di Fr. Giovanni Cavalcoli
Le radici cristiane dell’Europa sono essenzialmente legate alla S.Messa, che è sempre stata potente fattore di unità spirituale ed alimento di vita cristiana, pur nella varietà dei riti e dei modi di celebrare nel tempo e nello spazio. Credo quindi che, benchè questa non sia una rivista liturgica, non sia fuori luogo presentare al Lettore alcune riflessioni sui problemi attuali della liturgia, anche se l’Autore stesso confessa di non essere un liturgista; ma è sacerdote, al quale la celebrazione della Messa interessa sommamente. Ma essendo io un teologo sistematico, vorrei provare ad allacciare un rapporto fra liturgia e una certa corrente teologica oggi molto diffusa, che sto studiando da molti anni.
E’ nota in tutto il mondo cattolico la situazione di grave difficoltà nella quale si trova l’esigenza di unità ed omogeneità, sia pure in una sana diversità, della celebrazione della S.Messa, atto liturgico fondamentale del cattolicesimo, principio ed espressione essenziali dell’unità della Chiesa, “fonte e culmine”, come dice il Concilio Vaticano II, “di tutta la vita e dell’evangelizzazione cristiana”.
Sono in aumento i fedeli, i liturgisti e i pastori intenzionati ad una piena comunione con la Chiesa, all’osservanza delle sane tradizioni, e ad una vera applicazione delle norme attuali concernenti la celebrazione eucaristica, i quali con dispiacere e a volte con scandalo lamentano o denunciano il moltiplicarsi di sciatterie, abusi e cambiamenti arbitrari, eventualmente sotto pretestuose esigenze “pastorali” o di ammodernamento, nella celebrazione del rito fondamentale della religione cattolica, momento ed evento di altissima importanza per realizzare la comunione con Dio e con i fratelli ed alimentare la vita spirituale in vista del conseguimento della salvezza e della santità.
Ma quello che alcuni osservatori ormai da tempo constatano è il fatto più grave di una certa tendenza ad interpretare - con un falso ecumenismo - la Messa riformata dal Concilio, così da assimilarla, in certa misura, alla “Cena del Signore” della tradizione protestante. Il termine stesso “Sacrificio della Messa” in certi casi viene accantonato per essere sostituito con quello di “mensa del Signore”, “banchetto eucaristico”, “anamnesi eucaristica” e simili. Caso emblematico di questo mutamento di linguaggio è Karl Rahner, il quale ancora nel 1960 usava l’espressione cattolica tradizionale, che poi a partire dagli anni del Concilio egli ha abbandonato per sostituirla con le altre espressioni, che ricordano gli usi protestanti.
Non c’è dubbio che la Messa riformata o Novus Ordo, rispecchiando l’ispirazione generale del Concilio, è stata elaborata mettendo in rilievo tutto ciò che avrebbe potuto costituire un punto di contatto con la “Cena” protestante. Ma ciò non significa assolutamente – sarebbe inconcepibile per un cattolico – che il Concilio abbia mutato la natura essenziale del rito della S.Messa. Deformazioni e malintesi invece sono venuti dall’applicazione di teologie troppo accondiscendenti nei confronti del protestantesimo, come è stata per esempio, quella di Rahner.
In molte sue opere Rahner si è interessato di temi riguardanti i sacramenti, la liturgia, il culto, l’eucaristia e il sacerdozio. La radice delle concezioni rahneriane in questi campi la troviamo nella sua concezione della Redenzione e della grazia. Un errore in questo campo comporta come conseguenza l’errare nel concepire il sacerdozio. Sbagliare poi nel concepire il sacerdozio porta come conseguenza un concetto errato dell’essenza e dei fini della Messa.
In Rahner purtroppo si constata tutta questa trafila di errori. Per questo le celebrazioni di tipo filoprotestante e modernistico che nascono dal rahnerismo non sono semplicemente il frutto di bizzarrie o trascuratezze di singoli sacerdoti, ma si fondano su di un retroterra teologico sistematico ben determinato, - purtroppo di grande successo - che sono appunto i princìpi filosofici e teologici del rahnerismo.
Senza che sia necessario andare qui, nello spazio di questo articolo, alle basi gnoseologico-metafisiche del pensiero rahneriano, che ho illustrato di recente altrove , mi limito ad accennare ai presupposti cristologici, dai quali sorge logicamente, come di fatto sorge, la concezione rahneriana del sacerdozio e conseguentemente della S.Messa.
