La Passione di Cristo: un incrocio impensabile
Di don Massimo Vacchetti (del 30/03/2007 @ 15:20:35, in Religione, linkato 1860 volte)
Sabato mattina i miei alunni assisteranno alla Passione di Cristo del poeta fiorentino Mario Luzi. Ho scritto questa presentazione. “Si può vivere senza passione?” è l’espressione della protagonista di un film che ho fatto vedere in una delle classi in cui insegno. La domanda, in prima battuta, sembrerebbe retorica: no, non si può vivere senza passione! Eppure, sappiamo – è l’esperienza personale a ricordarcelo amaramente- che le nostre giornate sono piene di quest’assenza, gonfie di tanto vuoto, abitate da sconfinati deserti. E continuiamo a vivere, senza vivere veramente. Nella Via Crucis che il Giovanni Paolo II nel Venerdì Santo del 1999 fece scrivere al poeta fiorentino Mario Luzi si trovano questi versi messi sulle labbra del Cristo sofferente mentre si rivolge al Padre: “Com'è solo l'uomo, come può esserlo! Tu sei dovunque, ma dovunque non ti trova. Ci sono luoghi dove tu sembri assente e allora geme perché si sente deserto e abbandonato”. Il dramma della vita dell’uomo si gioca sulla verità della sua vita. E’ tragicamente possibile vivere senza passione. Ed è disperatamente possibile far tacere il grido di infinito, di felicità, di eternità che esplode in me cosicché è possibile che le ore, i giorni, i mesi, gli anni, perfino una vita – pur nell’intensità e nell’affanno delle cose da fare, da vedere, da gustare, ossia nell’inganno di vivere – rischiano di passare vanamente senza cioè aver vissuto veramente. Anzi, è possibile – e questa è l’illusione più tremenda – scambiare l’arrendevolezza con la vibrazione ed il coraggio, la noia con la passione. Luzi definisce questa perversione con questa immagine: “Non sappiamo se la gente che è davanti alla televisione sia con le mani alzate in segno di resa o di adorazione”. E’ bene che qualcuno ci ricordi che senza passione non è possibile vivere! Solo chi ha nel cuore e nell’animo un grande ideale può pensare di affrontare la vita, “non con le mani alzate in segno di resa”, ma con quelle alzate del vincitore. Senza una ragione per cui alzarsi al mattino, anche il lavoro più soddisfacente, gli affetti più rasserenanti, la salute più agiata, non sono sufficienti per dare valore alla vita. E la vita, presto o tardi ce ne chiederà conto. Perché la vita è severa. Perché il cuore – che domanda la verità, la felicità, l’eternità – è esigente. La parola passione è evocativa per me, per un giovane, di due sentimenti opposti. Il primo indica un’ ardore, una vibrazione, un’animazione dei sensi e dell’essere, ultimamente un amore travolgente, un amore erotico; il secondo indica, una sofferenza, una privazione, una solitudine inaccessibile, nemmeno a Dio. Io desidero l’una e rifiuto l’altra, almeno per quanto sta nelle mie facoltà. Sono inconciliabili. Recentemente un altro Papa, Benedetto XVI, ha detto una cosa incredibile. Quasi nessuno se n’è accorto e questo è ancora più incredibile. Pensiamo di sapere già e non sappiamo niente. Queste sono le sue parole: “Nella Croce si manifesta l’amore erotico di Dio per noi. Eros è infatti quella forza “che non permette all’amante di rimanere in se stesso, ma lo spinge a unirsi all’amato”. Quale più “folle eros” di quello che ha portato il Figlio di Dio ad unirsi a noi fino al punto di soffrire come proprie le conseguenze dei nostri delitti?” C’è un uomo – Gesù di Nazareth – che ha alzato le braccia, per sempre. Ha vissuto la vita, donandola in modo ap-passionante, dall’inizio alla fine. Anzi da prima dell’inizio all’eternità. La sua pretesa è tale da identificarsi con la vita stessa: “Io sono la vita e sono venuto a per la dare vita in abbondanza”. Luzi mette in bocca al Figlio di Dio questo canto d’amore alla vita: “Io non sono di questo mondo eppure non potevo se non teneramente amarla […] Padre mio, mi sono affezionato alla terra quanto non avrei creduto. E’ bella e terribile la terra […] Mi sono affezionato alle sue strade, mi sono divenuti cari i poggi e gli uliveti, le vigne, perfino i deserti”. (Via Crucis 6; 12). Le sue braccia sono alzate. La sua non è una resa, ma una vittoria. Ha unito nel segno della croce, come in uno sposalizio impossibile, l’amore con il dolore, la miseria con la misericordia. “Nulla è impossibile a Dio” aveva detto l’angelo a sua madre. Si riferiva alla possibilità di vivere la vita come una passione d’amore. Com’è possibile vivere così? E’ lui stesso a dircelo e a mostracelo in un gesto perché se le parole non si raccordano con i fatti sono vuote, cioè diventano utopia, eresia del vero. E’ l’evangelista Giovanni, il discepolo amato, a ricordarle e a consegnarcele nelle sacre Scritture: “Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” – cioè prima che “gli facciano festa”, vive il rapporto con i suoi amici, in modo totalmente appassionante. Sino alla fine vuol dire sino alle conseguenze più esigenti dell’amore, cioè “senza una fine”. Questo è l’eros a cui si riferiva il Papa. “Si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell`acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l`asciugatoio di cui si era cinto”. Sino alla fine, sino ai piedi, sino alle ossa, passando per il cuore, la mente, le mani…tutto di me gli interessa. Io sono la Sua Passione! E terminato questo gesto immenso rivolto ai suoi, oggi, a noi, dice: “Vi ho dato infatti l`esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi”. La Passione di Cristo è la Sua Passione per me, perché io viva della Sua stessa Passione. Ho bisogno di uno che mi dica che è possibile vivere la mia giornata, la mia fatica, il mio lavoro, la mia malattia in un modo che non sia solo la lamentela o il desiderio di fuga. Ho bisogno di uno che coniughi tutto il vivere in un abbraccio d’amore, con i piedi lavati e le mani alzate…partecipe della sua vittoria!