Perché il matrimonio è indissolubile?
Di Libertà e Persona (del 16/08/2010 @ 19:19:19, in Religione, linkato 1505 volte)

di Gustave Thibon

L’istituto del matrimonio è il custode della fedeltà interiore, la legge cristiana non opprime ma approfondisce e purifica l'amore. Non è l'uomo ad esser fatto per il matrimonio, ma è bensì il matrimonio che è fatto per l’uomo. Una magistrale esposizione dei fondamenti «esistenziali» del matrimonio cristiano, una risposta alle obiezioni più diffuse al principio dell'indissolubilità.

Non è nostra intenzione esporre qui in tutti i suoi particolari l’insegnamento della teologia cattolica sulla indissolubilità del matrimonio. Supponendo che esso sia noto ai nostri lettori, ci limiteremo a ricordare i principi fondamentali e porremo in evidenza piuttosto l’aspetto psicologico ed «esistenziale» del problema. Su questo argomento come su molti altri il cattolicesimo, che pure possiede una teologia e una morale complete quanto equilibrate, non ha forse fatto quanto era necessario per giustificare i suoi principi sul terreno dell’esperienza psicologica e per rispondere a coloro che gli rimproverano per l’appunto di non tenere in considerazione l’uomo fatto di corpo e d’anima, né le condizioni concrete della sua esistenza.

Che l’uomo non divida...

Il principio dell’indissolubilità del matrimonio è contenuto per intero nel seguente passo del Vangelo: «I Farisei andarono da lui per tentarlo e gli dissero: “È lecito all’uomo di ripudiare per qualunque motivo la propria moglie?” Egli rispose: “Non avete letto che il creatore, al principio, creò l’uomo maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascierà il padre e la madre e si unirà alla sua donna e i due saranno una sola carne. Non divida pertanto l’uomo quel che Dio ha congiunto”» (Mt., XIX, 8-6). E S. Paolo, facendo eco all’insegnamento del Signore, così si esprime: «A coloro che sono sposati ordino (non io, ma il Signore) che la moglie non si separi dal marito. E se è separata rimanga senza maritarsi o si riconcilii col marito. E l’uomo non ripudii la moglie» (I Cor., VII, 10-11).
Tale esigenza di indissolubilità si fonda su due motivi:

1 - Sul diritto naturale. — La procreazione, che secondo la teologia tradizionale è il fine principale del matrimonio, non può nella specie umana essere abbandonata al caso di un incontro senza domani come avviene nella specie animale. Perché il bambino non ha soltanto bisogno di essere messo al mondo e allattato durante i primi mesi di vita; la sua educazione richiede ancora per lungo tempo l’assistenza continua del padre e della madre e il calore e la stabilità di un ambiente familiare fuori del quale egli non può armonicamente svilupparsi. Ora, la separazione degli sposi, pietre basilari dell’edificio familiare, compromette necessariamente l’educazione dei figli e, di conseguenza, l’equilibrio della società intera.

2 - Sul carattere sacrarnentale del matrimonio — L’unione dell’uomo e della donna è inseparabile quanto quella di Cristo e della Chiesa, suo modello e prototipo. I due «che sono una sola carne» devono tendere con la loro fedeltà alla grazia sacramentale, a divenire una sola anima; e l’uomo non ha ii diritto di separare quello che Dio ha unito.
Essendo dunque fondata su una esigenza essenziale della natura e sulla consacrazione divina, l’indissolubilità del matrimonio non ammette eccezione alcuna. La Chiesa cattolica non pronuncia sentenza di divorzio; in certi casi ben determinati (difetto di consenso, errore sull’identità della persona, consanguineità ecc.) essa si limita a constatare la nullità del vincolo matrimoniale. Null’altro essa può fare in questo campo, se non dissipare un errore: il sacramento conferito senza le condizioni necessarie alla sua validità non impegna né la Chiesa che lo amministra, né i fedeli che lo ricevono, e in tali casi le autorità religiose, anziché separare quello che Dio ha unito, sciolgono un legame illusorio; in altri termini restituiscono di diritto ai pseudo-coniugi una libertà che non hanno mai perduta di fatto. Non si può parlare di divorzio nei casi in cui non vi fu vero matrimonio.

