Crisi dei giovani, crisi di maestri
Di Giulia Tanel (del 23/09/2010 @ 07:17:09, in Attualitą, linkato 1031 volte)

Il Miur ha reso noti dei dati allarmanti: 190mila ragazzi, su un totale di 616.600 iscritti, nell’ultimo quinquennio hanno abbandonato la scuola. Il 44% di questi abbandoni si registra negli istituti professionali e la regione con maggior numero di ragazzi che lasciano gli studi è la Sardegna: qui la percentuale si aggira attorno al 40%.

Insomma, il 19,7% dei ragazzi abbandona la scuola: cosa li spinge a tale scelta?

Le cause di questa “diaspora” scolastica non riguardano unicamente le scuola, ma sono anche di carattere economico e sociale.

Da un punto di vista economico, infatti, molte famiglie − soprattutto al Sud e nelle Isole − stanno letteralmente soccombendo sotto l’attuale crisi di mercato e il risultato è che, troppo spesso, i figli sedicenni sono costretti ad andare a lavorare per contribuire al reddito famigliare. In molte realtà lo studio sembra essere tornato a costituire un lusso, un denominatore di ricchezza.

I motivi di abbandono riconducibili alla sfera del sociale, invece, riguardano precipuamente l’ottica materialista che è sempre più radicata nella mentalità dei giovani d’oggi. Non sono pochi i ragazzi che abbandonano gli studi per andare a svolgere un lavoro precario e magari sottopagato, ma che consente loro di acquistare “cose”, per soddisfare le loro “vogliuzze”: il cellulare, il motorino, il computer… tanti status symbol di cui, evidentemente, non si riesce più a fare a meno; tra teenager, se non si hanno determinati “oggetti” si rischia di rimanere emarginati ed essere considerati “di meno”. Insomma, quello che più conta oggigiorno non è il valore intrinseco di una persona, bensì il suo “abito”: tutto il contrario di quello che i grandi testi del sapere hanno sempre insegnato…

La terza causa determinante nell’abbandono scolastico è la scuola stessa. Però, intendiamoci, non la scuola in quanto struttura (pubblica o privata) destinata ad educare ed istruire: in tale ambito i passi che si stanno facendo sono molti; alcuni sono delle ampie falcate in avanti, altri sono dei passettini impercettibili, altri sono dei passi indietro… ma già il fatto che qualcosa si stia muovendo è positivo. No, il problema effettivo non sta nella burocrazia e nelle risorse economiche della scuola: il vero nocciolo della questione sono gli insegnanti. Troppo spesso i ragazzi si trovano di fronte adulti meno motivati di loro, che lavorano svogliatamente e senza la benché minima passione. I giovani hanno bisogno di maestri da seguire: date loro un docente realmente appassionato di quello che insegna e anche il più astruso problema di geometria sembrerà meno ostile o, se non altro, almeno un briciolo meno noioso.
Secondo Arne Ducan, Segretario di Stato all’Educazione degli Stati Uniti, “un grande insegnante può letteralmente cambiare il corso di vita di uno studente. […] Non sorprende che tutti gli studi affermino ripetutamente come sia la qualità dell’insegnante responsabile della classe il fattore decisivo per la crescita scolastica di uno studente”. Prosegue poi: “l’insegnamento è una delle poche professioni che non è solo un lavoro o un’avventura estemporanea: è una vocazione. I grandi insegnanti si sforzano di aiutare ogni studente a sbloccare il proprio potenziale e a sviluppare l’atteggiamento mentale che gli servirà per tutta la vita. Essi lavorano nella convinzione che tutti gli studenti abbiano un dono, anche quando dubitano di se stessi” (Avvenire, 2 giugno 2010).

Anche il giovane scrittore ed insegnante liceale Alessandro D’Avenia concorda con Ducan: “se i ragazzi non leggono libri, è perché gli adulti accendono la tv, invece di prendere in mano un libro. Se i ragazzi abbandonano la scuola, è perché gli adulti della scuola non sono interessati a loro. La crisi dei giovani è crisi di maestri. Io conosco centinaia di maestri capaci di provocare la nostalgia del futuro, provocando (chiamandole alla luce) le risorse migliori degli studenti. Di contro ci sono docenti che odiano i loro studenti, li umiliano e li condannano all’abbandono, non solo della scuola, ma di se stessi” (Avvenire, 8 settembre 2010).

Lo diceva anche Nietzsche: “[…] la gioventù rimane comunque l’età in cui si è alla ricerca della vita più grande”. Alimentare questo desiderio è il compito primario − e, nel contempo, più difficile − della scuola. E’ una sfida enorme ma necessaria: senza dei punti di riferimento a cui guardare, le nuove generazioni rischiano di essere sballottate dalle varie mode e tendenze, alla stregua di una barchetta nel mare in tempesta. Invece un faro, una luce, un modello da seguire possono cambiare la vita.