Le polemiche sorte in seguito all’affermazione del deputato del Pdl Stracquadanio (“E’ assolutamente legittimo usare il corpo per fare carriera”) erano prevedibili, anche se l’indignazione generale, per quanto giustificata, rischia di mettere in secondo piano un interrogativo importante: per condannare la prostituzione, disponiamo, come società, della stessa autorevolezza della quale ci ammantiamo per stigmatizzare Stracquadanio? La nostra quotidiana indifferenza verso le mostruosità della pornografia, il mondo spesso inquinato dei provini televisivi e le umiliazioni del corpo della donna, ormai convertito a cartellone pubblicitario tridimensionale, ci dice che ci conviene lasciar perdere e rassegnarci alla polemica politica. Ma è un vero peccato. Perché son già troppe, oggi, le donne che mercificano consapevolmente la propria dignità e che considerano matrimonio e figli trofei di fine carriera. A cominciare da quante, al tavolo di un bar, ti confidano sorridenti che sarebbero disposte a tutto pur di dimostrare al mondo quanto valgono. E quando il discorso, come spesso capita, cade sul conto in banca dei loro ultimi partner, purtroppo, capisci che fanno sul serio: credono veramente a quel che dicono. Salvo poi, all’insegna del più perfetto moralismo, prendersela con lo Stracquadanio di turno. Che da buon radicale pensa male e lo dice pure. Sfrontatamente.
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