Quattro articoli interessanti: il primo una intervista ad Andrea Bocelli, dopo le sue rivelazioni sulla madre e il medico che le consigliò di abortire; il secondo sulla graduale islamizzazione della Spagna, all'epoca di Zapatero; il terzo una rievocazione del premio Nobel Saramago, morto ieri: un autore comunista, che ha passato al vita a denigrare il cristianesimo, omettendo di parlarci dei gulag e della più grandi stragi della storia dell'umanità, quelle, appunto, del comunismo ateo.Il quarto: un articolo di Marcello Foa sul Bildenberg, il "governo ombra del mondo"
Andrea Bocelli si racconta al Foglio, col sole in fronte e l’attesa della partita Andrea Bocelli si è stupito quando ha cominciato a ricevere telefonate da tutto il mondo, cioè più telefonate del solito. Volevano sapere di quel messaggio ripreso dai giornali, in cui racconta di sua madre incinta a cui in ospedale era stato consigliato di abortire e che non aveva ascoltato il consiglio.
“Ho detto quelle cose un anno e mezzo fa, in un videomessaggio per padre Richard Frechette (padre Rick), un missionario che lavora per i bambini di Haiti e meriterebbe lui solo un romanzo: feci un concerto, per aiutarlo a costruire la Casa degli Angeli, mi chiese di dire due parole di speranza per le madri in difficoltà e io scelsi di raccontare la storia della mia nascita. Lo feci raccontando la vicenda privata di mia madre senza nemmeno chiederle il permesso, ma non mi ha rimproverato, però non ero preparato a tutto questo clamore a scoppio ritardato”, dice al Foglio, al telefono, mentre la famiglia Bocelli, a Forte dei Marmi, si prepara a seguire la prima partita dell’Italia (“i miei figli e io siamo molto tifosi, durante l’anno interisti”).
“Per quest’occasione ho pensato di raccontarvi una piccola storia, la storia è questa – sorrideva quieto Bocelli suonando il pianoforte – una giovane sposa in stato interessante arrivò in ospedale per un semplice attacco di appendicite, i medici dovettero applicarle del ghiaccio sulla pancia. Alla fine di questi trattamenti i medici le consigliarono di abortire il bambino, perché sarebbe sicuramente nato con qualche infermità, ma la giovane coraggiosa sposa decise di non interrompere la gravidanza e il bambino nacque: quella signora era mia madre e il bambino ero io. Sarò di parte ma credo di poter dire che fu la scelta giusta, e spero che questo possa di essere di incoraggiamento per tante madri che si trovano in momenti complicati ma vogliono salvare la vita del loro bambino. Per salutarci voglio farvi ascoltare una piccola vecchia canzone che ai miei bambini è piaciuta molto”.
E via: “Voglio vivere così col sole in fronte e felice canto beatamente, voglio vivere e goder l’aria del monte perché quest’incanto non costa niente”.
Ora si imbarazza a parlarne, per lui non è nulla di straordinario: è la storia della sua vita, non c’è stato un momento preciso in cui sua madre gliel’ha raccontata, l’ha sempre saputa, “sono quelle cose che girano per casa”. Ma la consapevolezza dello scampato pericolo e di avere una madre molto coraggiosa avrà influito sui comportamenti di un bambino non esattamente come gli altri (si accorsero presto che al piccolo Andrea, di pochi mesi, dolevano molto gli occhi azzurrissimi e cominciò una lunga consuetudine con gli ospedali, con una biciclettina da usare in corsia per farlo sfogare un po’ e in seguito, per sei anni, un collegio speciale, come racconta Bocelli stesso in una vecchia autobiografia).
“Forse sì, forse ho ereditato nel Dna il coraggio di mia madre, ora mi sono calmato, ma da bambino e da ragazzo ero uno spericolato, un’incosciente: amavo la velocità, buttarmi a rotta di collo con la Vespa o a cavallo, lanciarmi col paracadute, nascondermi nei trattori, al paese ancora mi raccontano le mie scorribande notturne”.