Le ragioni profonde dell’indissolubilità del matrimonio.

È ovvio constatare che l’unione dell’uomo e della donna consacrata dal matrimonio risponde a una duplice finalità.
Essa permette anzitutto l’armonico e completo sviluppo fisico e morale dei due sposi. Iddio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo». E gli diede una compagna simile a lui.
L’uomo e la donna sono due esseri complementari; sono fatti per vivere non solo insieme, ma l’uno per l’altro; e il loro reciproco amore, la fusione dei loro destini favorisce in pari tempo la sicurezza materiale e la pienezza spirituale di entrambi. Il matrimonio è ad un tempo la forma più elementare e la base indistruttibile di ogni vita sociale.
Con la procreazione esso assicura la continuità della specie umana e con l’influenza dell’ambiente familiare la sana educazione dei figli: due fini interdipendenti e paralleli. Da un lato la reciproca attrazione che unisce i due sessi ha per normale conseguenza la procreazione. «Non si sposa perché la terra ha bisogno d’essere popolata, diceva Chesterton, si sposa perché si è innamorati». Verissimo. Ma il comandamento: «Crescete e moltiplicatevi» è già contenuto in germe nella simpatia amorosa. E, reciprocamente, i nuovi legami che la procreazione crea tra gli sposi forniscono loro nuovi motivi di amarsi e di aiutarsi.
Sembra tuttavia — almeno fin dove è possibile isolare due elementi così intimamente uniti nell’unità della vita concreta — che la Chiesa abbia voluto mettere l’accento sul primo proclamando l’irrevocabilità del matrimonio. La teologia tradizionale afferma energicamente che la procreazione costituisce il fine primario dell’unione coniugale e che l’amore reciproco degli sposi viene al secondo posto. È notevole il fatto che nessun altro legame affettivo, nessun altro vincolo sociale — qualunque sia il suo grado di profondità e di spiritualità — è sanzionato e coronato da un sacramento. I vincoli che uniscono l’amico all’amico, il principe al suo popolo, ecc. non sono né sacramentali né irrevocabili; è perfino possibile, a rigore, essere sciolti dai voti religiosi, ma non dalle promesse del matrimonio. L’importanza eccezionale che la Chiesa attribuisce al legame coniugale deriva anzitutto dal fatto che lo considera la sorgente immediata della vita naturale e soprannaturale dei coniugi e la base necessaria della società umana. La Scrittura non ci lascia alcun dubbio su questo argomento: «Essi saranno una sola carne». Ora, che cos’è qui la carne se non, nel senso biblico del termine, «una persona rappresentata e rivelata dall’apparenza esteriore della nostra umanità?» (1). Nel linguaggio moderno si direbbe: un solo essere di carne, una sola persona morale.
Il che non significa una sola anima, un solo spirito. L’unione spirituale è prescritta come un dovere e un ideale; ma la semplice unione contratta con lo scambio dei consensi, anche senza amore, è sufficiente a creare la comunità coniugale e a renderne indissolubile il vincolo. Nemmeno questo vincolo è estraneo alla carne, poiché l’impotenza di uno dei coniugi genera automaticamente incapacità al matrimonio, ed ogni unione non consumata può essere sciolta su parere del Sommo Pontefice, in vista di un maggior bene spirituale.
Ma ciò che costituisce in fondo la natura tutta particolare del vincolo coniugale è la sua partecipazione all’unione indissolubile di Cristo e della Chiesa; cosicché una partecipazione imperfetta a tale unione, qual è quella dei pagani, lascia il loro matrimonio legittimo suscettibile di scioglimento (privilegio paolino), mentre la partecipazione totale al mistero nuziale di Cristo, qual è l’unione ratificata e consumata di due cristiani, rende il loro vincolo assolutamente infrangibile finché essi sono in vita.


