Clamoroso autogol degli abortisti al Consiglio d'Europa: hanno provato a limitare il diritto alla libertà di coscienza dei medici, ma in Assemblea parlamentare sono andati in minoranza. Così il documento che avrebbe dovuto sancire il "diritto della donna ad abortire" si è trasformato in quello che certifica la sacrosanta libertà dei medici a non partecipare ad aborti. Di seguito una panoramica sul caso, da Avvenire del 10 ottobre:
La misura della
sconfitta di chi,
all’Assemblea
parlamentare del
Consiglio d’Europa,
avrebbe voluto limitare il
diritto all’obiezione di
coscienza in ambito medico, potrebbe essere
efficacemente riassunta
nel cambiamento di un
titolo. Quello assegnato
dalla relatrice Christine
McCafferty al documento
sul quale si basava la
discussione era:
"L’accesso delle donne
alle cure mediche legali: il
problema del ricorso non
regolamentato
all’obiezione di
coscienza". Il documento
che il 7 ottobre è stato
adottato in sede parlamentare dopo la
discussione e il voto in
aula è stato invece
intitolato: "Il diritto
all’obiezione di coscienza
nelle cure mediche
legali".
La chiara direzione
intrapresa, quella che
tutela la libertà di
coscienza su
un tema con
implicazioni
etiche come
quello
dell’aborto, a
ben vedere è
la medesima
indicata da
molte delle legislazioni
dei paesi europei e da
organismi ed associazioni
internazionali
competenti in materia.
"Ogni individuo ha diritto
alla libertà di pensiero, di
coscienza e di religione",
si legge all’articolo 10
della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione
europea, che aggiunge:
"Il diritto all’obiezione di
coscienza è riconosciuto
secondo le leggi nazionali
che ne disciplinano l’esercizio". Sulla stessa
lunghezza d’onda è
l’articolo 18 della
Convenzione
internazionale per i diritti
civili e politici che tutela
la libertà di coscienza da
qualsivoglia coercizione
che possa limitarla.
Anche nelle
"Raccomandazioni su
questioni etiche in
ostetricia e ginecologia",
pubblicate nell’ottobre
2009 dalla Federazione
internazionale di
ginecologia e ostetricia, la
Figo - di cui fanno parte
numerosi specialisti di
vari Stati dell’Unione
europea – il tema
dell’obiezione di
coscienza viene
affrontato alla luce del
diritto dei professionisti
coinvolti. In questa sede
si ribadisce il rispetto
«per le loro convinzioni di
coscienza» e si garantisce
loro il rispetto «a non
essere discriminati sulla
base delle loro idee». Nel
documento della
parlamentare Christine
McCafferty "bocciato" nei
giorni scorsi a Strasburgo,
si lamentava una
mancanza di regole o
un’inadeguata
applicazione di quanto
stabilito sull’obiezione di
coscienza in molti Stati,
tra cui anche l’Italia.
Secondo quanto
sostenuto dalla
parlamentare inglese
questa situazione
porterebbe a un mancato
equilibrio tra il diritto alla
libertà del personale
sanitario e quello della
donna ad accedere
all’aborto. Ma le
legislazioni degli Stati
membri, in moltissimi
casi, non fanno altro che
recepire le
raccomandazioni sul
diritto alla «libertà di
pensiero, di coscienza e
di religione». Un quadro
ben definito, dove le
uniche eccezioni di
rilievo sono costituite da
Finlandia e Svezia, con
quest’ultima che prevede
un obbligo contrattuale
di assistenza nell’ambito
dell’aborto per i medici.
In Belgio, la legge del 3
aprile 1990 stabilisce che
nessun medico può
essere obbligato a
prendere parte ad un
aborto. In Olanda, al
medico viene
riconosciuto il diritto
all’obiezione di coscienza
dalla legge del 1 maggio
1981, con l’unico obbligo
a dichiararsi obiettore
durante il primo
colloquio con la paziente.
In Polonia il Codice di
etica medica stabilisce
che i medici sono liberi di
condurre la propria
professione «in accordo
alla propria coscienza». Il
British abortion act, la
legge che regola l’aborto
nel Regno Unito,
contempla il diritto
all’obiezione di
coscienza, ad eccezione
dei casi in cui sia in
pericolo la vita della
madre. Un’eccezione
prevista anche dal codice
penale austriaco, che estende comunque il
diritto all’obiezione di
coscienza a tutto il
personale medico
coinvolto in un aborto. In
Norvegia nessun medico
può essere obbligato a
praticare un aborto,
anche se è tenuto a
partecipare alle fasi
preliminari, al pari di
quanto accade in
Danimarca, dove è il
medico a chiedere di
essere esentato da
pratiche contrarie alle
proprie convinzioni
etiche.
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