Quando Fidel Castro arrivò al potere Cuba era ancora considerata dalla Chiesa una “provincia ecclesiastica spagnola”, ed era spagnolo il 70% dei sacerdoti.
A parte le fucilazioni di massa e i rastrellamenti, dunque, una delle misure prese dal regime per stroncare la cosidetta “Guerra dei Banditi” sull’Escambray fu l’espulsione di 135 sacerdoti stranieri, qualificati come “falangisti”. Ma almeno altri 470 se ne andarono per conto proprio, sia stranieri che cubani. E altri sacerdoti ancora, oltre a molti credenti, furono assegnati alle cosidette Unità Militari di Aiuto alla Produzione (Umap): la versione cubana del Gulag.
Tra loro anche l’attuale cardinale Ortega, che rimase nelle Umap tra il 1966 e il 1967. La Chiesa cubana si ridusse ad appena 200 sacerdoti, costretti per lo più a gestire 4 o 5 parrocchie a testa. La situazione iniziò a distendersi con la lettera pastorale in cui il 20 aprile 1969 l’episcopato cattolico cubano condannava l’embargo Usa all’isola, definendolo “ingiusto e contrario alla morale internazionale”.
E l’8 settembre di quello stesso anno un’altra lettera pastorale dei vescovi raccomandò al laicato cattolico di non autoemarginarsi dalla vita sociale. Poi nel 1971 in Cile e nel 1974 in Giamaica Fidel Castro parla della necessità di un’alleanza strategica di lungo termine tra i marxisti e i cristiani rivoluzionari. E dal 1980 la Chiesa inizia una “riflessione ecclesiastica” che prepara l’incontro Nazionale Ecclesiale Cubano del febbraio 1986, cui sono invitati come osservatori anche i rappresentati del governo e del Partito Comunista, oltre a quelli delle chiese protestanti. E Fidel Castro in varie occasioni si mette ufficialmente a lodare il lavoro delle suore nel campo della sanità e dell’assistenza, citandole come esempio dell’umanitarismo e dell’efficacia di cui dovrebbero dar mostra tutti i comunisti e gli altri lavoratori cubani.
L’invito a che “centinaia di suore” vengano a lavorare a Cuba in opere sociali e anche ad assumerne la direzione fa da apripista al ritorno ufficialmente autorizzato dei sacerdoti stranieri, che permettono di riempire i vuoti nella gerarchia ecclesiastica locale. Dati recenti parlavano di 330 sacerdoti a Cuba: 155 cubani e 175 stranieri. Tra i religiosi la proporzione dei cubani calava a 130 su 646, tra cui 126 maschi. L’apertura della Chiesa, però, all’inizio non fu seguita affatto da un miglioramento effettivo della situazione.
Al contrario, nel 1976 l’adozione di una nuova Costituzione ispirata a quella bulgara rese anzi formale quell’ateismo di Stato che dal 1959 era stata solo una realtà di fatto. E ci vuole il crollo del blocco sovietico e la fine del periodo speciale per avere nel 1991 la riforma che riporta non solo lo Stato dall’ateismo alla semplice laicità, ma consente anche ai credenti di iscriversi al Partito Comunista e perfino di diventare deputati all’Assemblea del Potere Popolare.
In tutto questo periodo di tempo c’è stato comunque un aperto appoggio del regime comunista al culto afro-americano della Santería. Nella leggenda del castrismo c’è anche quel che avvenne l’8 gennaio 1959 all’Avana esattamente a una settimana dalla fuga del dittatore Batista, quando mentre 20.000 persone ascoltavano il suo discorso all’improvviso due colombe volteggiarono su Fidel, per posarsi l’una sul podio, l’altra su una sua spalla. “Obatalá! Obatalá!”, gridò la folla. Obatalá è appunto un orisha: una delle divinità della Santería. “Re del bianco vestito”, forgiatore nell’argilla del primo uomo, signore di completezza e di pace, patrono delle menti e referente privilegiato del signore supremo degli orisha Olodumare, nella simbologia che associa il culto santero alle icone cristiane Obatalá è assimilato allo stesso Gesù Cristo, oltre che a San Giuseppe e a Nostra Signora della Misericordia. E il suo simbolo sono appunto le colombe. Alcuni studiosi hanno ritenute probabili adepte alla Santería anche la madre e la nonna di Fidel, che da loro avrebbe così ricevuto le coordinate culturali per poterne utilizzare le simbologie a suo favore. Al tempo della lotta guerrigliera, ad esempio, fa rivestire con una divisa da combattimento simile a quella dei suoi barbudos la statuetta del santuario di El Cobre della orisha Oshún, dea dei fiumi e dell’amore associata alla patrona di Cuba Nostra Signora della Carità. Poi, nel fare la sfilata della vittoria a Santiago sceglie il primo gennaio 1959: proprio il giorno in cui l’orisha guerriero Elegguá apre i nuovi sentieri. In quest’occasione pronuncia una frase ambiguamente leggibile sia in chiave di retorica rivoluzionaria che come appello alla cosmogonia santera: “I morti non saranno dimenticati. Perché stavolta i morti continueranno a essere al comando”.
E nel 1987 Fidel si premurerà addirittura di invitare a Cuba l’ooni, un re tradizionale della Nigeria discendente diretto dell’orisha Oddudúa: dopo che i babalaws, i sacerdoti santeros, hanno previsto che senza il suo arrivo beneaugurante il líder máximo morirà entro la fine dell’anno. Lo stesso Fidel è d’altronde soprannominato dal popolo “il Cavallo”: termine con cui nei riti di possessione sciamanica della Santería è definito l’adepto appunto “cavalcato” da un orisha. Altre testimonianze ricordano che il negro Juan Almeida Bosque, futuro numero tre del regime, nella guerriglia sulla Sierra Maestra ostentava al collo i simboli dei sacredoti santeros. E quando Fidel poi nell’estate del 2006 si ammala i santeros tengono cerimonie pubbliche per propiziare la sua salute.
Anche la massoneria a Cuba è stata tollerata, e conta oggi su 26.000 affiliati, appartenenti a 314 logge. Anzi, quello cubano è l’unico regime comunista che non l’ha mai messa al bando. Naturalmente, in questa alleanza con la Santería e in questa tolleranza della massoneria non c’è solo un disegno di contenimento del cattolicesimo. La Santería è anche un utile istrumentum regni nei riguardi della popolazione afro-cubana, peraltro assai poco rappresentata nelle massime istanze del regime. E alla massoneria apparteneva il padre della patria José Martí, che lo stesso regime considera suo un precursore.
La massoneria è poi un importante ponte verso un certo tipo di sinistra latino-americana: era ad esempio un noto massone il presidente socialista cileno Salvador Allende. D’altra parte, anche il ruolo dei cattolici di sinistra ispirati alla Teologia della Liberazione si fa importante dopo la loro partecipazione alla formula di Unidad Popular in Cile e al movimento sandinista in Nicaragua. Alla Teologia della Liberazione si ispira il Grupo de Refelxión y Diálogo Oscar Arnulfo Romero, che organizza non solo corsi e seminari, ma anche pellegrinaggi al cimitero di Colón in commemorazione della morte del sacerdote e comandante rivoluzionario Guillermo Sardiñas, cappellano dell’Esercito Ribelle. Maurizio Stefanini, Limes, 16/06/2010