La condanna a sette anni di reclusione, che i Giudici della Corte d’Appello hanno confermato a Marcello Dell’Utri, se per un verso pesa come un macigno sulle spalle del senatore – il quale è comunque da ritenersi innocente sino ad una eventuale “condanna definitiva” (Art. 27 Cost.)-, dall’altro annulla definitivamente ogni sospetto sull’origine mafiosa di Forza Italia, dal momento che ha riconosciuto l’imputato estraneo alle condotte contestategli in epoca successiva al 1992, escludendo così qualunque "patto" tra lo Stato e Cosa Nostra subito dopo le stragi.
E’ questo, su tutti, il dato rilevante, il passaggio chiave che polverizza anni di sospetti e inquietanti insinuazioni. Merita infatti di essere ricordato che i Giudici che condannarono in primo grado dell’Utri, pur riconoscendo che un eventuale sostegno di Cosa Nostra a Forza Italia, di per sé, non avesse “alcun rilievo processuale”(p. 678), di fatto, nella loro sentenza, si resero autori di affermazioni pesantissime. Come quando allusero alla“compromissione di Dell’Utri con la mafia anche sul fronte della politica”, compromissione che si sarebbe avuta in seguito ad aiuti “concreti ed importanti a “cosa nostra” in cambio del sostegno al partito di Forza Italia” (p.701).
Ebbene, tutto questo, secondo i Giudici della Corte d’Appello sono fantasie. Con buona pace di Marco Travaglio, che durante la puntata della trasmissione Annozero dell’8 Ottobre 2009 arrivò a citare una lettera che sarebbe stata scritta da Provenzano a Berlusconi in cambio di una televisione, incurante dello scetticismo degli stessi inquirenti, che hanno verificato come quella del documento non fosse la grafia di Provenzano, e del fatto che fosse stata giudicata del tutto inattendibile anche da Rosalba Di Gregorio, avvocato del boss corleonese.
Travaglio dovrà pure rivedere quanto pubblicato con Peter Gomez ne “L’amico degli amici” (Bur, 2005), testo nel quale ha sostenuto che il ruolo-chiave di Dell’Utri sia stato svolto da costui “nel momento della costituzione del nuovo soggetto politico, così come gli è stato chiesto – mediatamente – da Bernardo Provenzano” (p.482), e dove, in piena consonanza con la requisitoria, veniva dato il massimo credito alle dichiarazioni di sedicenti “pentiti” e di Ezio Cartotto, ex collaboratore di Berlusconi, dicono Travaglio e Gomez, “sicuramente non sospettabile di accanimento politico antiberlusconiano” (p. 483), ma che invece il gip Giovambattista Tona, in un decreto di archiviazione, ha descritto come uno che “non ha fatto mistero delle sue ragioni di malumore nei confronti di Dell’Utri e Berlusconi per la sua esclusione, nonostante le precedenti promesse, prima da alcuni incarichi e poi dalle liste elettorali” (p.58).
Che Dell’Utri non abbia trattato con Cosa Nostra per la nascita di Forza Italia era intuibile dal fatto che le uniche “prove” a suo carico erano costituite, oltre che da confuse intercettazioni ambientali, da due annotazioni nelle sue agende, rispettivamente del 3 e del 30 Novembre 1993, nelle quali si riferiva di appuntamenti con Vittorio Mangano. Ora, a parte il fatto che sostenere che un appuntamento abbia avuto luogo solamente perché segnato sulle pagine di un’agenda è, già di per sé, una tesi opinabile, ancor più azzardato - come ha fatto qualcuno, emulando le gesta del mago Otelma - è dedurre dall’annotazione di un’agenda il contenuto (nel caso di Dell’Utri sarebbe stato nientemeno che un segretissimo patto politico con la mafia) di questo ipotetico appuntamento.
Se poi si considera che le annotazioni in questione non fanno riferimento a date precise in cui si sarebbero svolti degli appuntamenti, bensì riferiscono rispettivamente di quando Mangano “era a Milano” e del fatto che costui “cinque giorni prima comunicherà la data dell’appuntamento”, si può comprendere come le ipotesi di un accordo mafioso alla base di Forza Italia faccia acqua da tutte le parti. Anche perché, stando a quanto scrissero i Giudici nella sentenza di primo grado, Cosa Nostra avrebbe reso il suo sostegno a Berlusconi fino alle elezioni “del 2001” (p. 689). Il punto è che proprio nel 2001, anno nel quale si sarebbe interrotto il rapporto tra Forza Italia e Cosa Nostra, il partito di Berlusconi ha riscosso il suo record di voti siciliani.
Lo dicono i dati: nel ’94 il partito del Cavaliere ha preso nelle due circoscrizioni siciliane il 34,85% ed il 32,43% delle preferenze, percentuali che nel 2001 sono lievitate rispettivamente al 37,65% ed al 35,81%. Senza considerare i numeri dell’operato dell’attuale Governo: 5501 arresti ( + 46% rispetto al periodo precedente), 379 latitanti fermati ( + 75%) dei quali 52 nell’elenco dei 100 più pericolosi e 24 nell’elenco dei 30 più pericolosi, 554 operazioni di polizia giudiziaria ( + 42%), 9.311 milioni di euro di beni sequestrati (+153%), 2012 milioni di euro di beni confiscati (+344%). Numeri che parlano da soli, e che contribuiscono ad azzerare ogni sospetto sulla fantomatica “trattativa” mafiosa sulla quale sarebbe germogliato il più grande partito italiano.