È chiaro che in ogni caso la Chiesa non prende in considerazione né l’assenza d’amore né «l’incompatibilità di carattere» per determinare il valore del legame e il suo grado di indissolubilità. E ciò perché essa considera da un punto di vista assai alto l’individualismo e la sensibilità romantica, vede nel matrimonio ben più e ben altro che lo scambio passionale e sentimentale tra due individui, e la sua sollecitudine si estende, oltre la coppia effimera, all’insieme della Città temporale che è il corpo della Città divina. Unendosi, gli sposi non si impegnano soltanto l’uno verso l’altro, ma anche l’uno e l’altro verso una realtà di cui fanno parte e che li supera: la famiglia innanzi tutto, di cui sono la sorgente e il sostegno, e in seguito la Nazione e la Chiesa, corpi viventi di cui le famiglie sono le cellule.
Una istituzione di sì fondamentale importanza ha bisogno d’essere protetta contro le mille vicissitudini dell’istinto e dell’interesse personale. Se gli sposi non hanno il diritto di separarsi, ciò non riguarda tanto la coppia stessa, quanto tutto quello che su di essa riposa. Il matrimonio costituisce il fondamento della comunità umana; se quello si spezza, questa si sfascia. La via che gli sposi intraprendono ha un senso unico: è la via stessa della vita temporale; l’unica uscita sta innanzi e indietreggiare significherebbe urtare pericolosamente altri esseri trascinati dallo stesso irreversibile movimento. Il matrimonio dipende in un primo tempo dall’individuo; ma in un secondo tempo è l’individuo che dipende dal matrimonio. Ciascuno è libero di contrarre il legame secondo i propri gusti e la propria volontà ma, dopo averlo contratto, non è più libero di infrangerlo.

Compagni per l’eternità?

Le istituzioni sono per le persone quello che il letto di un fiume è per le sue acque. La Chiesa nella sua eterna sapienza e nella sua esperienza millenaria sa che una corrente così impetuosa e intermittente qual è la passione carnale ha bisogno di un letto profondo e solido per non deviare dalla sua meta e non disperdersi in paludi fangose. Quel letto essa lo trova nel matrimonio, considerato nel duplice aspetto di istituzione e di sacramento; e appunto su questo elemento formale e sociale del vincolo coniugale la teologia classica ha posto l’accento.
Oggi noi assistiamo al sorgere, per reazione, di una specie di mistica del matrimonio, che si preoccupa più della qualità del vincolo personale tra gli sposi che delle sue conseguenze sociali. Si tende sempre più a considerare essenza del matrimonio l’atto d’amore consacrato da Dio, grazie al quale due esseri impegnano e uniscono per sempre i loro destini. Il resto — fedeltà reciproca, procreazione e educazione dei figli, inquadramento sodale, ecc. — scaturisce da questa sorgente come il temporale procede dall’eterno. È il mito dei «compagni per l’eternità... ».
Essendo l’uomo composto di spirito e di carne, di elementi personali e di elementi sociali, le due concezioni del matrimonio sopraccennate appaiono piuttosto complementari che opposte. È buona cosa presentare agli uomini un ideale altamente spirituale del matrimonio; ma è anche consigliabile, non fosse altro che per prevenire una esaltazione pericolosa seguita da amare delusioni, distinguere nettamente ciò che appartiene all’essenza del matrimonio e ciò che appartiene alla sua perfezione. È indubbiamente desiderabile che il vincolo matrimoniale sia di natura tale da trasformare gli sposi in compagni per l’eternità; ma ciò non toglie che un tale livello spirituale non sia richiesto dal matrimonio a titolo di elemento necessario e costitutivo.


