Sì, è tempo di ritrovare limiti. Ma il cuore non rientri del tutto
Di Rassegna Stampa (del 06/09/2010 @ 08:00:00, in Cultura e società, linkato 1018 volte)
di Davide Rondoni

Ormai si sta consumando il grande rientro. La fine delle vacanze. Il rientro nei luoghi di dimora, di lavoro. E tra un po’ in quelli di scuola e di studio. Vorrei però che gli italiani non rientrassero del tutto.
Sì, insomma, mi piacerebbe che il rientro non fosse un completo rientro. Che qualcosa rimanesse ancora fuori, in un certo senso. Che esorbitasse. Che non accettasse di rientrare nei soliti limiti e schemi. Nella routine. Mi auguro che mentre si rientra e ci si adegua nuovamente alle solite cose, qualcosa di insolito resista.
Intendo il cuore, quella cosa che durante le vacanze ci si è mossa dentro per una bellezza di panorama, per una dolce e allegra compagnia, per una tenerezza verso i figli. Quel cuore che durante le vacanze ha cercato – a volte confusamente – uno spazio di felicità, di miglioramento dei rapporti, di gusto. Vorrei che il cuore non rientrasse del tutto nei limiti che gli imponiamo o che accettiamo siano altri a imporre. Così come durante le vacanze il nostro cuore ha cercato di essere felice – profittando di un maggiore spazio, di un vacuum rispetto a impegni e limiti – vorrei che ora, mentre ci accingiamo a riempire di nuovo lo spazio con obblighi di vario genere, vorrei – ecco – che il cuore continuasse a volere, a desiderare, a cercare una strada per colmarsi di bellezza e gioia.

Il rientro non sia il momento in cui chiudere le imposte del cuore, e chiuderlo a morire perché ora, eh sì, ora abbiamo da fare. Come se le facce nei luoghi di lavoro non fossero le stesse di coloro che, appena ieri, durante le vacanze, si godevano le ferie in cerca di un po’ di bene per sé e per i cari. Le facce che – uguali alle nostre in questo senso – giravano per spiagge e monti con un simile desiderio di bellezza. Rientriamo, sì, ma lasciamo che il cuore non rientri del tutto nei limiti che pensiamo debba avere. Troppe volte, quasi in modo paradossale, facciamo rientrare la parte più profonda di noi stessi e la mettiamo sul tavolo tipo un pc al proprio posto.
Anzi meno, perché le nostre aspirazioni, il nostro desiderio di felicità non servono nemmeno come un tastiera digitale, sono apparentemente meno utili. E allora le lasciamo in quegli spazi di minivacanza che sono i weekend o altre inserzioni di dopolavoro di vario genere. Come se i luoghi normali del vivere non dovessero essere investiti dal desiderio del cuore.
Come se dove si lavora e ci si occupa di cose serie, no, qui il cuore non serve. Lo si fa dunque rientrare alle dimensioni mute, minime, asettiche. Che non disturbi. Che non crei strani moti. Lo si mette in un cassetto. Al massimo lo si onora con una cartolina attaccata alla base del pc. O una foto sul desk.
Minimi indizi del fatto che un cuore ci batte dentro.

No, il rientro non sia un rientro totale. Una nuova sottomissione. Una nuova commedia, un po’ disumana. Non rientrare del tutto significa lasciare ancora spazio al desiderio di libertà nel senso più vero del termine. Rientriamo, ok, si deve, ma con qualcosa che non ci faccia rientrare del tutto. O meglio: rompiamo gli schemi di ciò in cui si rientra.

Il vero desiderio di libertà, il cuore, non si lascia fuori dall’uscio quando si ricominciano le cose obbligatorie, ma si porta dentro alle opere e i giorni.

Solo così li fa più umani.

Avvenire, 1 settembre 2010