Secondo Rahner la salvezza operata da Cristo non dipende da un sacrificio espiatorio cruento (la Croce), ma dal fatto che Cristo, l’uomo-Dio, solidarizzando col dolore e la condizione di peccatore dell’uomo, ci comunica incondizionatamente la grazia e il perdono del Padre (la “autocomunicazione divina”) nella potenza dello Spirito, in modo tale che la grazia della salvezza non è un semplice dono di Dio distinto da Dio, che si aggiunge alla natura umana e che dev’essere acquistata mediante il battesimo, che libera dalla colpa originale, o che può essere perduta a causa del peccato mortale, ma è Dio stesso come “esistenziale soprannaturale”, ossia termine e perfezionamento ultimo dell’esistenza umana, presente in tutti e necessario a tale perfezionamento, e che non si perde neppure col peccato (vedi il simul iustus et peccator di Lutero).
Con tutto ciò la grazia resterebbe “gratuita”, in quanto libero dono d’amore da parte di Dio; ma dato che nel contempo essa è necessaria al compimento finale dell’uomo, non si vede come essa dovrebbe essere gratuita. Infatti per Rahner Dio non poteva creare l’uomo in uno stato puramente naturale (la pura natura per Rahner è una semplice astrazione), ma doveva necessariamente crearlo orientato alla vita soprannaturale , la quale poi peraltro non è che il conseguimento dell’orizzonte ultimo della vita umana. Per cui non si vede come la natura si distingue dalla grazia. Anzi per Rahner Dio stesso è l’“orizzonte della trascendenza umana”, per cui a questo punto non si vede neppure come sia salvata la trascendenza divina.
Da ciò segue che – similmente a quanto dice Lutero – l’uomo per salvarsi non ha da compiere atti di culto religioso o sacrifici cultuali (le “opere”), quasi poi potesse accampare meriti presso Dio o “placare” la divinità, ma deve semplicemente, credendo in Cristo, credere di essere già stato perdonato e di essere – nonostante la coscienza di qualsiasi peccato - sempre in grazia, col paradiso assicurato per tutti. Cristo non ha “espiato”, non ha “soddisfatto al nostro posto”, ma semplicemente, per un amore perdonante incomprensibile del Padre, ci comunica il perdono e la grazia del Padre, proponendosi, proprio come Figlio di Dio, come ideale e compimento supremo dell’uomo.
Nella Messa, quindi, il sacerdote non ha da fare quello che ha fatto Cristo, né tanto meno da offrire un sacrificio di espiazione. Infatti Cristo, Figlio di Dio, è già morto per noi sulla croce per la nostra salvezza; per cui che cosa il sacerdote dovrebbe aggiungere, offrendo il sacrificio della Messa, a ciò che Cristo ha già fatto?
Nella Messa, secondo Rahner, si tratta di ricordare quello che Cristo ha fatto: l’istituzione dell’eucaristia, come banchetto messianico ed escatologico, in solidarietà ai poveri e ai sofferenti, assumendo comunitariamente il suo corpo e il suo sangue come cibo e bevanda di salvezza. Nella Messa si tratta di ascoltare (la Parola), di commemorare l’ultima Cena e di nutrirsi di Cristo, ringraziandolo (eucaristia) di quanto Cristo ha fatto e di quanto ci dona.
Il sacrificio e l’espiazione, come nella Cena luterana, sono scomparsi. La Messa quindi non è attualizzazione, benchè incruenta, della Croce come unico divino sacrificio espiatorio; Cristo sulla croce non compie affatto un atto di culto sacerdotale, perché la Croce è semplicemente la morte del Giusto, Profeta escatologico e Martire, che si abbandona “con fede” al mistero ineffabile del Padre e ci comunica la grazia del Padre. Niente di più.
Il sacerdote, quindi, non agisce in persona Christi, non ha nessun potere divino, è semplicemente il presidente dell’assemblea, il “mistagogo”, l’uomo spirituale che guida alla santità, incaricato dalla comunità per celebrare la Cena, ma non compie nessun gesto speciale che qualunque altro fedele non possa compiere.
Da qui le incertezze e la confusione circa l’idea rahneriana di sacerdote, la quale prende a pretesto la notevole diversità di modi con i quali nella storia è stato esercitato il sacerdozio e la molteplicità di attività alle quali il sacerdote si può dedicare. E così perde di vista la chiarissima definizione del sacerdozio che troviamo nella Lettera agli Ebrei: “Ogni sommo sacerdote, scelto fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio” (il “sacrum”), per offrire doni e sacrifici per i peccati (espiazione)”(Eb 5,1). Queste sono le cose che solo il sacerdote può fare (a parte la celebrazione degli altri sacramenti), mentre per altre – la predicazione, la presidenza dell’assemblea, la guida spirituale, le opere sociali, l’assistenza i poveri, può valere anche meglio un laico, un religioso o una donna.
Lutero abolì la funzione sacra ed espiatoria del sacerdote e quindi il carattere sacro ed espiatorio della Messa, lasciando solo (e peraltro in modo carente) la commemorazione dell’ultima Cena e con ciò la Messa non fu più una Messa, ma diventò la Cena. Il che è come dire che la Messa perse il suo carattere di culto divino o religioso. Infatti la Chiesa, sin da quando cominciò ad entrare in uso il latino, assunse alcuni termini dalla religiosità romana che potevano prestarsi, ovviamente con i dovuti adattamenti, ad esprimere il culto ebraico-cristiano. La parola stessa religio appartiene alla latinità e così pure i termini affini di sacrum, pietas, cultus, votum, devotio.
