La recente beatificazione di Giovanni Paolo II, vissuta e seguita da centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, ci può offrire, al di là del suo significato prettamente spirituale, considerazioni di ordine più generale; e, al di là della stessa figura del Pontefice, ci può far intravedere quanto ancora oggi sia vivo nel cuore degli uomini cattolici il senso della Chiesa e anche di Roma stessa.
Roma non in quanto città, ma come categoria dello spirito umano. Roma come “centro del mondo”. Nella mente dell’uomo contemporaneo, il concetto “centro del mondo” è spesso rapidamente e volutamente connesso a New York e Washington (da una quindicina d’anni non c’è neanche più Mosca come ipotetico quanto ingannevole contraltare), e questo indipendentemente se tale connessione poi faccia piacere a meno. In un certo senso ciò è vero: economicamente, politicamente (si pensi anche all’ONU), militarmente.
Del resto, ogni epoca ha avuto il suo “centro del mondo” economicamente, politicamente, militarmente: andando a ritroso, Londra, Vienna, Parigi, Madrid. E siamo tornati al Cinquecento. E prima? Qual era, nei secoli medievali, il centro del mondo? E nei secoli dell’antichità?
Se un essere intelligente potesse vedere in un solo colpo d’occhio tutta la storia occidentale, dalle origini ad oggi, non potrebbe immediatamente non intuire, e di conseguenza razionalizzare, il ruolo assolutamente preponderante e speciale che Roma ha sempre ricoperto come “madre delle genti” e della civiltà, prima, nei secoli antichi e pagani, anch’essa politicamente e militarmente, poi, nei secoli cristiani, anche e soprattutto moralmente e spiritualmente.
È proprio per il suo ruolo universale di sede della Chiesa Cattolica e dispensatrice della legge morale e della cultura dei valori della tradizione cristiana che Roma ha sempre convissuto con gli altri “centri del mondo” (politici, economici e militari) che si sono susseguiti nella storia. Quei centri del mondo però in quanto tali sono passati, e oggi sono semplici capitali più o meno importanti. Roma invece è sempre lì nella sua universalità intramontabile, non certo in quanto capitale di uno Stato, ma come sede del Vicario di Cristo in terra, cui più di un miliardo di fedeli oggi viventi (a cui occorre aggiungere tutti quelli già vissuti e coloro che verranno) guardano come il loro vero capo e Pastore, come colui che ha il dovere di condurli alla vita eterna, unica vera meta di questa vita terrena.
Il Vicario di Cristo risiede in Roma, San Pietro è la sua chiesa e vive e lavora nei Palazzi Vaticani ad essa connessi. Da secoli e secoli, ogni uomo, dai giorni in cui il suo popolo ha ricevuto e accettato Cristo, ha Roma e San Pietro nel cuore e nella mente. Che sia stato armeno o franco, vichingo o incas, irlandese o filippino, polacco o portoghese, ricco o povero, libero o schiavo, nel suo cuore, nella sua mente, nei suoi desideri o ricordi, oltre giustamente alla sua patria, alla sua terra, alla “sua capitale”, c’è Roma e San Pietro.
Quanto detto è dimostrato dallo strepitoso successo del primo Giubileo del 1300, quando, senza aerei, treni e cellulari, bar e ristoranti ogni cento metri, milioni di persone vennero a piedi a Roma al richiamo del loro capo e pastore. Era già dimostrato naturalmente prima di allora, e lo sarà poi fino ad oggi, quando ogni anno milioni e milioni di pellegrini, nel silenzio dei media (eccetto casi eccezionali come il Giubileo del Duemila o la morte di Giovanni Paolo II) e accompagnati dal sorriso degli scettici e “progressisti”, si recano in pellegrinaggio “ad Petri Sedem”.
Dimostrando, appunto, come nel loro cuore e nella loro mente, oltre alla patria e alla propria capitale – qualunque essa sia – ci sia anche e anzitutto la vera patria, la vera capitale della propria anima, che appartiene indistintamente ad ogni uomo battezzato di buona volontà. La vera capitale Ma cosa c’è, in fondo, di “concreto” a San Pietro? Cosa spinge miliardi di uomini a sentire nella propria anima che quella basilica è la loro vera “capitale”, a spendere tempo e soldi per andarvi a pregare? L’interesse artistico-culturale? La voglia di “vacanze romane”? Per molti forse è anche questo, inutile negarlo, e per i non cattolici è solo questo. Ma si illude chi volesse far finta di credere che tutto si riduca qui. Per un numero indefinibile di uomini e donne, quelli che non compaiono nei film, nei periodici e nelle telenovelas, quelli che hanno Cristo nel cuore e ogni giorno servono e amano la Chiesa, c’è ben altro. Ma cosa, allora?
