Mettendo ordine tra le carte, ho ritrovato un opuscoletto contente un discorso tenuto da Oscar Luigi Scalfaro, allora vicepresidente della Camera, l’11 gennaio 1977.
Il titolo recita “Per la vita”, ed è un lungo e accorato appello contro la legge 194, così come si stava delineando in quei giorni. Rileggerlo è molto istruttivo. Anzitutto l’allora deputato democristiano si richiama a “principi che non sono mutabili, poiché sono principi che trascendono l’uomo”. Scalfaro nota che la scienza è concorde: il feto non è un’“appendice della madre”, per cui la nostra Costituzione, che non crea diritti ma li “riconosce”, non può che tutelarlo.
Parlando dell’articolo 2, Scalfaro evidenzia che detto articolo camuffa una “totale liberalizzazione” dell’aborto nei primi tre mesi, dal momento che “anche con la consulenza dei più grossi giuristi uno non riesce a fare un reato in contrasto con l’articolo 2”.
Poi Scalfaro afferma che “la clandestinità non si vince dichiarando lecito ciò che lecito non può essere mai”, e aggiunge: “ci sono molti modi per sciacquarsi le mani. E questa eventuale liberalizzazione, di diritto o di fatto, non è certo il modo più nobile né il più degno…Non si spezza, non si riduce, ma si aumenta, si esaspera la desolante, spaventosa solitudine della donna”, mentre si rende l’uomo “irresponsabile” e gli si negano i “diritti che sono impliciti e propri della sua posizione di padre”. Ecco, trent’anni dopo Scalfaro non si interessa più di aborto, da circa trent’anni. E’ finito mani e piedi tra gli eroi di “Repubblica”, il giornale abortista per eccellenza. I problemi non sono più la vita e la morte, dunque, per il cristiano Scalfaro, ma Berlusconi.
Ciononostante la battaglia per la vita continua. Condotta più dalle truppe che dai generali; più dai laici che dalla gerarchia ecclesiastica, checchè se ne dica. Tra questi soldati in trincea, ne vorrei citare una, Serena Taccari, fondatrice dell’ associazione romana “il Dono”, nata, “non solo per chi è in dubbio su cosa fare (sostegno alla gravidanza indesiderata o difficile), ma anche per chi, avendo già fatto una scelta di aborto, non riesce più ad andare avanti”. La scelta dell’aborto, infatti, benché libera e gratuita, porta con sé strazianti sensi di colpa.
Afferma la Taccari: “E di questo pentimento si soffre in maniera struggente, devastante. Abbiamo ascoltato migliaia di donne che hanno cercato la morte come unica soluzione a una vita che non sembrava offrire più nulla. Coppie che di fronte a un aborto terapeutico, esplodono, anche se entrambe le parti sono pronte a dichiarare che era la scelta migliore per quel figlio…e non sanno spiegarsi perché tra loro, proprio all’ombra di quella scelta migliore, il rapporto non funziona più”.
Grazie a Il Dono sono già nati più di 300 bambini, sono state accolte e ascoltate più di 2000 persone. Ora piano piano qualcuno si accorge che l’aborto non è un diritto, ma un dramma: “Così ci arrivano segnalazioni da parte di professionisti che entusiasti ci parlano dell’apertura di gruppi di accompagnamento all’aborto. Che squallore! Davvero si può credere che chi soffre per un aborto, soffra perché non è stato adeguatamente accompagnato a eliminare quel figlio o perché non era abbastanza motivato? Ebbene sì! Accompagnamento prima, durante e dopo l’aborto, perché così si preverrebbe la sindrome post aborto! Possibile non ci si renda conto che la sindrome post aborto si previene non abortendo, e non accompagnando a suicidarsi nel migliore dei modi?”.
Le statistiche in America, continua la Taccari, “dove il post aborto è stato affrontato e studiato quasi di pari passo con la legalizzazione dell’interruzione di gravidanza, parlano di un tasso di suicidio tra coloro che hanno vissuto questa esperienza che si aggira intorno al 250%: cioè una persona che ha abortito è due volte e mezza più esposta alla possibilità di una depressione che arriva al suicidio, di chi non ha alle spalle questo vissuto. Un dato impressionante, eppure reale, e noi possiamo confermarlo. Ci sono suicidi che passano per l’autolesionismo, per i disturbi dell’alimentazione, per le dipendenze da alcool e stupefacenti; tantissime donne hanno dichiarato di aver guidato nella speranza di schiantarsi contro un albero, “così raggiungo mio figlio” ”.
Il percorso di risalita e di guarigione che l’associazione offre a chi si rivolge ad essa, dopo un aborto, parte dall’ascolto. Ma non può fermarsi a guardare un fatto come se fosse l’evento principe nella vita della persona: perché l’aborto è una scelta che viene da lontano, che si radica in una cultura formatasi passo passo e che porta, come una serie di gradini, a poter concepire anche, ma non solo, l’eliminazione di un figlio. Ed allora “per sradicare questa mentalità è necessario ripercorrere a ritroso dove essa si è radicata, in un cammino difficile, lento e spesso doloroso, che non tutti si sentono di affrontare perché certamente è più semplice mettere il cerotto o fare la cosmesi del danno evidente, piuttosto che scendere in profondità; ma che una volta affrontato porta a delle rinascite che sanno di miracolo. Le persone che si sentono accolte sanno ancora, in questa società così poco accogliente, re-imparare a mettersi a disposizione, a dimostrarsi accoglienti. Così i volontari de Il Dono sono principalmente coloro che hanno usufruito in prima persona del lavoro dell’associazione e sentono di dover restituire, gratuitamente, ciò che gratuitamente hanno ricevuto”. Il Foglio, 18 giugno 2010