Disquisire dell’attuale riforma dell’Università è un’impresa in cui non mi addentro. Bisognerebbe averci studiato sopra per mesi, averne pesato bene i pro e i contro ecc. Un’impresa che penso non abbiano compiuto la stragrande parte dei manifestanti di questi giorni.
Gli scioperi li ricordo anch’io, ai tempi del liceo: qualche galletto, sempre in cerca di visibilità, lanciava uno slogan e sperava che il popolo bue abboccasse… Ed effettivamente non pochi abboccavano, vuoi per far casino, vuoi per fiducia in chi “sapeva”, vuoi per pecoraggine ecc… Ricordo già allora il mio fastidio per chi si faceva irreggimentare in un certo modo, abdicando così alla sua libertà ed alla sua ragione. Ma si sa, siamo nell’epoca delle masse, e come insegnava già Le Bon, alle masse occorrono poche idee, non approfondite, schematiche e manichee…i ragionamenti complessi, i distinguo, le argomentazioni, non funzionano, in piazza.
Le manifestazioni di questi giorni mi sembrano molto simili a quelle di allora.
E’ vero, oggi le cose stanno peggio, i giovani hanno dinnanzi a sé un futuro spesso difficile.
Ma chiediamoci cosa è stato fatto per loro con l’ultima vera riforma universitaria, quella dell’on. compagno Berlinguer, della grande dinastia sarda dei compagni Berlinguer che continua oggi con Bianca Berlinguer: nulla.
Si propose una riforma per abbreviare i tempi dello studio: la gran parte delle facoltà duravano 4 anni e Berlinguer propose di accorciare i tempi introducendo il 3+ 2. Non si accorse, il poveretto, che 3+2 fa 5, e che quindi la sua riforma serviva anzitutto ad allungare i tempi.
E poi? Cosa fece il compagno sardo per impedire che l’università fosse, come spesso è, il regno dei baroni?
Per impedire che il requisito fondamentale per accedere alle cattedre fosse non solo il merito ma, spesso, la parentela, l'amicizia o l’appartenenza politica (senza nulla togliere a tanti professori veramente degni)?
Per scongiurare la fuga dei cervelli?
Per rendere quel pezzo di carta sempre più inutile, e cioè la laurea, qualcosa di valido e di spendibile?
Cosa fece per ridurre una spesa pubblica universitaria assolutamente sproporzionata, per l’esistenza di corsi assolutamente deserti, di cattedre inutili e costose, costruite ad hoc per qualcuno?
Cosa fece per far sì che l’assunzione in università fosse regolata da concorsi credibili?
Ricordiamo Berlinguer, anche le sue SSIS, scuole post-università assurde, costosissime, in cui insegnanti pagati profumatamente servivano a tenere parcheggiati altri due anni, a pagamento, gente già laureata, in attesa di metterla in attesa, in scontro, con i precari già precedentemente abilitati?
Se siamo nel caos, ringraziamo anche e soprattutto Berlinguer.
La Gelmini, per quello che ho capito, sta solo tentando qualche risposta, opinabile, certamente, ma in certi casi ottima, al disastro che viene avanti da troppi anni.
Almeno, così mi sembra...