Semplice: le reliquie di un pescatore della Galilea vissuto quasi venti secoli or sono. Credo che ognuno di noi ora possa vedere nella sua mente il sorriso ironico di tutti i figli di Voltaire di tutti i tempi e luoghi, i quali, proprio dinanzi a tale affermazione, riderebbero sarcasticamente dello stupido fanatismo che ammala l’umanità dei fantasmi di una religione retriva, superstiziosa e sorpassata dalla storia.
Ma credo che ogni uomo di buona volontà possa al contrario leggere in questa affermazione la prova provata della infinita e irriducibile vitalità di una religione, anzi, dell’unica vera religione, l’unica sempre odiata e combattuta con ogni mezzo, in primis con il sangue di milioni di “testimoni”, che continua – nonostante tutto, nonostante il tempo, nonostante il numero sempre maggiore e sempre più “astuto” dei suoi nemici – a trionfare nel cuore degli uomini di tutto il mondo, e far sì che San Pietro sia non solo la Chiesa delle spoglie mortali di quel pescatore, non solo la sede terrena del suo vicario, non solo il cuore della stessa Chiesa Cattolica, ma … la “propria capitale”. Il proprio “centro del mondo”.
Al di là del tempo
Chi scrive è romano, e in quanto tale gli capita ogni tanto di trovarsi in Piazza San Pietro, specie la sera, a passeggiare. La sera la Basilica è oggi ancora più bella se possibile, per l’effetto incantevole dell’illuminazione notturna, per la quiete che vi si respira, per il senso dell’universale che riempie l’anima di chi apre il suo cuore alla Verità e alla Carità, per chi ha la possibilità di riflettere su questi diciassette secoli di storia della Chiesa, della Cristianità, dell’Europa, dell’Italia, di Roma stessa, racchiusi in quelle mura.
Ogni volta che mi trovo lì, alcuni pensieri costanti riempiono la mente e la fantasia. Anzitutto, provo sempre a scorrere nella mia memoria la storia di diciassette secoli che quelle mura conservano, sebbene ricostruite cinque secoli or sono. Facile e immediato mi riesce immaginare Costantino che progetta con i suoi architetti l’edificio che avrebbe dovuto rendere giusto onore al Principe degli Apostoli; immaginare i pontefici dei primi secoli in preghiera sulla tomba del primo vicario di Cristo per assumere le fondamentali decisioni riguardo i dogmi essenziali della fede cattolica già allora posti in dubbio dai nemici interni, gli eretici, o per chiedere aiuto contro i nemici esterni, da Oriente come da Occidente; subito l’immaginazione vola poi alla fatale notte di Natale dell’anno 800, quando Papa san Leone III incorona Imperatore Romano l’uomo restauratore dell’Impero stavolta Sacro e ideale fondatore della Res Publica medievale e della stessa Europa cristiana.
Vola poi ai secoli degli scontri con l’Islam aggressore, con gli imperatori ribelli, ma anche allo splendore liturgico e alla santità della Christianitas dei secoli bassomedievali, fino al momento del grande cambiamento, fino a quell’umanesimo e a quello spirito di novità (a volte vero e proprio “prurito”) e allo stesso tempo di ritorno al passato della classicità che spinse i pontefici rinascimentali a prendere forse la più sconvolgente di tutte le decisioni, tanto grave quanto da noi oggi del tutto incompresa: la distruzione della pur pericolante antica Basilica Costantiniana, ormai già dodici volte secolare e ricchissima di gloriosi eventi e infinite benedizioni (oltre che di opere artistiche di immenso valore, non ultime alcune di Giotto), per la costruzione di una nuova Basilica ancora da ideare esattamente nella sua complessità. Si trattò forse della più grande e “pericolosa” scommessa della storia artistica mondiale.