E’ anche per questo che non vuole mai parlare della cecità, “perché davvero nella mia vita ci sono cose molto più importanti da raccontare: la mia vita è una fiaba, la storia di un bambino che non vedeva l’ora di andare a messa la domenica perché alla fine gli avrebbero permesso di suonare un po’ l’organo, che ha seguito un sogno e a un certo punto quel sogno si è realizzato” (Bocelli si corregge, aveva detto: “L’ho realizzato”, ma è attento a non lodarsi, a non fare la star, è orgoglioso di uno dei figli che è tornato dal college in Inghilterra senza che nessuno sapesse che è il figlio di Bocelli, il cantante italiano più famoso al mondo, il tenore da settanta milioni di dischi, l’ex ragazzino di Lajatico che si arrampicava sui davanzali a quattro anni).
“Una mattina, a Torino, cammino col bimbo per mano lungo un viale del centro alla ricerca di una fermata del tram. Mi fermo alla prima che trovo e mi distraggo un attimo per dare un’occhiata a una vetrina, mi volto e mi sento rimescolare il sangue: il bimbo non c’è più. Disperata, guardo da tutte le parti… non c’è. Lo chiamo: nulla! Non so come alzo gli occhi, non sapendo più dove guardare, e te lo vedo lassù: s’era arrampicato fino in cima al palo della fermata”, racconta ancora adesso la madre di Bocelli.
“Ricordo bene l’angoscia dei miei genitori, mi ficcavo sempre nei guai, ora che sono un padre apprensivo sono felice che i miei figli siano molto più ragionevoli di me, meno spericolati”.
Spericolato, incontenibile, ma anche capace di chiudersi ore nella stanza del pianoforte ad ascoltare musica e suonare (“musica classica, niente pop, infatti gli amici mi schernivano, così ho sviluppato, per rabbia, un rapporto conflittuale con la musica moderna: l’ho scoperta solo da grande, quando ho iniziato a suonare nei piano bar per raggranellare un po’ di soldi, ma anche allora preferivo Frank Sinatra, Mina, Ornella Vanoni”).
La musica non è stata un innamoramento consapevole, ma una cosa fortissima che aveva nel sangue già da neonato. “Mia madre mi racconta che smettevo di piangere appena sentivo una melodia, anche attraverso il muro nella stanza d’ospedale: mi giravo verso il suono e ascoltavo incantato”.
Così lo studio, i vinili dei tenori, la vita di campagna con le croste sulle ginocchia e un fratello minore che da piccolo chiamavano “Pace santa” per sottolineare la differenza con lo scalmanato Andrea e che adesso fa l’architetto, la scuola speciale a duecentocinquanta chilometri da casa e il ritorno a Lajatico, in provincia di Pisa, “il mio ombelico, il centro del mondo, il posto dove il 25 luglio ho organizzato un concerto sinfonico e stavolta farò l’attore, leggerò le poesie che ho scritto per il mio paese”.
Bocelli non vuole che il videomessaggio con la storia avventurosa della sua nascita sia considerato o utilizzato come “un intervento contro l’aborto: a parte le mie convinzioni personali, di fervente cattolico, io non combatto mai contro qualcosa, io combatto per qualcosa e sono a favore della vita, così ho voluto aiutare, confortare, le persone che si trovano in difficoltà e che a volte hanno solo bisogno di non sentirsi abbandonate: la forza della vita è dirompente, ma bisogna mettersi in ascolto, tenderle l’orecchio”.
Lui, che non ama parlare di sé (“quando i miei bambini erano piccoli e mi chiedevano perché la gente mi salutava per strada rispondevo che non lo sapevo, e ho insegnato loro che la cosa più importante, per diventare uomini liberi nel giudizio, è l’umiltà”. Oltre allo studio del pianoforte, che rientra fra i doveri non negoziabili, “un giorno capiranno perché”), quindi svicola, si schermisce, bisogna insistere, ritentare, infine rinunciare, vuole invece raccontare della fede, “che mi ha dato la forza che ho, mi ha fatto trovare la ragione per fare le cose che faccio: se si va avanti per puro scopo egoistico, non funziona. La vita prima o poi ti presenta il conto, ma la fede mi dà la voglia di andare avanti, credo che mi faccia cantare meglio, mi aiuta quando sono stanco, è più efficace del ginseng”.
