Altro che corsi, esami e professori spietati: il vero ostacolo di chi aspira ad una laurea ha un altro nome. Si chiama burocrazia: una fitta giungla di certificati, richieste e moduli che sfiancherebbe chiunque, Stachanov compreso. Così, prima di scegliere da che parte iniziare l’avventura, di solito, si finisce col consultarsi con un collega, possibilmente fidato e a sua volta sopravvissuto all’infernale labirinto. Il quale, anche se son passati pochi mesi, stranamente ha spesso la memoria offuscata e finisce con l’indicarci, senza troppa sicurezza, uno sportello generale; combinazione lo stesso al quale, noi inesperti, pensavamo di rivolgersi sin da principio. Vada dunque per lo sportello generale interfacoltà.
Arrivati all’ufficio in questione, la prima cosa che colpisce è la varietà delle persone in coda più che la lunghezza, comunque considerevole, della stessa: c’è praticamente tutto il campionario dell’umano. Si possono infatti contare, sul versante geografico, giovani asiatici, africani, europei e statunitensi. E anche sotto il profilo dell’abbigliamento le differenze non mancano: notiamo alcuni giovanotti eleganti, altri dall’aspetto variopinto e bohémien, qualche sportivo ed altri ancora nelle vesti di skater o rapper che dir si voglia. Purtroppo la varietà di quanti ci precedono nella coda riguarda anche il comprendonio: alcuni, una volta giunto il loro turno, sbrigano al propria pratica al massimo in un paio di minuti, altri, con evidenti difficoltà di sintesi, intrattengono l’impiegato dello sportello per quasi mezz’ora scatenando un malcontento che esplode, tra coloro che sono in attesa, in silenziose ma plateali imprecazioni oppure in occhiate luciferine che l’interessato, quasi sempre, ignora.
Il nostro turno arriva quando le gambe, dopo quasi un’ora di attesa, stanno per cedere. E il più delle volte tutto si conclude con un nulla di fatto: l’impiegato ci mette in mano due o tre moduli da compilare anticipandoci i tragitti burocratici che ci attendono; ma lo fa con una tale rapidità che, un po’ storditi, fatichiamo a capire fino in fondo quello che ci aspetta. Anche perché i moduli in questione non riguardano solo il nostro corso di studi, bensì anche il nostro relatore – che spesso è un fantasma che si materializza un paio di volte al mese, ma solo per pochi minuti -, la registrazione degli esami da noi sostenuti - il più delle volte lacunosa - , il deposito anticipato del titolo della tesi che abbiamo in mente e, infine, un numero imprecisato di fotocopie di carte d’identità, patenti e passaporti. Si vede che esser nati e vissuti in Italia per l’ultimo quarto di secolo, per la burocrazia accademica, è ancora troppo poco.
Dopo un paio di settimane spese sulle sudate carte, arriva finalmente il momento di riconsegnarle allo sportello. La gioia interiore è tanta ma è bene non scomporsi: resta ancora da affrontare l’ultima coda, la peggiore, quella che ti occupa almeno mezza giornata. La maledizione dei laureandi fa sì che anche in questa occasione, in attesa davanti a noi, capitino i più rimbambiti della Via Lattea. Alcuni fra questi hanno sulle spalle un enorme zaino da escursionista: devono aver già messo in conto di dover effettuare soste notturne, prima di giungere alla meta. Fatto sta che alla fine, incredibilmente, arriva anche il nostro turno, per cui consegniamo, senza trattenere un filo di commozione, la modulistica necessaria alla laurea. E’ il momento tanto atteso, l’incubo sta per finire. Ed è proprio in quell’istante di giubilo che, prima di congedarci, l’impiegato dello sportello ci guasta la festa pronunciando la peggior parola al mondo, quella che mai e poi mai avremmo sperato di sentirci rivolgere:”Arrivederci”.