È per noi ancora oggi inimmaginabile il coraggio esercitato da quei pontefici, che furono però graziati dall’aver trovato al loro fianco alcuni fra i più grandi geni di tutti i tempi. E ciò permise di far sì che il risultato sia stato meraviglioso, tanto che dopo cinque secoli è perfettamente ancora ricco di tutta la sua incommensurabile carica artistica, architettonica e spirituale. La perfezione divina della cupola da un lato, e la simmetria del colonnato che abbraccia l’intera umanità che corre al suo Redentore dall’altro, hanno segnato per sempre l’apoteosi dell’unione fra la Bellezza dell’arte e la Verità e Carità dello spirito.
Centro dei cuori
Il pensiero prosegue poi nei secoli dello splendore e della serenità della Controriforma, per poi “agitarsi” dinanzi all’orrore degli eserciti rivoluzionari napoleonici e giacobini che profanano la basilica e saccheggiano il Vaticano, costringendo due pontefici all’esilio, e per poi rattristarsi dinanzi alla visione di un Papa rinchiuso a forza in quei Palazzi, dal 20 settembre del 1870…
E poi gli eventi gloriosi e tragici del XX secolo, la visione di un altro pontefice prigioniero che usa quei palazzi per salvare migliaia di ebrei dalla follia nazista, e la soddisfazione tutta cristiana di pensare alla fine che ha fatto dinanzi alla storia quell’altro folle regime assassino il cui odio per Cristo era tale che sempre si gloriò che i cavalli dei propri cosacchi avrebbero bevuto nelle fontane della Piazza della basilica…
E poi i nostri difficili giorni, giorni di amaro laicismo anticristiano cui risponde una sempre più rinnovata entusiastica adesione popolare alla vera fede del pescatore della Galilea. Ma anche un altro pensiero, poi, viene sempre alla mia mente quando mi trovo fra quelle colonne: in questo istante, in qualche parte del mondo, qualcuno sta sicuramente pensando al luogo in cui io mi trovo ora. Certo, non ne posso avere la riprova infallibile. Ma come pensare che ciò non sia possibile? E, inoltre, in quale altro posto del mondo si potrebbe avanzare con certezza morale una simile ipotesi? Quale altra città al mondo può vantare, oggi come ieri o domani, di essere il “centro del mondo”?
San Pietro e il suo vicario non hanno grandi eserciti o armi atomiche, un valido sistema bancario e nemmeno si batte moneta, non hanno organizzazioni massmediatiche di potenza internazionale (e neanche nazionale), e sono tutt’altro che amate dagli altri miliardi di uomini. Eppure, quale altro centro del mondo può competere con quello dove è sepolto un pescatore della Galilea, cui tutti pensano, che milioni di esseri umani pregano? Questo pescatore non era un filosofo, un retore o uno celebre scrittore, un legislatore o un generale, un politico o un ricco.
E non aveva neanche un carattere facile… Ebbe la “ventura” di incontrare un giorno sulla sua strada per il lavoro la Verità incarnata, il Salvatore del mondo. Il suo merito fu solo uno, ma di valore incommensurabile: l’avergli donato il suo cuore e la sua anima, fino in fondo, anche nel giorno del tradimento, fino alla morte, avvenuta sul colle Vaticano in Roma. Il suo Signore lo scelse come suo vicario e come capo della sua Chiesa, dandogli le chiavi della “capitale terrena” dell’umanità e anche della porta della patria celeste.
Volle esplicitamente che egli morisse in Roma, rimandandolo indietro mentre vi fuggiva. Il suo Signore, che è il Redentore del mondo, volle esplicitamente che egli morisse in Roma affinché la sua Chiesa vivesse in Roma, con la presenza di tutti i suoi eredi. Affinché il colle dove egli subì il martirio in nome del suo Signore, divenisse appunto il “centro del mondo”. Il suo Signore volle che il Galileo divenisse “Romano”, e che romana fosse la sua Chiesa, cattolica e apostolica. Romana nel senso universale del concetto, «… di quella Roma onde Cristo è Romano» (Purgatorio, 32,102).
Di quella Roma che è San Pietro, di quella Roma fonte di ogni Carità verso il Cielo e la terra, da cui promanano la Verità e la Fede, dove si esercita la giustizia e il discernimento, ove si insegnano la legge morale e la sapienza del saper vivere, la diplomazia e la visione universale della vita, da dove scaturiscono da secoli la cultura e la bellezza dell’arte, da dove si anima il soccorso verso chi è nel bisogno e nel dolore. Di quella Roma che è “mater et magistra”. Di quella Roma che è il “centro del mondo”.