Da adolescente si era distratto, racconta, ma poi ha cominciato a leggere: “Le confessioni” di Lev Tolstoj, ‘I pensieri’ di Blaise Pascal sono stati e sono ancora libri fondamentali per me, li ho letti e riletti nel corso della vita, anche nei camerini nelle lunghe attese prima dei concerti, e in aereo dove passo la maggior parte del mio tempo, e ci ho sempre trovato cose nuove”. (Anche “Le confessioni” di sant’Agostino, anche la Bibbia e i Vangeli). Tra gli scrittori contemporanei (Bocelli è un appassionato di letteratura russa e francese dell’Ottocento), gli piace molto Niccolò Ammaniti. I figli lo chiamano, manca poco alla partita, col sole in fronte saluta e va. © - 16 giugno 2010 FOGLIO QUOTIDIANO di Annalena Benini
Il vescovo di Cordoba dice non all'islamizzazione
“La chiesa cattolica in Europa deve essere più sveglia e vigile. L’islam avanza e i vescovi mi sembrano impreparati. Anch’io nella città di Cordoba cerco di resistere per come posso. Di porre una resistenza, un argine, ma non è facile. Spesso ripenso alla domanda che Benedetto XVI fece ai vescovi spagnoli (io ero appena divenuto vescovo di Tarragona) quando nel 2005 ci ricevette in Vaticano durante un’udienza ad limina: ‘Cosa intendete fare coi musulmani?’ Nessuno sapeva rispondere. Io dissi: ‘Non sappiamo’. E ancora oggi purtroppo molti vescovi dicono: ‘Non sappiamo’. L’islam sta avanzando in Europa. Spesso i musulmani hanno l’appoggio dei nostri governi laici. Sfruttano canali d’immigrazione verso l’Europa che i nostri governi tracciano per loro. Arrivano, fanno figli, si radicano. E noi? Noi non sappiamo come comportarci. Capita che accettiamo molte delle loro richieste. Alcune di queste sono legittime, altre, ad esempio pregare nelle nostre cattedrali come vogliono fare nella nostra Santa Maria di Cordoba, no. Spesso offriamo spazi di dialogo che hanno poco senso. O meglio, che sono senza buon senso. In una parola: cediamo. E questo non è giusto”.
Demetrio Fernández González è vescovo di Cordoba dallo scorso febbraio. Il suo mandato in Andalusia è stato oggetto delle attenzioni dei media di tutto il mondo. Molto fanno discutere in questi giorni le sue prese di posizione nei confronti dell’islam. In particolare il “no” che ha ripetuto ai musulmani che chiedono di pregare nella cattedrale della città, la mezquita.
Tra i governi favorevoli ai musulmani c’è quello di Luis Zapatero. Dice Fernández: “Zapatero ha un progetto preciso con l’islam. E questo progetto purtroppo riguarda Cordoba. Intende fare della città il centro di quella alleanza delle civiltà alla quale chiede che tutte le religioni si pieghino. Assieme alla Turchia sta portando avanti questo progetto senza rendersi conto di cosa significa per i turchi, per i musulmani, Cordoba. Il loro sogno è riprendersi la città. Occupare la cattedrale. Innervare tutta l’Europa della loro presenza. Zapatero vorrebbe che la chiesa cattolica si adegui a questo suo progetto. Ma alla sua alleanza noi non possiamo aderire. Perché la sua idea è quella di un’alleanza senza Dio. Un’alleanza in cui Dio è totalmente estromesso. Un’alleanza dove la nostra identità deve fare soltanto una cosa: scomparire. Due mesi fa Zapatero ha lanciato a Cordoba il primo grande raduno di questa alleanza. Inizialmente, il premier spagnolo pensava che il Vaticano aderisse. E in effetti dalla Santa Sede all’inizio non sono arrivati messaggi chiarissimi. Poi però ci siamo consultati, ci siamo parlati e anche il Vaticano ha capito di cosa si trattava e non ha mandato nessuno. A Zapatero sono bastate le parole dell’arcivescovo di Madrid, il cardinale Antonio María Rouco Varela, che alla domanda se la chiesa avesse intenzione di partecipare al summit ha risposto: ‘Rotundamente no’. ‘Assolutamente no’”.
