Fini sostiene l’inesistenza della Padania, Michele Serra lo applaude parlando di “mito insieme inconsistente e forsennato” e Agostino Carrino, sul Secolo d’Italia, rincara la dose e liquida tutto alla voce idee strampalate di patrie immaginarie. Dinnanzi a cotanta scienza verrebbe davvero da sottoscrivere la tesi di Fini, se non fosse che già nel lontano 1728 un certo Charles Louis de Montesquieu – che non era un antenato di Calderoli o di Borghezio – ebbe ad annotare meravigliato di quella pianura “che si estende fra le Alpi e l’Appennino: queste due catene di montagne, unite all’inizio del Piemonte, divergono, formando un triangolo con il mare Adriatico, che ne è come la base e racchiudono la più deliziosa pianura del mondo”.
In tempi più recenti, poi, è stato l’Istituto di storia contemporanea di Ferrara a fondare, nell’85, una rivista dal titolo “Padania: storia, cultura, istituzioni”. Conseguenza, forse, dell’idea avuta dal comunista Guido Fanti che, in un’intervista rilasciata al quotidiano La Stampa il 6 novembre 1975, auspicò proprio l’aggregazione di una macroregione costituita dalle cinque regioni della valle del Po, ossia Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Liguria. A questo punto è lecito ipotizzare che qualcosa di davvero inesistente, forse, è la cultura politica di Gianfranco Fini.
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