Il dottor Emilio Arisi, l'aborto chimico a Trento e l'uso menzognero delle parole.
Di Francesco Agnoli (del 03/03/2007 @ 17:48:24, in Aborto, linkato 2204 volte)
Trento sta diventando da un po' di tempo un luogo speciale di sperimentazione, attraverso vie non ordinarie, di un abortivo chimico, la RU 486, prodotto in Cina, unico paese ad offrirsi di farlo, e commercializzato da una azienda americana legata ai movimenti abortisti. La RU 486 non è stata sperimentata in Italia, anche perchè forse non passerebbe i controlli necessari. Viene quindi importata di volta in volta, in Trentino dal dottor Arisi. Riporto qui una lettera che scrissi a suo tempo su L'Adige, interpellando Arisi stesso, senza risposta. Nelle diatribe odierne, specie in materia di bioetica, tra sostenitori di visioni contrastanti, risulta spesso difficile capire entrambe le posizioni: anzitutto per la cultura pluralista che caratterizza la nostra società, ma anche a causa di una differenza di linguaggi che rende talora impossibile percepire il senso e lo spessore delle differenze. Se pensiamo ad esempio alla parola "libertà", o alla parola "diritto", entrambe suonano positive, all'orecchio di tutti: eppure possono nascondere significati e visioni del mondo assai divergenti. "Diritto", ad esempio, può richiamare per alcuni l'esigenza per un figlio di avere un padre ed una madre, come natura vuole, mentre per altri, al contrario, può indicare la possibilità per chiunque, single, omosessuale o mamma-nonna che sia, di realizzare il proprio desiderio di maternità o di paternità, con ogni mezzo. Su concetti come questi la discussione è comunque possibile, se le parti sono chiare e definite. Diventa più difficile capire il nodo della questione quando qualcuno ricorre a quella che alcuni giornalisti hanno giustamente definito l'"Antilingua", cioè l'uso di "parole dette per non dire quello che si ha paura di dire". L'impressione infatti è quella di una società che spesso sembra arrogarsi dei diritti dopo aver manipolato il significato delle parole, quasi per "controllare" una realtà che altrimenti si imporrebbe. Faccio un esempio concretissimo: sul quotidiano il "Foglio" di qualche tempo fa il vicepresidente della fondazione Einaudi, Franco Chiarenza, parlava del "dovere" di una coppia di eliminare il figlio che risultasse handicappato in base a diagnosi prenatali; ma per esprimere questo suo personalissimo modo di vedere, lo scrivente definiva l'embrione, ormai completamente formato, "un essere già sicuramente predisposto a diventare un uomo". Utilizzava cioè un giro di parole, evidentemente, per non ammettere la realtà: che quell'embrione è un uomo, a tutti gli effetti, e non, ad esempio, un girino, benché malato. La stessa cosa accade oggi riguardo alla pillola Ru 486: sul Corriere della Sera, illustrissimo quotidiano nazionale, si spiega in varie circostanze, ma sempre con lo stesso linguaggio, che la Ru 486 determina il "distacco" dell'embrione dall'utero, mentre su un altro quotidiano, la Repubblica, anch'esso diffusissimo, si parla soltanto di "espulsione dell'embrione". Eppure sarebbe molto più sincero dire che la Ru 486 non "distacca" né "espelle", semplicemente, ma perentoriamente "uccide" un embrione sino al quarantanovesimo giorno: e lo fa con delle gravi ripercussioni sulla salute fisica e psichica della madre (tanto che negli Stati Uniti, tra il settembre 2003 e il giugno 2005, vi sono stati quattro casi di morti settiche delle partorienti, certificati dalla FDA, www.fda.gov). Sicuramente questo linguaggio schietto e sincero può apparire brutale: eppure solo conoscendo la realtà nuda e cruda le donne potranno scegliere "liberamente". Solo sapendo come sia realmente un embrione alla settima settimana la scelta sarà in qualche modo consapevole, e non pilotata da medici che hanno già dimostrato in varie occasioni una opzione preferenziale per l'aborto. Mi