Quante volte da bambini ci siamo sentiti dire dalla mamma che “il cibo non si spreca”, quante volte a fatica abbiamo trangugiato il pasto per non “far soffrire chi non ha nulla”. A parte la retorica buonista i numeri però mostrano che la questione non è per niente banale, effettivamente le nostre società post-moderne sprecano veramente grandi quantità di generi alimentari.
Negli USA si butta qualcosa come il 40% del cibo prodotto, mentre in Italia si può dire che ogni giorno circa 4.000 tonnellate di cibo ancora “buono” finiscono tra i rifiuti: pane, ortofrutta, latte, formaggi e carne. A ciò poi si possono aggiungere frutta e verdura che restano direttamente nei campi, gli scarti dell’agro-industria, dei mercati ortofrutticoli all’ingrosso, nonché i ritiri di mercato per controllare i prezzi delle derrate agricole.
Le cause di questa situazione sono varie e complesse e sono di tipo culturale, economico, sociale e politico. Il solidarismo cristiano proprio in questo campo è particolarmente attivo, al punto che per alcuni questo sarebbe l’unico spazio tollerabile di “ingerenza” nel sociale della Chiesa. Non mancano sensibilità “laiche” al problema, infatti, ONLUS di varia estrazione operano un filantropismo fondato sulla bandiera dell’etica in economia, bandiera che spesso assume le vesti di un credo quasi religioso anche se limitato ad una prospettiva di “salvezza” soltanto materialistica.
In Italia da un punto di vista normativo il passaggio fondamentale per sbloccare questa situazione è stato l’approvazione della L. 155/2003, la cosiddetta “legge del buon samaritano”, emanata dal governo Berlusconi allora in carica: una legge improntata sulla logica della sussidiarietà. Prima di questa legge il problema “fame e spreco” era trattato o in riferimento al passato, o rispetto al tema più generale della “fame nel mondo”, ma mancava un riferimento che si ponesse in modo pragmatico e operativo. Curioso notare che l’iter legislativo partì da una mamma – Cecilia Canepa – che vedendo lo spreco nella mensa della scuola dei figli si mise in moto coinvolgendola Fondazione Banco Alimentare Onlus e così si arrivò, nel giro di 18 mesi, a far varare dal Parlamento italiano la “legge del buon samaritano”. Con questa legge – la prima in Europa - aziende, mense scolastiche, ristoranti, supermercati, ecc., non sono più responsabili del corretto stato di conservazione, del trasporto, del deposito e infine dell’utilizzo degli alimenti “invenduti”, ma le responsabilità sono trasferite alle organizzazioni di volontariato che li offrono ai bisognosi. In buona sostanza, con l’abolizione di queste rigidità che paralizzavano le donazioni, si è voluto incentivare la beneficenza e ora le Onlus che effettuano senza scopo di lucro distribuzione di prodotti alimentari sono state equiparate ai consumatori finali. Per lo standard italiano questa legge ha anche un ulteriore pregio: unisce sintesi ed efficacia, infatti, ha un solo articolo di 5 righe, nessun regolamento attuativo, eppure, riesce a modificare la destinazione di tonnellate e tonnellate di generi alimentari.
Per dare una dimensione del fenomeno si può citare proprio l’esempio del Banco Alimentare che complessivamente nel 2009 ha raccolto qualcosa come 78.270 tonnellate di alimenti che sono stati ridistribuiti gratuitamente a 7.711 associazioni ed enti caritativi che assistono circa 1.300.000 poveri ed emarginati in Italia. Tutto ciò è permesso dall’opera di ben 1.244 volontari e soltanto 86 dipendenti; il Banco opera nel nostro paese dal 1989.
Va detto che c’è ancora molta strada da fare e nonostante alcune eccellenze la “legge del buon samaritano” è poco conosciuta e poco applicata: il livello degli scarti alimentari è ancora elevato, troppo elevato. Come diceva Madre Teresa di Calcutta: “Ciò che mi scandalizza non è che esistano poveri e ricchi, ma che esista lo spreco”
Forse non è una caso che l’approvazione di questa legge sia potuta avvenire grazie all’impegno del Banco Alimentare le cui radici cristiane sono note, infatti, se guardiamo alla storia i seguaci di Cristo hanno sempre avuto un ruolo fondamentale nella difesa degli indigenti. Questo ruolo è stato così importante che di fronte al rapido sviluppo dei cristiani l’imperatore Giuliano, in una lettera datata 362 d.C., scriveva ad un sacerdote pagano: “gli empi galilei non offrono sostegno solo ai loro poveri, ma anche ai nostri; tutti vedono che noi non diamo aiuto alla nostra gente” e si impegnò per lanciare delle istituzioni benefiche pagane nel tentativo di uguagliare i cristiani ed arginarne la diffusione. Insomma, fin da subito la testimonianza dell’amore fraterno fondato su quello del Cristo Crocifisso ha innescato una sorta di circolo virtuoso, anche se animato da una volontà di contrapposizione, segno del “lievito” inesorabile di un nuova realtà.
Il passo del Vangelo di Luca del “buon samaritano” nel corso della storia ha dato frutti meravigliosi ispirando a grandi santiistituzioni benefiche comeospedali, opere pie, case di accoglienza, mense per i poveri, monti di pietà, ecc. Ad esempio il ‘400 italiano ha visto i frati minori osservanti percorrere le neo-nate città italiane contribuendo proprio alla stesura di codici e leggi utili ad organizzare le strutture civiche, informandole con il loro spirito cristiano profondamente attento al “bene comune”. Particolarmente interessanti risultano i Monti di Pietà in cui diritto, giustizia, morale e carità vanno a coniugarsi in un orizzonte evangelico: la caritas non è mera solidarietà, ma anche quando diventa prestito su pegno è sempre segno di un Amore ricambiato, cammino verso una “salvezza” al di là della vita terrena.
La L. 155/2003 - “legge del buon samaritano” – rappresenta un esempio di quanto ancora oggi quel “lievito” continui a far crescere il Vangelo nella vita sociale e culturale, perciò dovrebbe far riflettere quando in ambito politico si parla di solidarietà e di sussidiarietà. Dovrebbe far riflettere perché dimostra come più delle parole la buona politica si deve misurare sui fatti. La storia ci insegna qualcosa a proposito di questo “lievito” e l’apporto fondamentale che può dare al bene di tutti, credenti e non credenti. A buon intenditor poche parole.