Non sono più i tempi di quando ”l'ha detto la radio” è il sigillo della verità. Le troppe menzogne hanno diminuito la credibilità dei mass-media e da qualche anno sappiamo che la TV ha mille modi per falsificare le immagini che dovrebbero documentare i fatti.
Ciò non toglie che esista ancora un gran numero di anime belle, pronte a credere che gli aerei francesi e inglesi e i missili americani stiano bombardando la Libia per ragioni umanitarie. Del resto bisogna capirle.
Questa volta c'è il sigillo del Consiglio di Sicurezza dell'ONU e, per quanto riguarda l'Italia, di tutti i partiti dell'arco costituzionale e di quello incostituzionale. Solo la Lega ha avanzato qualche timido distinguo e si è subito guadagnata le vociferanti rampogne del Pieferdy Casini.
Purtroppo non appartengo al novero delle anime belle e non credo alle ragioni umanitarie, soprattutto quando vengono accampate da governi che non hanno mai mostrato la minima nota di umanità. Probabilmente il guaio è che sono abbastanza avanzato nell'età per ricordarmi delle iniziative belliche di Francia e Inghilterra ai tempi ormai remoti della prima crisi di Suez.
Allora l'arte della menzogna era meno perfezionata e i due governi (che in quel caso non ebbero successo) non nascosero di agire nel proprio interesse. Oggi non sarebbe possibile. La comunità internazionale tollera, come allora e più di allora, guerre e bombardamenti, ma esige che si chiamino operazioni di peacekeeping (l'inglese aiuta sempre, come una volta il latino) a tutela dei diritti umani.
Quei diritti umani che, purtroppo, sono diventati la maschera o (a piacimento) il cavallo di Troia delle peggiori infamie. In realtà non occorre essere troppo avanzati negli anni per ricordare che nel 1990, in occasione della Desert Storm, gli Stati Uniti (fiancheggiati da 35 “volonterosi”), per salvare i diritti umani dei propri soldati, bombardarono per tre mesi le principali città irachene cagionando (secondo i dati forniti dal sempre modesto Pentagono) 160mila morti civili, fra cui 32.195 bambini.
Oppure per rammentare la Operation Allied Force della Nato in Serbia a sostegno dei diritti umani dei trafficanti di droga del Kosovo (siamo nel 1999), gli interventi in Afghanistan del 2001 e tuttora in corso, o quelli del 2003 alla ricerca delle fantomatiche “armi di distruzione di massa” con le quali Saddam Hussein avrebbe potuto causare l'apocalisse. Per converso nessun Consiglio di Sicurezza ha mai imposto "no fly zone" ai caccia americani che bombardano a tappeto cittadine e villaggi afgani, facendo ogni volta decine di vittime civili, esattamente come si dice stia facendo in Libia Gheddafi, che però non dispone di “droni” (aerei senza pilota e di massima imprecisione), oppure alle armate russe in Cecenia o a quelle cinesi in Tibet.
Per questi paesi valgono sempre il principio di "non ingerenza militare negli affari interni di uno Stato sovrano" e il diritto di autodeterminazione dei popoli sancito a Helsinki nel 1975 e sottoscritto da quasi tutti i Paesi del mondo, inclusi i componenti dell'attuale congrega dei cosiddetti “volonterosi” (anche l'Italia ne è parte e purtroppo con giustificazioni scandalose da parte dei ministri degli esteri e della guerra: “non vogliamo restare indietro agli altri”, “non vogliamo essere volonterosi di serie B”). Concludiamo con una osservazione da giurista (che, appunto perché tale, non conta nulla e non interessa a nessuno).
Qualunque autorizzazione sia stata scambiata a voce all'interno del Palazzo di vetro, una lettura logica del provvedimento che autorizza la “no-fly zone” sulla Libia e il ricorso a tutte le misure necessarie per realizzarla avrebbe imposto di intimare anzitutto a Gheddafi di sospendere non già le operazioni militari, ma i voli dei suoi aerei e di ricorrere alle misure necessarie (esclusa l'invasione di terra), solo una volta caduto nel vuoto l'invito. Tutt'al contrario la Francia, molto esperta in guerre coloniali, non ha atteso un attimo per iniziare i bombardamenti e centrare una buona quantità di carri armati, che, fino a prova contraria, non hanno le ali e non volano. La voce della Romagna