Incinta, chiede aiuto al consultorio. Risposta: abortisca
Di Rassegna Stampa (del 02/09/2010 @ 16:09:27, in Aborto, linkato 993 volte)
di Alessia Guerrieri

Teresa accarezza continuamente il suo pancione, come se dovesse ancora proteggere quel figlio che cresce da tre mesi nel suo ventre. «Ora che è qui dentro è al sicuro, ma quando nascerà sarà molto dura per noi». Sorride comunque, finalmente. Non ha più paura di affrontare la sua nuova vita da ragazza madre, «io non sono più sola, c’è lui con me – dice mentre indica quel miracolo che l’ecografia ha già scritto che sarà un 'lui' –. Siamo in due, solo noi due». Un lui che chiamerà Francesco e nascerà a marzo: «Questo bambino è stato concepito in Umbria, la patria di Francesco d’Assisi, vorrei che portasse il suo nome». La luce della vita, Teresa l’ha riscoperta dopo settimane di vuoto e di confusione, attraversate di tanto in tanto anche dalla voglia di farla finita. «Come potevo pensare – ribatte – di far crescere un figlio da sola, senza lavoro, senza casa, senza un compagno e senza un soldo?».

Quasi trent’anni, due sorelle all’estero e una mamma che non sente da anni, un diploma da odontoiatra, per ora inutilizzato. Poi quel compagno che «pur dicendo di desiderare come me un bambino, se ne è tornato in Tunisia» con il suo bagaglio di bugie. E non ha più nessuna intenzione di venire in Italia. Teresa parla tenendo lo sguardo fisso a quel figlio che le sta dando il coraggio e la forza di affrontare mille difficoltà. Lei, cardiopatica e con una gravidanza a rischio, però, ha deciso di andare avanti. Eppure, sola e disperata, il 30 luglio stava per cancellare quella vita che tanto aveva sognato. «Io lo volevo, l’ho voluto fin dall’inizio – racconta – ma ero talmente confusa che avevo già avviato le pratiche per l’aborto. Mi sentivo un mostro, comunque, una donna indegna di vivere. Per fortuna non ho avuto la forza di presentarmi in ospedale quel giorno». Infine la decisione di rivolgersi ad un assistente sociale nel suo municipio a Roma.
«Cercavo una parola di conforto, un posto dove stare, visto che dovevo lasciare il mio appartamento perché non potevo più permettermelo – confessa –, cercavo un aiuto ed invece...». I suoi occhioni neri si sono riempiti di lacrime quella mattina d’inizio agosto, quando le uniche parole di sostegno che ha avuto sono state quelle che mai nessuno si sarebbe immaginato. «Non possiamo fare molto per lei, non abbiamo grandi risorse. Ma non si rende conto che sarà difficile nella sua situazione crescere un bambino? Forse sarebbe il caso di pensare all’interruzione di gravidanza». L’assistente sociale non ha prospettato grandi alternative; in più le sue ferie sarebbero cominciate il giorno successivo e, quindi, pochi i tentativi da fare. Una telefonata dai servizi sociali effettivamente il giorno dopo è arrivata con una probabile sistemazione per soli due mesi e l’invito a risentirsi al rientro dalla vacanze.
«Ho pregato molto il Signore quella notte, non sapevo cosa fare, pregavo per il mio bambino e per quelle mamme come me che nessuno sente gridare in silenzio. Mi sono sentita come se tenere il figlio che già amavo immensamente fosse il reato più grande che potessi fare». Teresa fa una pausa. Poi spiega dell’incontro con un vecchio amico vicentino e, grazie a lui, del contatto col Centro di aiuto per la vita della Capitale. «Lì ho trovato innanzitutto il conforto e l’ascolto di cui avevo bisogno, oltre ad un aiuto materiale – aggiunge –. Mi hanno sistemato in una casa-famiglia dove potrò stare anche dopo il parto. Sempre grazie a loro ho un ginecologo di un grande ospedale romano che mi segue gratuitamente e che conosce bene la mia patologia».

Al tavolino di un bar, giocherellando con la cannuccia della sua acqua e limone, Teresa non nasconde la rabbia per quel «muro di insensibilità» che ha trovato, e continua a ricevere, proprio da chi invece dovrebbe aiutare. Per vivere ora, oltre ad un piccolo contributo del Cav, si arrangia come può, vendendo anche le sue originali lampade su internet. «Non voglio sentirmi una parassita dello Stato – dice lasciando per un attimo cadere gli occhi sulla lana che ha appena com-prato per la copertina del suo Francesco –. Come è possibile in un Paese moderno e credente che i servizi sociali mi dicano di abortire, di dormire in alloggi di fortuna o addirittura di andar via dall’Italia per farmi aiutare delle mie sorelle all’estero?». Alle sue tante domande per adesso non trova risposta, ma ha un’unica certezza: quando Francesco na-scerà vorrà impegnarsi perché nessun’altra donna viva ciò che ha passato lei. Tra qualche giorno sarà il suo compleanno, ma la vita le ha già riservato il regalo più grande.

Avvenire, 1 settembre 2010