Perché non vuole concedere ai musulmani di pregare in cattedrale? “Perché è un ricatto non giustificato. I musulmani chiedono di poter pregare dicendo che per quattro secoli questa cattedrale era loro e dicendo che lo splendore architettonico della cattedrale lo si deve a loro, ai loro interventi. Io contesto tutte e due queste argomentazioni. Prima che fosse una moschea la nostra cattedrale era un luogo di culto cristiano. Era la basilica di san Vicente. I musulmani la occuparono e la ampliarono. Ci misero i soldi. Tanti soldi. Ma gli architetti li presero da Damasco. Erano tutti cristiani. L’architettura non ha nulla di islamico. Semmai ha notevoli influenze cristiane. E’ un equivoco culturale affermare che la mezquita è un esempio di architettura islamica. Di musulmano non ha nulla, se non i soldi che l’islam ci ha messo. Oggi i musulmani e molte persone che fanno parte dell’intellighenzia laica del paese dicono alla chiesa cattolica: ‘Fate pregare i musulmani nella cattedrale quale segno di apertura e di amicizia’. Io dico loro che non è possibile concedere questo ‘uso compartido’ e per questo motivo mi accusano d’essere integralista. Invece sono cattolico e difendo il diritto dei cattolici di rimanere nella loro cattedrale. Se oggi concedo ai musulmani di pregare una volta al mese, l’anno prossimo vorranno pregare una volta la settimana. Poi consacreranno il luogo di culto e non permetteranno più a nessuno di entrare”.
Come deve impostare la chiesa il dialogo con l’islam? “Deve tornare al sinodo speciale del 1985 quando Papa Wojtyla spiegò la giusta interpretazione del dialogo interreligioso sancito nel Concilio. Dopo il Concilio vi furono troppe aperture maldestre. I musulmani devono essere accolti ma nel giusto modo”.
Pubblicato sul Foglio mercoledì 16 giugno 2010
SARAMAGO
LETTERATURA. È morto ieri lo scrittore portoghese, premio Nobel nel ’98: nei suoi romanzi la polemica verso il cristianesimo fino alla blasfemia
Sopravvalutato dalla cultura radical chic, ha assolutizzato nella scrittura un’incapacità di comprendere il trascendente. Ma così i suoi racconti risultano fin «troppo umani»
DI FULVIO PANZERI
Ci sono scrittori che, per essere al centro dell’attenzione mediatica e per distogliere il giudizio dalla poco rilevante qualità delle loro opere, amano mettersi al centro dell’attenzione attraverso polemiche e attacchi mediatici. È il caso di Josè Saramago, lo scrittore portoghese scomparso ieri, all’età di 87 anni, lasciando nel suo computer un romanzo non concluso sul traffico d’armi, vincitore di un premio Nobel nel 1998 più per le sue controverse posizioni che per l’ effettiva grandezza della sua opera. Saramago è stato uno scrittore notevolmente sopravvalutato in maniera esagerata in Italia, già acclamato da una decina d’anni come un classico del Novecento quando già oggi molte delle sue opere più famose risultano effettivamente datate e non certo indimenticabili. Basti pensare alla sproporzione dei riconoscimenti che la cultura radical chic ha voluto dedicargli: nientemeno che due volumi di opere nei Meridiani Mondadori; due lauree honoris causa all’Università di Roma e di Siena, un interesse, di cui si capiscono poco le ragioni, verso i suoi testi teatrali (dei quali uno dedicato alla figura di San Francesco, immaginando una «seconda vita» per il Santo d’Assisi in cui continua la sua predicazione in un mondo in cui le sue parole non risuonano più); la ripubblicazione, in questi mesi, di gran parte dei suoi libri nell’Economica Feltrinelli, quando già tutta era disponibile da Einaudi.
