Quando Pio IX voleva un'Italia unita e federale
Di Francesco Agnoli (del 04/02/2011 @ 08:53:39, in Storia del Risorgimento, linkato 1644 volte)


Il 1848 è l’anno delle rivoluzioni. A questa data sul soglio pontificio siede Pio IX. I moti del 1820-21, guidati dalle sette, si sono rivelati un flop. Lo stesso può dirsi dei moti del 1831. Qual è la posizione del nuovo papa? Pio IX è convinto che sia giunto il tempo di unificare l’Italia, senza spargimento di sangue e senza rivoluzioni: il suo desiderio è una Confederazione.

 A questa data sono in auge le idee dell’abate Vincenzo Gioberti, che col suo neoguelfismo, probabilmente machiavellico, ottiene ascolto non solo in Vaticano ma presso un pubblico piuttosto ampio di moderati e cattolici che vedono nelle sue proposte la possibilità di unificare il paese senza passare da una rivoluzione. Secondo Massimo Viglione, nel suo “L’identità ferita”, Gioberti è l’uomo che volutamente avvicina alle masse il programma nazionale borghese che altrimenti non avrebbe avuto alcun successo. Il suo scopo non sarebbe dunque quello di una confederazione neoguelfa, con a capo il papa, ma la strumentalizzazione del papa stesso per avvicinare i cattolici ad una rivoluzione che altrimenti li spaventerebbe.

Fatto sta che Pio IX, anche su consiglio dell’abate Rosmini, aspira ad una Italia confederata. L’idea federale è così chiara a Pio IX che egli lavora ad una Lega doganale, ostacolata dai Savoia, e chiama, come I ministro pontificio, Pellegrino Rossi, giurista di fama e redattore della Carta Costituzionale della Confederazione Elvetica. Si può tranquillamente dire che nel 1848, oltre al papa, buona parte del clero parteggi per quella che il gesuita Giuseppe Romano chiama una “Lega federativa, diretta a tutelare a ciascuno dei popoli federati i suoi diritti, gli istituti, le proprietà, le franchigie…”.

 Allo scoppio della I guerra di indipendenza, nello stesso 1848, Pio IX, piuttosto ingenuamente, concede l’invio di un corpo di spedizione, guidato dal generale Durando, “come partecipazione simbolica allo sforzo congiunto di quasi tutti i monarchi italiani contro l’Austria”. Durando va ben oltre gli ordini ricevuti, mettendo il papa in grosse difficoltà. In Curia infatti c’è chi, come Corboli Bussi, intimo del pontefice, paragona la ribellione lombarda a quella americana e la ritiene giusta e motivata, e chi invece frena perché ha meglio del papa compreso le mire di Carlo Alberto.

 Pio IX, scrive Giacomo Martina nel suo “Pio IX”, si trova dunque tra più fuochi: “il suo stesso entusiasmo nazionale, vivissimo in quelle infuocate giornate”, che gli fa credere di rivivere i fasti dell’antica alleanza tra i comuni lombardi e Alessandro III contro i tedeschi, e una serie di altre considerazioni che lo spaventano. Anzitutto: può un pontefice partecipare ad una guerra contro una nazione cattolica, senza che vi sia una iusta causa? In secondo luogo: quanto sono forti le spinte anticristiane nel movimento unitario? Soprattutto è presto chiaro, al papa come agli altri sovrani italiani, che Carlo Alberto è disinteressato ad una Lega italiana e non persegue altro che la propria espansione.

Egli, inoltre, mentre da una parte perseguita i Gesuiti, dall’altra cerca di fare del papa il cappellano della sua guerra sabauda. Mentre dunque i piemontesi strumentalizzano il patriottismo di Pio IX, sino a volerlo banditore di una guerra santa antiaustriaca, dall’altra, in Austria, il papa, le cui simpatie italiane non sono ignote, viene al contrario presentato come un perfido nemico del paese. Addirittura come il fomentatore della ribellione lombarda.

 In Austria comincia una campagna di stampa molto violenta contro Pio IX i cui soldati sono accusati di “uccidere gli austriaci”. Le forze anticristiane ne approfittano per andare all’attacco, facendo leva sulle vecchie tendenze giuseppiniste e sui protestanti. Si chiede a gran voce la separazione da Roma, la soppressione di vari ordini religiosi. Mentre in Italia i Gesuiti vengono attaccati con violenza, in Austria il 7 aprile i Redentoristi vengono espulsi da Vienna. Se non bastasse il primate d’Austria minaccia lo scisma.

 In questa condizione Pio IX corre ai ripari: stende un abbozzo di Allocuzione, che viene pubblicata il 29 aprile del 1848, in cui dichiara sia la propria neutralità sia il carattere religioso e non politico della missione della Santa Sede, senza però nascondere la sua simpatia per la causa italiana. Ma l’Allocuzione, che condanna anche l’idea di mettere il papa a capo di un futuro Stato italiano, viene rimaneggiata dalla Segreteria di Stato, che sfuma la simpatia di Pio IX verso la causa italiana: ne esce un proclama, giusto ma “mediaticamente” improvvido, che non soddisfa né l’Austria, né i suoi nemici, ed anzi dà il fiato agli avversari italiani della Chiesa, che colgono al balzo la possibilità di additare la neutralità non indifferente di Pio IX come complicità con il “tiranno straniero” .

 E’ l’uccisione di Pellegrino Rossi, il 15 novembre 1848, accoltellato da un carbonaro, a precipitare le cose, segnando la vittoria dei facinorosi e dei violenti, la fine delle speranze federaliste e l’allontanamento definitivo di Pio IX, costretto alla fuga, da Roma prima e dalla causa unitaria, così come si era delineata, poi. continua Il Foglio, 3 febbraio 2011