L’unione coniugale in quanto tale s’instaura nel tempo e le grazie che le sono inerenti, benché procedano dalla sorgente divina e mirino a procurare la vita eterna, sono date non soltanto nel tempo, ma per il tempo. Indipendentemente da tutte le sovrastrutture spirituali che possono formarsi nella coscienza dei soggetti, l’indissolubilità del matrimonio è essenzialmente legata alla sessualità e alla procreazione in quanto facoltà obiettive assunte dalla grazia di Cristo, che vuol fare dell’umanità redenta ii suo Corpo eterno. Il fine dell’indissolubilità del matrimonio è dunque in relazione con la perpetuità della Chiesa, corpo di Cristo, assai più, o almeno altrettanto, che con la perpetuità dell’individuo. Il fatto che un matrimonio senza amore sia del tutto valido agli occhi della Chiesa (2) ne è già prova sufficiente; e la legittimità delle seconde nozze conferisce maggior evidenza al carattere temporale e sociale dell’indissolubilità del matrimonio. Il vincolo sacramentale infatti è infranto dalla morte di uno dei coniugi, e il superstite prosciolto da qualsiasi obbligo è libero di contrarre una nuova unione. Gli sposi, in quanto tali, sono così poco compagni per l’eternità che il sacramento che li lega è cancellato nell’ora medesima in cui l’individuo lascia la vita temporale per entrare nella vita eterna. Lo afferma esplicitamente lo stesso Vangelo: «In quel giorno i Sadducei andarono da lui e lo interrogarono: Maestro, Mosè ha detto: se uno muore non avendo figlioli, il suo fratello sposi la moglie di lui e dia discendenza al fratello. Ora, c’erano tra noi sette fratelli; il primo era ammogliato e morì, e, non avendo prole, lasciò la moglie al fratello. Lo stesso fu del secondo e del terzo, fino al settimo. Finalmente ultima di tutti morì anche la donna. Alla risurrezione dunque, di quale dei sette sarà ella la moglie, se tutti l’hanno avuta? Ma Gesù rispose loro: Voi siete in errore, poiché non comprendete le Scritture né la potenza di Dio. Perché alla risurrezione né gli uomini prenderanno moglie né le donne marito, ma saranno come gli Angeli di Dio nel cielo» (Mt., XXII, 23-30).

Quanto alla legittimità delle seconde nozze la posizione di S. Paolo è più che chiara: «Una donna è legata per tutto ii tempo che ii marito è in vita; ma se il marito muore ella è libera di sposare chi vuole» (I Cor., VII, 39). E ancora: «Voglio che le giovani vedove prendano marito (I Tim., V, 14) e abbiano figli, e dirigano la loro casa».
Mi accadde di notare più di una volta come questa dottrina che limita al tempo e alla morte l’effetto del sacramento abbia il dono di ferire le anime amanti. Com’è possibile, protestarono taluni sposi, che nulla debba rimanere oltre la tomba di quest’amore in cui sentiamo entrambi vibrare una promessa d’eternità? È qui il caso di ripetere le parole del Vangelo: “Ciò che viene dalla carne è carne e ciò che viene dallo spirito è spirito”. La Chiesa istituì un sacramento valevole per tutti, ma una cosa è il sacramento propriamente detto e un’altra la qualità d’animo di coloro che lo ricevono. Il matrimonio non conferisce necessariamente l’amore spirituale, ma nemmeno lo esclude: anzi, l’intimità della vita coniugale e la fedeltà alle grazie sacramentali offrono un terreno particolarmente propizio al nascere e al fiorire di un simile amore. «Essi saranno come gli Angeli di Dio nel Cielo», ha detto Cristo. Tutto quello che di angelico, di veramente spirituale noi avremo messo nel nostro amore lo ritroveremo in cielo. La morte distrugge ii matrimonio come vincolo carnale e sociale (ed è forse altra cosa per la maggior parte degli sposi?); ma non distrugge l’amicizia spirituale che unisce due anime immortali. In questo senso soltanto è permesso di parlare di compagni per l’eternità.
Quanto di immortale vi è nel matrimonio supera il matrimonio stesso; alla morte l’unione degli sposi, distrutta nei suoi elementi terreni e trasfigurata in quelli spirituali, diviene un aspetto della comunione del santi.