Nato nel 1922 in Portogallo, ateo convinto e irriducibile, con i suoi romanzi ha voluto soprattutto condurre una personale e blasfema campagna contro la tradizione cristiana e cattolica attraverso romanzi, quali Memoriale del convento del 1982, con il quale raggiunge il successo di critica e di pubblico, ambientato nel Portogallo del primo Settecento, dominato dall’Inquisizione in cui incrociano i loro destini re e mistici, soldati e veggenti, musicisti e monaci. Nel 1990 con Il Vangelo secondo Gesù Cristo che suscitò polemiche per l’interpretazione della figura del Nazareno, anzitutto in Portogallo, dove il libro fu pubblicato in prima edizione, polemiche che lo costrinsero a lasciare il paese per trasferirsi alle Canarie, dove è vissuto fino alla morte, poi in tutti i paesi in cui è stato tradotto. Saramago rilegge una figura di Gesù Cristo priva della dimensione divina, in una prospettiva solo umana, anzi troppo, al punto da escludere qualsiasi prerogativa legata alla tradizione cristiana. In questo romanzo, più provocatorio che ispirato, non si discosta da quanto raccontato nel Nuovo Testamento, anzi segue fedelmente le vicende di Gesù, destituito però di quella Grazia che gli deriva dalla natura divina. Con una situazione paradossale, nell’economia dell’opera stessa: non è Saramago a distruggere la figura di Gesù, ma è il Cristo senza Dio a mettere k.o. il romanzo di Saramago.
Le libertà che si prende sono ampie e audaci, come quella di descrivere Gesù come una persona normale, un giovane uomo in perenne conflitto tra paure e ansie. O l’altra che vede Maria Maddalena come l’unica persona in grado di soffrire per la morte di Cristo, abolendo la figura della Madonna.
Non c’è inventiva nella sua «reinvenzione » ma solo necessità di invettiva, soprattutto là dove i miracoli sono raccontati senza fede, così che Gesù viene intuito come in balìa della volontà di potenza di un Dio padre distante e indifferente al dolore che provoca. Questo della «tirannia» di Dio sugli uomini è uno dei punti su cui Saramago ha sempre insistito, nell’impossibilità non tanto di riconoscere quanto di interpretare la natura del Dio cristiano. È emblematico che così abbia espresso una delle ragioni del suo ateismo: «La storia degli uomini è la storia dei loro fraintendimenti con dio, né lui capisce noi, né noi capiamo lui». E qui sta l’errore interpretativo di Saramago: aver voluto assolutizzare un’impossibilità personale a capire come una verità assoluta, così che la sua invettiva contro l’evento cristiano risulta essere una sfida ai mulini a vento, una sorta di ossessione verso la propria impossibilità a capire.
Nel 1995 pubblica Cecità, dalla critica considerato il suo capolavoro, in cui traccia una visione desolata dell’uomo contemporaneo in un racconto metaforico che mette in luce la visione di un’umanità incapace di distinguere le cose con razionalità, tra abbrutimento e crudeltà. Con l’ultimo romanzo, uscito lo scorso anno e tradotto da Feltrinelli, ritorna alla sua invettiva contro il cristianesimo rileggendo la Genesi. Pure in questo Caino l’invettiva vince sull’invenzione: qui la tesi è la stessa sostenuta nella rilettura del Vangelo, quella di un 'dio' malvagio, ingiusto e invidioso, che non ama gli uomini, le sue creature. È quel Dio che Saramago ha voluto mettere alla berlina. Incapace di comprenderlo, lo scrittore ha tentato di distruggerlo. Senza riuscirci. Le sue sono state solo parole. Spesso brutte parole, senza storia.
Da Avvenire 19 giugno 2010
10Jun 10
Il Bilderberg è il club più esclusivo del mondo, a cui partecipano grandi leader politici e dell’economia americani ed europei. Quel che caratterizza questo club è l’assoluta segretezza. Esistono altri consessi di potenti, come il Forum di Davos; ma nessuno di questi agisce nel riserbo totale e a nessuno dei partecipanti è imposto di non svelare nulla degli argomenti discussi durante i lavori.
