I tormentoni dei moralisti della politica sono, alla fin fine, sempre gli stessi: coerenza e moralità. Ci vogliono queste due caratteristiche, pontificano i sommi sacerdoti della trasparenza, per una politica davvero nuova e promotrice di cambiamento. Il cuore di questi sognatori, guarda caso, pulsa quasi sempre a sinistra. E le loro menti, quando in edicola sono esaurite le copie nel neonato "Fatto", ancora oggi si abbeverano a centinaia di migliaia sulle colonne del quotidiano“La Repubblica”, quello fondato e tutt’ora benedetto dal sermone domenicale di un certo Eugenio Scalfari. Pochi lo sanno ma costui, quanto a coerenza, è un vate impareggiabile: nel ’42 fu fascista, poi divenne antifascista, nel ’45 si scoprì azionista, nel ’46 votò monarchia, nel ’52 fu radicale, nel ’55 radicale, nel ’63 socialista, nel’76 filocomunista , nell’83 demitiano e dal ’96 in poi un prodiano di ferro. Insomma, uno che di coerenza se ne intende. E pure di moralità: nel ’68 scappò in Parlamento evitandosi in questo modo la bellezza di 14 mesi di reclusione.
Poca roba evidentemente, infatti nemmeno Marco Travaglio, solitamente attentissimo nello spulciare le biografie altrui, ha avuto mai da ridire al riguardo, quando inviava i suoi articoli a “La Repubblica”. Facile, a questo punto, l’obiezione: ma che c’azzecca, come direbbe Tonino, questa panoramica sulla dubbia coerenza del fondatore di “La Repubblica” col cambiamento della politica? C’azzecca, eccome se c’azzecca. Perché sono i lettori di “Barbapapà” Scalfari quelli che, da quasi vent’anni, anelano frignando al risorgimento morale di questo Paese. Risorgimento impedito - serve ricordarlo? -, dal Cav, che tra l’altro è il primo contribuente d’Italia: negli ultimi anni lui e le sue aziende hanno versato al fisco 7,7 miliardi di Euro. Lo stesso, purtroppo, non si può dire di Carlo De Benedetti, l’editore di "La Repubblica", che dal 2009 ha acquisito anche la cittadinanza svizzera motivando questa scelta con ragioni affettive. I cronisti di Report stranamente non se ne sono ancora occupati, ma qualcuno sospetta che dietro siffatte nostalgie elvetiche vi siano ragioni, per così dire, fiscali. Sospetti peccaminosi, direbbe il Divo Andreotti, anche se forse non così campati in aria.