Il lettore mi scuserà se torno periodicamente sul tema Big Bang. A spingermi, questa volta, è la recente morte di Allan Sandage, astrofisico che fu discepolo del grande Edwin Hubble, l’astronomo che scoprì l’espansione dell’universo. Sandage, morto il 13 novembre scorso all’età di 84 anni, “ha svolto importanti ricerche anche nell’ambito della datazione delle stelle e sulla classificazione delle galassie e dei loro processi di formazione ed evoluzione e fu il primo a riconoscere l’esistenza di quasar privi di intensa emissione radio”. Tra i suoi numerosi riconoscimenti scientifici poteva vantare anche la medaglia Pio IX. Era infatti un credente, convinto che il Big Bang e l’espansione dell’universo si accordassero molto bene con l’idea teologica di creazione e di universo finito.
Si tratta di una convinzione non da poco, che ci riporta sempre al tema chiave del dibattito tra teisti e non: l’universo è stato creato, e come tale presuppone un Dio-Causa prima, oppure non è stato creato, e, perciò, esiste da sempre?
A questa domanda antica come l’uomo, ha dato una svolta, a mio avviso, proprio la teoria del Big Bang, secondo la quale l’universo avrebbe cominciato ad esistere da un certo istante, al principio della storia e del tempo Questa teoria era già stata concepita, in nuce, dal vescovo francescano Roberto Grossatesta nel XIII secolo e poi, soprattutto, all’inizio del Novecento, da un altro sacerdote, Georges Lemaitre.
Subito, come si sa, l’idea di un “atomo primordiale” come origine del cosmo materiale trovò i suoi oppositori tra coloro che non volevano assolutamente credere nella finitezza dell’universo, per motivi puramente ideologici. Sappiamo che lo stesso Einstein reagì all’ipotesi di Lemaitre affermando: “Si vede bene che siete un prete”.
La reazione è perfettamente comprensibile, e non fu certo la più dura.
Del resto come avrebbe reagito un darwinista materialista come Julian Huxley, il quale aveva dichiarato: “La terra non è stata creata, si è evoluta. Così gli animali, le piante, inclusi noi uomini, la mente e l’anima, come il cervello e il corpo. Così la religione”?
E cosa avrebbe detto un Karl Marx, il quale nei suoi “Manoscritti economico filosofici del 1844” parlava di “sussistenza per opera propria della natura e dell’uomo”, e per negare la creazione, incompatibile con il materialismo ateo, sosteneva che tale idea è così diffusa tra la gente per la nostra attuale dipendenza, la nostra abitudine alla società capitalista e padronale? La scienza invece, proseguiva un po’ goffamente Marx, riconduce tutto alla “generazione spontanea”, escludendo la necessità di una Causa trascendente: “La creazione della terra ha ricevuto un potente colpo dalla geognosia, cioè dalla scienza che descrive la formazione della terra, il divenire della terra, come un processo di autogenerazione. La generatio spontanea è l’unica confutazione pratica della teoria creazionista”.
Certamente la teoria del Big Bang, dunque, mette dinnanzi ad una considerazione: se l’universo ha cominciato ad esistere, significa che prima non c’era. Ma perché allora è nato? Dal momento che il nulla non può produrre né “autogenerare” nulla, quale è stata la Causa dell’universo?
Giustamente, nella sua ottica atea, John Maddox, per vent’anni direttore della rivista scientifica “Nature”, nell’agosto 1989 pubblicava un editoriale intitolato “Down with the Big Bang” (“Abbasso il Big Bang”), in cui notava che “il big bang è un effetto la cui causa non può essere identificata e neppure discussa”, con gli strumenti, aggiungiamo noi, della scienza sperimentale. E proseguiva: “I creazionisti e quelli dalle convinzioni simili…trovano ampia giustificazione nella dottrina del Big Bang. Loro potrebbero dire che quello è il momento e il modo in cui è stato creato l’Universo”.
In effetti, avrebbe commentato Sandage la scienza “può rispondere solo a un tipo di domande, che concernono il cosa, il dove e il come”, ma non il perché profondo; può arrivare al “primo effetto”, l’universo, ma non alla sua origine. E’ per questo che ipotesi come quella del Big Bang sono perfettamente compatibili con il “tipo di teologia medievale che ha cercato di trovare Dio identificando la Causa Prima”.
Ciò è tanto vero che se provassimo a fare un salto indietro nel tempo troveremmo che anche i primi cristiani avrebbero accolto con favore la teoria del Big Bang, a differenza di quanto avrebbero fatto per esempio i seguaci delle religioni animiste, e lo stesso Platone. Per il grande filosofo greco, infatti, la materia è, in origine, amorfa, ma soprattutto eterna ed increata, esistente da sempre e per sempre. Per questo Platone non avrebbe certo potuto approvare l’idea di un venire all’essere della materia (e neppure quella di un ipotetico Big Crunch).
Al contrario qualsiasi cristiano, anche del primo secolo, avrebbe visto nella teoria del Big Bang qualcosa che si accordava perfettamente con la sua fede: in un Dio ingenerato, fuori del tempo e dello spazio, Causa Prima di tutto ciò che esiste, Creatore di un universo che è nato in un attimo di tempo che ha dato origine al tempo; creatore, “dal nulla”, di una materia non eterna, come quella platonica, ma generata e finita. Il Foglio, 16/11/2010