Obbiezioni contro l'indissolubilità del matrimonio

Se taluni spiriti tormentati da una sete prematura di assoluto rimproverano alla Chiesa di limitare alla vita terrena l’indissolubilità del matrimonio e di permettere le seconde nozze, infinitamente più numerosi sono coloro che l’accusano di un rigore eccessivo per il fatto ch’essa proibisca il divorzio. Queste due critiche provengono da un’unica fonte: la ribellione delle inclinazioni soggettive contro una legge universale. Ignorando che un’istituzione come il matrimonio è fatta innanzi tutto per tutti, gli uni vorrebbero adeguarla alla misura della loro fedeltà e gli altri alla misura della loro incostanza; ma in entrambi i casi è sempre il desiderio individuale che detta legge. Gli avversari della indissolubilità del matrimonio si appellano in generale agli argomenti seguenti:
- La Chiesa, affermano, dà prova in questa materia dl un rigore inumano; essa disconosce le aspirazioni e i diritti più legittimi dell’individuo. Protraendo sino alla morte unioni concluse senza amore o che l’amore ha abbandonato, essa subordina la realtà all’apparenza, la linfa interiore alla scorza sociale, la persona vivente a una legge morta. Un’unione ha valore solo se l’amore la vivifica; e quando gli intimi legami dell’amore cedono il posto, tra due esseri, alle catene esteriori della legge, non esiste più in realtà il matrimonio. Perché dunque accanirsi a conservare ciò che è già morto con un’opera di imbalsamazione che procede in senso contrario alle leggi della vita?
- La legge della Chiesa, interdicendo agli sposi separati di ricostruire la loro vita sulla base di un nuovo amore, intralcia o avvelena l’esercizio della più nobile facoltà dell’uomo; perché o l’individuo accetta la legge e soffoca in germe il nuovo amore, vivendo in un deserto affettivo, oppure viola la legge, e allora il suo amore, tacciato di colpa e interdetto dalla morale e dall’opinione pubblica, trascina necessariamente un’esistenza di vergogna e di stenti.

È evidente che tanto l’ipocrisia dei falsi amori legali, quanto la dissimulazione dei genuini amori illegittimi contribuiscono a creare un’atmosfera di farisaismo eminentemente sfavorevole alla virtù degli individui e all’armonia della società. Quanto ai vantaggi sociali che si sogliono porre in attivo per la indissolubilità del matrimonio, non trovano forse la loro contropartita negativa in quel prevalere dell’astratto sul concreto, della lettera sullo spirito, in quel culto di una virtù vuota di carne e d’anima e ridotta a una scheletrica formalità, la quale, creando nella società un clima di costrizione e di menzogna, prepara automaticamente i contraccolpi distruttori della rivolta e dell’anarchia? Non è forse in relazione a un conformismo troppo gretto che sorsero in ogni tempo le peggiori licenze? E non converrebbe alla Chiesa, che già ammette la separazione dei corpi, lasciar agire in certi casi quella valvola di sicurezza che è il divorzio?
Concludendo, non si guadagna nulla a voler asservire la vita che è molteplice e mobile al giogo di una legge astratta e rigida, ma si rende bensì sterile la legge e si inaridisce la vita.

Rispondendo a tali critiche, eviteremo la stoltezza e l’ipocrisia di contestare la parte di verità che esse contengono. L’evoluzione armoniosa dell’amore dell’uomo e della donna richiede il concorso degli elementi più disparati. La vita matrimoniale costituisce infatti il punto di convergenza delle esigenze più diverse, e talvolta più opposte, della natura umana: aspirazione dei due coniugi ad una pienezza carnale e spirituale, procreazione ed educazione dei figli, necessità sociale, ideale morale e religioso, ecc. Bisogna quindi ammettere che in questo campo la migliore soluzione non può essere che una specie di compromesso tra necessità così numerose e così divergenti. La legge del miscuglio e del relativo, che è la legge centrale della creazione, gioca a fondo in quel focolare della vita temporale che è il matrimonio. Perciò il principio che deve guidarci in questo dedalo non è quello della perfezione assoluta, bensì il principio del bene maggiore, per non dire del minor male. Principio che troviamo, tutto sommato, nell’indissolubilità del matrimonio.

(1) Bonsirven, Le divorce et le Nouveau Testament, Parigi-Bruxelles, 1948, p. 30.

(2) Cfr. S. Tomaso, Summa Theologica, supplemento 48-2.

[Da AA.VV., L'amore e il matrimonio, tr. it., Vita e Pensiero, Milano 1955, pp. 85ss]

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