Il centocinquantesimo dell’Unità d’Italia (1861) e l’attuale guerra in Libia (2011), colonia italiana a partire dal 1911, inducono ad un interrogativo per lo più volutamente eluso: che rapporto esiste tra Risorgimento, da una parte, e nazionalismo, imperialismo, I guerra mondiale e fascismo, dall’altra?
La storia, si sa, è una catena di eventi in cui vi è spesso una certa continuità tra un fatto importante e il seguente. Chi oggi si ri-mette in testa l’elmo di Scipio, non può ignorare che proprio il nazionalismo fu il motore del Risorgimento, e portò alla creazione di una vera e propria religione laica della patria. Si insegnò al popolo, sin dalla scuola, a venerare la Nazione e i suoi “martiri”, a frequentare le sue cerimonie sacrali, a sacrificare ben tre anni della propria vita nel compimento del servizio militare per la potenza del paese. E il nazionalismo non poteva che degenerare nell’ imperialismo.
Scriveva Mazzini: “Come il Marocco spetta alla penisola Iberica e l’Algeria alla Francia, Tunisi chiave del Mediterraneo centrale spetta visibilmente all’Italia. Tunisi, Tripoli e la Cirenaica formano parte…di quella zona Africana che appartiene veramente fino all’Atlante al sistema Europeo. E sulle cime dell’Atlante sventolò la bandiera di Roma, quando, rovesciata Cartagine, il Mediterraneo si chiamò Mare nostro. Fummo padroni, fino al V secolo, di tutta quella regione. Oggi i Francesi l’adocchiano e l’avranno tra non molto se noi non l’abbiamo”.
Giustamente Domenico Settembrini, commentando queste righe, notava un legame tra il nazionalismo imperialista di Mazzini e il “nazionalfascismo dell’età contemporanea”. Del resto il richiamo all’antica Roma, quella dei Cesari, contrapposta alla Roma dei papi, “imbelle” ed universalistica, era un tema tipico di molti Risorgimentali, caro anche al regime di Mussolini.
Nazionalismo risorgimentale, imperialismo e fascismo: quale trait d’union più evidente di Francesco Crispi, l’uomo che fu al fianco di Garibaldi, in Sicilia, e che tentò poi, una volta al governo, di realizzare una svolta autoritaria e l’imperialismo auspicato da Mazzini? L’espansionismo di Crispi, scrive Francesco Maria Feltri, “nacque solo all’insegna del prestigio, della convinzione che il regno d’Italia, dopo aver sottomesso un vasto stato africano come l’Etiopia, avrebbe potuto trattare al pari con le altre potenze europee”. Ma la sconfitta ad Adua, nel 1896, segnò l’interruzione di un sogno che sarebbe stato rilanciato dal partito nazionalista, con l’attacco alla Libia, nel 1911, e con Mussolini, che avrebbe appunto completato la conquista della Libia e realizzato il sogno crispino di conquistare l’Etiopia.
Sempre il Feltri nota che dopo Adua, “restò comunque nell’opinione pubblica una fortissima volontà di rivincita, su cui avrebbe fatto leva il fascismo quarant’anni dopo…”. Quanto al colonialismo italiano, conclude: “sotto questo profilo tra lo Stato liberale e il fascismo non ci fu alcuna soluzione di continuità”.
Le guerre di Crispi furono dunque figlie anche di una sanguinaria ideologia patriottarda. Dichiarava Crispi stesso nel 1864: “Fino al 1860 guerre veramente italiane non ce ne sono state…Ora…l’Italia ha bisogno di un battesimo di sangue: lo deve a se stessa affinché le grandi nazioni d’Europa sappiano che anch’essa è una grande nazione, e che è abbastanza forte per farsi rispettare nel mondo”.
Occorreva dunque, forgiare gli italiani, il nuovo Stato, per mezzo di un avvenimento grandioso come la guerra. In fondo, nota Sergio Romano, anche la I guerra fu fatta per “fare gli italiani”; per “cementare la Nazione come può fare soltanto la guerra” (Giovanni Gentile), perché “la patria non era ancora compiuta” e “bisognava compierla” (G. De Ruggiero).
Anche la campagna di Libia, dopo quella d’Etiopia di Crispi e prima di quella d’Etiopia di Mussolini, fu figlia legittima del nazionalismo risorgimentale. Si pensi al discorso di Giovanni Pascoli, “La grande proletaria si è mossa”, dove è ben chiaro che anche certo socialismo di allora era intriso di retorica mazziniana. Pascoli, cantore ufficiale dell’Unità, da un lato si richiamava, come Mameli e Mazzini, alla Roma pagana, di cui la Libia avrebbe rivisto “le legioni romane”; dall’altra presentava la guerra come naturale sbocco del Risorgimento: “Ora l’Italia, la grande martire delle nazioni, dopo soli cinquant’anni che ella rivive, si è presentata al suo dovere di contribuire per la sua parte all’umanamento e all’incivilimento dei popoli…”.
Difficile allora - dopo aver ricordato l’educazione risorgimentale di Mussolini, il fatto che egli portò a termine le imprese coloniali iniziate proprio in quegli anni, che si forgiò nell’odio, anch’esso tipicamente risorgimentale, verso l’Austria e, soprattutto, nella Grande Guerra, presentata e vissuta come compimento del Risorgimento-, negare la stretta parentela tra nazionalismo risorgimentale e ideologia fascista dell’Impero, della Roma antica e della guerra. Ha scritto Montanelli, riguardo a Garibaldi: “i volontari, gli arditi, i marciatori su Fiume e su Roma, sono tutti figli suoi”. E di Mazzini, di Crispi e del pagano “elmo di Scipio”. Il Foglio, 31/3/2011
p.s Nota: la I guerra modniale costò all'Italia 680.000 morti, un milione di feriti e mezzo milione di invalidi permanenti