riferisco, in questo caso, a chi minimizza ogni volta, per partito preso, come fa il professor Emilio Arisi. La sua posizione infatti mi sembra spesso ideologica, e gli deriva anche dall'essere presidente nazionale della Uicemp, la branca italiana della Ippf, fondata da Margaret Sanger nel 1952. Era, costei, una fanatica sostenitrice della selezione eugenetica e dell'aborto, tanto da giungere ad affermare: "Il problema più urgente oggi è come limitare e scoraggiare l'iper-fertilità di quelli mentalmente e fisicamente inferiori. E' possibile che metodi drastici e spartani (sterilizzazioni e aborti forzati, ndr) siano inevitabili per la società americana, se si continua ad incoraggiare con compiacenza la procreazione casuale e caotica che nasce dal nostro stupido e crudele sentimentalismo " ( The Pivot of civilisation). Tornando all'Antilingua, mi sembra chiaro, insomma, che mutare il senso, la direzione, alle parole, è ingannare il prossimo, privarlo della sua libertà, impedendogli di scegliere con consapevolezza. E' un po' come cambiare, di notte, i segnali stradali, affinché l'indomani tutti ritengano normale, ciò che non lo è affatto. E', ancora, come affidare alle parole, alle formule, il compito magico di controllare e deformare l'esistente, secondo il proprio disegno. Ebbene in questi anni in molti hanno cercato di mutare i segnali, di gettare fumo, di fare i sofisti. In Italia, nel 1978, la legge sull'aborto venne intitolata "Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria di gravidanza". Si stabiliva, come "tutela sociale", che lo Stato avrebbe pagato gli aborti, senza limiti. Nient'altro. Nessun sostegno economico, o sociale, di qualche tipo, invero, veniva previsto per le madri in difficoltà, che avessero voluto tenere il proprio figlio! Così, mentre Pannella parlava di "padre dello zigote", con una espressione mai usata da nessun padre della storia, la legge 194 sull'aborto legale aboliva le parole importanti, evocative, vere, allo scopo di confondere le acque: sostituiva il termine "aborto", così denso, con la sigla IVG (interruzione volontaria di gravidanza), fredda e burocratica, apparentemente "sicura" e indolore, nella sua asettica scientificità; sigla assurda, in aggiunta, dal momento che, come ha notato il Palmaro, "si interrompe solo ciò che può essere ripreso e continuato", non ciò a cui si pone fine per sempre. Inoltre la 194 sostituiva la parola "madre", mai presente nella legge, con "donna", "mentre al posto di 'figlio' è stato scritto 'concepito', 'feto' e persino, quanto mai ipocritamente, 'nascituro', che da quel momento ha assunto un significato nuovo: 'colui che non nascerà', o 'che è destinato a non nascere'". Unico risultato: non la rimozione del dramma e del dolore, delle stesse donne; non la consapevolezza che spinge a cercare le possibili soluzioni, ma l'archiviazione e l'oblio del problema da parte della società, e la solitudine più nera degli individui in causa! Così, per fare un altro esempio, nel dibattito sulla fecondazione artificiale, coloro che vorrebbero sperimentare sugli embrioni umani, senza fastidi di sorta, hanno prima eliminato l'aggettivo qualificativo "umano", per liberare il terreno, su cui seminare poi, a ruota libera, sul Sole 24 Ore, fantasiosi neologismi fanta-scientifici come "pre-embrione" (un assurdo biologico, e logico, in quanto si tratta di una definizione che non definisce), e poi "pro-embrione", "ootide", "ovulo fecondato", "pseudoembrione", "ovosoma", "epidosembrione"… Infine, nel campo della clonazione, si preferisce sempre più parlare di "transfer nucleare", affinché chi ascolta non capisca, mentre per gli anticoncezionali abortivi, come spiega Eugenia Roccella, l'embrione si trasforma, secondo necessità, in "ovulo fecondato fino a 8 settimane" e il feto in "ovulo fecondato, nell'utero, di oltre 8 settimane" ("Contro il cristianesimo", Piemme).