Da sacrum proviene sacri-ficium=compio-un’azione-sacra, sacer-dos=sacrum-dans=colui- che-dona-il-sacro, sacramentum=cosa sacra. E tutti gli altri termini connessi: consecratio, liturgia sacra, ordine sacro, veste sacra, tempo sacro, luogo sacro, oggetto sacro, ecc. Quanto a pietas, è il sostantivo astratto del verbo expio=“offro alla divinità un sacrificio propiziatorio”. Il sostantivo concreto è pius. Ora la soppressione dell’aspetto espiatorio sia del sacrificio di Cristo, sia per conseguenza del sacrificio della Messa è chiaramente contraria agli insegnamenti espliciti del Nuovo Testamento, ed al costante insegnamento della Chiesa fino ai nostri giorni.
Rahner vorrebbe respingere il concetto di soddisfazione vicaria operata da Cristo perché la fraintende come se essa dovesse comportare l’esenzione da ciò che dobbiamo fare noi. Ma in realtà, secondo la dottrina cattolica non è così: Cristo certo soddisfa al Padre al nostro posto in quanto, come Figlio di Dio, egli solo può “pagare” (red-emptio= compro di nuovo) a prezzo del suo sangue il debito infinito contratto dal peccato (“siete stati comprati a caro prezzo”, I Cor 6,20), ma è chiaro che anche noi dobbiamo dare il nostro contributo (la “croce quotidiana”).
Inoltre Rahner fraintende la funzione propiziatoria della Messa, che pure è stata insegnata dal Concilio di Trento, come se essa supponesse un Dio “adirato”, che poi si “placa” e quindi come se supponesse l’incredibile potere del sacerdote di “causare un mutamento” nella volontà divina (questa sarebbe magia!).
Dovrebbe esser noto a tutti che qui si tratta di un linguaggio metaforico, ma molto espressivo per significare che i meriti infiniti di Cristo nel sacrificio della Croce e quindi in quello della Messa ottengono dal Padre grazia e perdono. Il fatto che dobbiamo scontare con la sofferenza e le opere della penitenza i nostri peccati non implica la pretesa evidentemente assurda che noi possiamo propriamente mutare il volere divino, dato che Dio è immutabile e sempre ci ama. In realtà il cambiamento è da parte nostra appunto grazie al perdono ottenuto da Cristo presso il Padre. E la stessa nostra possibilità di render giustizia al Padre (valore riparatore della Messa in forza della riparazione offerta da Cristo al Padre) ci è concessa dalla misericordia del Padre in Cristo. Sicchè, come dice Paolo, anche la giustizia si risolve nella misericordia.
Sinchè questi errori di fondo avranno libera circolazione, non si potrà dire di aver tolto alla radice l’infiltrazione modernista nella Messa, per cui resterà in piedi una cattiva tendenza liturgica, fonte di dissidi, di incredulità e di scandalo, la quale eventualmente richiamandosi al Concilio in modo mistificatorio, crederà di realizzare una liturgia “moderna”, in nome del “pluralismo”, magari accanto e con pari legittimità a quella di S.Pio V e di Paolo VI.
Per questo mi permetto di esprimere rispettosamente l’auspicio che la S.Sede o il Papa, cogliendo eventualmente l’occasione da questo Anno dedicato al Sacerdozio, voglia emanare un documento col quale: 1. si mostri chiaramente la perenne, specifica ed insostituibile essenza del sacerdozio cattolico; 2. La perenne, immutabile ed irrinunciabile essenza della S.Messa, salva tanto nel Novus Ordo quanto nel Vetus Ordo 3. evidenziando la reciprocità delle due modalità del sacro Rito ed inoltre 4. ingiungendo ai Vescovi o di correggere le celebrazioni moderniste o, se non c’è altra soluzione, di proibirle, 5. e ribadendo infine l’importanza del confronto ecumenico, ma senza che tale confronto diventi pretesto per falsificare la Messa cattolica.
I Vescovi, piuttosto che proibire l’esecuzione del Motu proprio del Santo Padre sulla Messa tridentina, disobbedendo così al Papa, farebbero meglio ad attenersi al punto 4. Questa è la via della concordia e della pace su di un valore così importante come la S.Messa che di per sè è fatta per favorire, anzi per edificare l’unità, la riconciliazione e la pace nella Chiesa. Quindi è assurdo che noi cattolici ci troviamo divisi proprio su di un punto così importante. E’ un male gravissimo, al quale occorre riparare con urgenza. Qui si vede la fedeltà del cattolico al Papa. La carità deve basarsi sulla verità.