Il Papa nella terra di Enrico VIII e della Chiesa di Stato
Di Francesco Agnoli (del 14/09/2010 @ 16:08:12, in Religione, linkato 1221 volte)

Benedetto XVI è un pontefice che preferisce ridurre al minimo i suoi viaggi, per poter governare meglio la barca di Pietro, senza essere costretto a delegare troppo.

La Curia romana infatti è un po’ il motore della Chiesa, e come tale occorre curarla e governarla. Ciononostante il papa compirà, a breve, un viaggio delicatissimo in Inghilterra. Non sarà un’esperienza facile. Da mesi e mesi i suoi nemici gli preparano una accoglienza burrascosa. Il fatto è che l’Inghilterra, per un successore di Pietro, è una terra di leoni. Dall’epoca dello scisma di Enrico VIII, infatti, il papa è identificato col nemico del paese e i cattolici sono gli odiati “papisti”. Fu proprio Enrico ad inaugurare la politica della calunnia come arma principale per difendere la sua decisione di umiliare Caterina d’Aragona. Il popolo infatti era contrario sia al ripudio della sposa, sia allo scisma. Occorreva convincerlo, in un modo o nell’altro. Molti nobili e borghesi furono comperati dal sovrano che cedette loro, per pochi soldi, tutte le proprietà della Chiesa cattolica confiscate. Ma la gente fu più difficile da persuadere.

 La politica adottata fu allora quella di obbligare teologi, sacerdoti, dignitari vari, a prendere posizione per il re, scrivendo libri, saggi, drammi teatrali, in cui il papa veniva presentato come un avido monarca desideroso di impadronirsi dell’Inghilterra e come un nemico del Vangelo, tirato a destra e a sinistra perché risultasse filo-Enrico VIII. Da allora in poi, complici le guerre con la cattolica Spagna, il papa nemico del paese divenne un dogma della chiesa di stato anglicana.

Per capire come possano essere cresciute generazioni di inglesi, basta leggere “La Chiesa cattolica” di G.K. Chesterton, recentemente ripubblicato da Lindau. Per spiegare la sua conversine al cattolicesimo, il celebre giornalista mette in luce due aspetti. Il primo: la difficoltà per un inglese di vincere gli infiniti pregiudizi contro i cattolici disseminati qua e là, in sermoni, romanzi, riviste, che li portano ad un vero e proprio “terrore del papismo”. La seconda: la difficoltà per un anglicano di essere nel contempo patriota e aperto ad una fratellanza universale. Proprio analizzando lo strettissimo legame tra patriottismo inglese, corona e chiesa anglicana, Chesterton conclude: “in questo senso il protestantesimo è patriottismo, ma per sfortuna non è nient’altro. Parte da lì e non va mai oltre”.

Al contrario il cattolico universalista considera l’amore per la patria un dovere dell’uomo, ma “non il suo unico dovere, come avveniva invece nella teoria prussiana dello Stato e, troppo spesso, in quella britannica dell’impero”. Detto questo, bisogna ricordare che verso la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, la Gran Bretagna ha conosciuto moltissime conversioni alla Chiesa di Roma: da Newman, a Chesterton, allo scrittore Bruce Marshall, autore dello splendido “Ad ogni uomo un soldo”, sino a R.H. Benson ed Evelyn Waugh…

 Tutti questi personaggi hanno sentito il fascino di Roma, della sua universalità, evidente nei suoi dogmi e soprattutto nella sua liturgia latina. Tutti costoro hanno amato nella Chiesa cattolica la sua libertà da un particolare potere politico, insita nella sua universalità, così lontana dal pregiudizio velatamente razzista presente nella cultura britannica. Nei loro libri compaiono spesso preghiere in latino, formule antichissime della fede cattolica, che stanno al di fuori del tempo e dello spazio, unendo ogni singolo fedele con i suoi fratelli, di ogni luogo e di ogni tempo.

Poi, in seguito al Concilio Vaticano II, il flusso di conversioni in Inghilterra si è arenato, per riprendere solamente, e vigorosamente, dopo l’elezione al soglio pontificio di Benedetto XVI, il motu proprio sulla messa antica e una nuova concezione dell’ecumenismo. Così abbiamo assistito ad un fenomeno che per un cattolico è provvidenziale: moltissimi anglicani, dopo secoli e secoli, hanno chiesto di rientrare nella Chiesa di Roma!

Questo ritorno in massa è stato favorito senza dubbio da più elementi. Anzitutto dal graduale dissolversi della vecchia mentalità britannica. L’Inghilterra non è più, da tempo, un impero che governa sui mari, né il paese che afferma di prendersi sulle spalle “il fardello” della civilizzazione degli altri popoli. Una religione patriottica, come quella anglicana, oggi, nel mondo anglosassone, è sempre più improponibile. In secondo luogo è la società inglese che sta dissolvendosi. Uno straordinario osservatore del mondo anglosassone, Gianfranco Amato, autore di “Un anno alla finestra”, ricorda per esempio che oggi in Inghilterra il nome più diffuso tra i neonati maschi di Londra è Mohamed, mentre gli aborti sono ben 500 al giorno! Numeri che dicono della graduale sparizione di un popolo. Che avviene mentre le gerarchie anglicane non sanno opporre nulla al nichilismo imperante, ma anzi si mettono al traino. Inevitabile dunque che mentre l’odio contro Benedetto XVI, fustigatore del relativismo, monta, cresca anche il numero dei britannici che cercano una fede solida, vera, che non ceda al mondo e alle sue lusinghe.

La Chiesa cattolica, scriveva Chesterton, è l’unica in grado di salvare l’uomo da una schiavitù degradante, quella di essere figlio del suo tempo”. Per questo lotta e sopravvive. Cambiati i tempi, qualcuno inizierà ad accorgersi che i vecchi dogmi di un’epoca, erano fasulli e transitori, mentre il Vangelo rimane sempre “nuovo”, ed attuale. Il Foglio, 9/9/2010