Al Bilderberg invece vige la regola del silenzio assoluto: non solo non si può riferire niente, ma non si può nemmeno ammettere di farne parte.
Da qualche anno,però, le liste dei partecipanti escono grazie a qualche talpa. Se volete sapere chi c’era al vertice che si è appena svolto in Spagna potete cliccare qui. Troverete l’élite mondiali e molti nomi italiani importanti:
- Franco Bernabé,amministratore delegato Telecom Italia, ex presidente Eni
- Fulvio Conti, numero uno dell’Enel
- John Elkann, presidente della Fiat
- Mario Monti, presidente della Bocconi ed commissario Ue
- Tommaso Padoa Schioppa, ex ministro del Tesoro
- Gianfelice Rocca, presidente di Techint
- Paolo Scaroni, Ceo dell’Eni
Secondo i cospirazionisti il Bilderberg è il vero governo del mondo, composto di due organismi, lo Steering Commitee, formato da 33 persone, e l’assemblea plenaria.
Io penso invece che il Bilderberg sia il luogo dove le élite vengono selezionate e dove vengono trasmesse idee e programmi. Questa mia impressione è rafforzata dalla citazione più importante che ho trovato in questi giorni, sul Guardian, l’unico quotidiano di rilevanza internazionale che ha tentato di seguire il vertice.Impresa difficile, perché il summit era protetto da un dispositivo di sicrezza impressionante.
Come riferisce l’inviato Charlie Skelton , l’ex segretario della Nato, Willy Claes, membro del Bilderberg negli anni Novanta, si è scoperto, forse involontariamente. Parlando a una radio belga pochi giorni fa ha dichiarato che “ogni partecipante riceve un documento e si ritiene che i membri lo usino per determinare le politiche nelle rispettive aree di influenza”.
Ovvero: il Bilderberg stabilisce un’agenda e impartisce direttive ai suoi membri. Un segretario generale della Nato mi sembra una fonte credibile e l’ammissione è inquietante. Sorgono alcuni dubbi:
Quali indicazioni contiene il report distribuito quest’anno?
I membri sono obbligati ad applicarne le direttive o si tratta soltanto di un auspicio?
E’ emersa una linea comune al vertice in Spagna?
A chi viene dato il documento oltre ai presenti?
Sono domande doverose per un giornalista, tanto più se riguardano personaggi importanti, come i numeri uno delle principali società italiane e il presidente della Banca d’Italia, Mario Draghi, da tempo membro del Bilderberg (anche se, a quanto pare, in Spagna era assente). Ma credo che nessuno risponderà e che nessuno dei giornalisti membri del club (della Washington Post, del Financial Times, dell’Economist, del New York Times), violerà le consegne.
Eppure l’opinione pubblica dovrebbe sapere. O sbaglio?
AGGIORNAMENTO In queste ore è emersa una novità importante. Il Bilderberg ha aperto un sito ufficiale. E’ minimalista, fatto in grande economia (hanno chiaramente adottato un template gratuito) e dice di fatto pochissimo. Probabilmente sono stati spaventati dal fatto che il Guardian si sia occupato per due anni di fila di loro e tentano di apparire meno chiusi e misteriosi.
Al contempo ho scoperto un altro dettaglio importante: la lista degli invitati non è esaustiva. A molti membri è consentito di non apparire in alcun modo, nemmeno nei documenti interni. Arrivano, partecipano ma della loro presenza non rimane traccia. Ad esempio, secondo fonti credibili nel 2008 sia Hillary Clinton che Barack Obama parteciparono al summit che si svolse a Chantily, in Virginia; ma negli elenchi i loro nomi non appare. Così è molto probabile che molti altri personaggi abbiano partecipato al vertice in Spagna. Secondo liste informali ci sarebbero stati anche Mario Draghi, Domenico Siniscalco e Romano Prodi o comunque sarebbero stati invitati.