e i chiarimenti dottrinali del Concilio, che ci fanno conoscere meglio i dati della Rivelazione, sono assolutamente e definitivamente veri e benefici, e stanno all’origine di tutto quanto di buono c’è nella Chiesa di oggi, comprese anche certe direttive pastorali le quali per la loro saggezza e i buoni risultati che hanno dato, vanno mantenute e difese contro i laudatores temporis acti.
Secondo punto. E’ vero che certe novità del Concilio sembrano in contraddizione con la Tradizione; ma, ad un attento esame, qual è quello che per esempio mi sono imposto di fare io insieme con altri teologi, risulta che in realtà non si danno rotture o discontinuità. Certo c’è una diversità tra le dottrine del Concilio e le precedenti; ma non si tratta di contraddizione, bensì di progresso nella conoscenza delle medesime verità accolte sempre, nei secoli sino ad oggi, eodem sensu eademque sententia, così come per esempio la definizione della natura umana come animal rationale è sempre quella dagli inizi dell’antropologia scientifica, ma è evidente che la conoscenza che oggi abbiamo dell’uomo è molto migliore di quella che potevano avere gli antichi Greci o i Medioevali.
Se facciamo attenzione ai documenti ecclesiali del postconcilio, come per esempio il Credo di Paolo VI, il Catechismo della Chiesa cattolica o le Catechesi del Beato Giovanni Paolo II, ci accorgeremo che non è poi così difficile trovare la “continuità”. Essa invece appare ed è esaltata dalle false interpretazioni dei modernisti, come per esempio la cosiddetta “teologia della liberazione” di Gutiérrez e Boff o il famigerato Catechismo Olandese ispirato da Schillebeeckx o il Corso fondamentale sulla fede di Rahner o il falso ecumenismo di Hans Küng.
Quindi, quando i Papi da cinquant’anni ci assicurano con la loro autorità di Vicari di Cristo che le dottrine del Concilio sono in continuità con quelle precedenti, il buon cattolico, l’uomo di fede, non può non credere ad essi sulla loro parola, benchè poi ai teologi sia possibile ed anzi per loro sia preciso dovere dimostrare, con testi alla mano ed accurate indagini storiche, usando adatti metodi di discernimento, che quanto dicono i Pontefici è vero. Il teologo non può dubitare circa queste assicurazioni dei Papi, per quanto esse possano sembrare poco credibili, ma deve diligentemente mettersi all’opera per fare questa verifica, e il successo non manca. Né potrebbe mancare, a meno che un Concilio possa smentire in materia di fede quanto la Chiesa ha insegnato in precedenza, cosa per il cattolico a priori del tutto impossibile ed impensabile.
E più facile che un cerchio sia quadrato che la Chiesa venga meno sul cammino della Verità. E se a noi sembra il contrario, siamo noi a sbagliare e non la Chiesa. Questo vuol dire essere cattolici. Altrimenti facciamo i protestanti, facciamo i modernisti, facciamo i massoni, facciamo i musulmani, ma non siamo cattolici. Siamo tutti sensibili allo “zelo per le anime”. Ma occorre chiarire bene come oggi tale zelo deve essere inteso e praticato. Credo che se terremo conto delle cose che ho detto, potremo ritenerci modestamente ma con certezza sulla strada giusta. P.Giovanni Cavalcoli, OP Bologna, 13 maggio 2011