La priorità è scommettere sulla famiglia
Di Walter Viola (del 20/03/2007 @ 15:25:28, in Politica, linkato 1320 volte)

Vi sono casi nei quali la politica dispone di dati attendibili, e non solo di opinioni soggettive, per valutare le situazioni, selezionare i temi e i problemi prioritari e davvero degni di attenzione. Si potrà poi tener conto o meno di questi elementi oggettivi, ma solo se nelle scelte si rispetteranno questi dati di realtà l’atteggiamento sarà davvero laico, cioè non ideologico, non preventivamente preoccupato di affermare ad ogni costo, fino a negare l’evidenza, le proprie opinioni. E’ a mio avviso anche l’indebolirsi di questa attitudine laica, vale a dire realistica e popolare (la radice greca della parola laico è infatti laos, “popolo”), ovvero la tendenza a sottoporre il pur “duro e cocciuto” carattere dei fatti all’affermazione ostinata e “a prescindere” delle proprie idee, ad aver caricato la questione delle coppie non sposate in Italia di una rilevanza politica e mediatica sproporzionata rispetto alla consistenza effettiva del fenomeno. Perché se con lo sguardo scevro da pregiudizi badiamo all’esito delle più autorevoli indagini statistiche prodotte sull’argomento, è molto difficile giustificare la fretta di chi sostiene la necessità di una rapida approvazione del disegno di legge sui Dico “partorito” dal governo Prodi o ora al vaglio del Parlamento. Nel 2006 l’Istat, l’Istituto nazionale di statistica, ha rilevato la formazione in Italia di 1.300 unioni di fatto, il 47 per cento delle quali formate da celibi e nubili. Dall’indagine è emerso che i Dico potrebbero teoricamente interessare il 3,9 per cento della popolazione. Il condizionale è d’obbligo, perché bisognerebbe sapere quante coppie si servirebbero della legge se venisse approvata. Un autorevole demografo dell’Istat, Bacci, stima che ai Dico potrebbero, forse, essere interessate fra le 10 e le 13mila unioni di fatto. E’ tutto da vedere poi quante di queste convivenze, nate anche a motivo di una intenzionale e strutturale provvisorietà, intendano assoggettarsi a norme e vincoli di tempo fissati dall’ente pubblico. Lo dimostra l’irrilevanza delle iscrizioni finora raccolte dai pubblici registri dei conviventi, creati in alcuni Comuni fra i quali anche Trento (in tutta Italia ad oggi risultano tra le 145 e le 154 coppie). A servirsi della nuova legge potrebbe essere un numero a dir poco esiguo di coppie di fatto, anche perché molti dei casi di queste unioni attendono semplicemente che si verifichino le condizioni (personali, abitative, lavorative, ecc.) per potersi trasformare in matrimoni. E’ quindi perlomeno discutibile da parte dei politici lasciar credere che la legge sui Dico, una volta varata dal Parlamento, si applicherà in modo pressoché automatico ai conviventi. Il dato certo è che la domanda sociale di una disciplina statale in questo campo è irrisoria. Tanto più che ben altre preoccupazioni si impongono all’agenda politica del Paese, nella quale, anche per la gente comune i Dico non figurano. Da un’intervista a 1000 persone realizzata a Roma il 7 e l’8 febbraio dalla società Codres per conto delle Acli, risulta che alla richiesta di segnalare quali leggi ritenessero prioritarie, il 41% ha risposto collocando in cima alla lista la correzione degli squilibri del sistema pensionistico, il 39% ha sottolineato la necessità di norme che risolvano i problemi della sanità, un altro 39% ha proposto di affrontare i problemi del lavoro precario, il 24% di ridurre gli sprechi della pubblica amministrazione, e ancora il 24% di promuovere una politica di sostegno alla famiglia. Solo per il 6% degli intervistati la regolarizzazione dei Dico sarebbe prioritaria. Alla prova dei fatti non sta in piedi neanche l’argomento che i Dico andrebbero approvati per una questione di principio, quella dei diritti dei singoli conviventi. Il che è falso non solo perché per tutelarli basta il codice civile, ma anche perché, come ha giustamente notato l’Arcivescovo di Trento, con i Dico lo Stato offrirebbe un’alternativa al matrimonio proprio nel momento in cui in Trentino come in Italia c’è invece estremo bisogno di sostenere la famiglia. Come afferma anche un recente appello lanciato dall’associazione Libertà e Persona. Non solo per motivi etici, ma anche demografici. Nel nostro Paese, infatti, il tasso di fecondità totale (che misura i nati per donna in età feconda; è il caso di ricordare che sotto l’1,9 non è garantita la stabilità demografica), è sceso dall’1,33 del 2004 all’1,32 del 2005. In Francia è 1,94. Nel Regno Unito a 1,8 come in Finlandia e Svezia, mentre nei Paesi Bassi è a 1,73. Se questo è oggi il primo grande problema non solo a livello nazionale ma anche in Trentino, come dimostra l’ultimo Rapporto sulla situazione sociale ed economica della nostra provincia, una politica responsabile dovrebbe creare da subito condizioni più favorevoli perché si formino famiglie, e non convivenze, nelle quale sia meno problematico generare e crescere dei bambini. Perché i figli nascono e crescono in modo equilibrato, come i dati anche qui dimostrano ampiamente, molto più nelle famiglie che nelle unioni di fatto. E che oggi le famiglie siano in difficoltà è un motivo in più perché lo Stato ne sostenga maggiormente le responsabilità. Non con iniziative “tampone”, ma rendendola l’unità di misura della qualità di tutti gli interventi, legislativi e amministrativi. Perché dietro i Dico la vera querelle è fra chi scommette sulla famiglia e chi preferirebbe invece affossarla. Per questo ho sottoposto al Consiglio provinciale un disegno di legge, ora all’esame della quarta commissione, che propone di valutare l’impatto di ogni iniziativa pubblica sulla famiglia in modo da adeguare gli strumenti – nel campo delle tariffe, dei servizi sociali, sanitari, scolastici, della casa e del lavoro, ecc.– alle sue esigenze concrete. Sono convinto che l’affermazione della “centralità della persona” resta un’enunciazione astratta se non si traduce in azioni precise a supporto dei compiti della famiglia, prima formazione sociale in cui ogni essere umano si sviluppa e inizia a realizzarsi. Il che è non a caso riconosciuto dalla Costituzione anche grazie al contributo determinante non solo della componente democristiana, ma anche di Palmiro Togliatti. Il quale durante i lavori dell’Assemblea Costituente propose questa formula: “La famiglia è riconosciuta come naturale associazione umana ed è tutelata allo scopo di accrescere la prosperità materiale e la solidità morale della nazione”. Un atteggiamento quello recepito dalla costituzione e anche quello di Togliatti, laico e popolare, perché leale verso i dati della realtà e verso il popolo italiano e che mantiene a tutt’oggi tutta la sua validità.

Walter Viola

Consigliere provinciale di Forza Italia