Di fronte alla massiccia campagna Prodico (Prodi+Dico) scatenata in questi giorni dai grandi mass media italiani (e locali) contro la Chiesa che con il Cardinale Ruini ha preannunciato una nota destinata ad impegnare i politici cattolici a difendere la famiglia naturale bocciando il disegno di legge approvato dal governo per riconoscere le cosiddette "coppie di fatto", suggerisco a tutti di leggere ogni giorno Il Foglio e Avvenire. E proprio dal "Foglio" del 17 febbraio propongo di seguito questo arguto e gustoso articolo di Camillo Langone.
"I vescovi facciano i pastori e non i politici”, dicono, e per una volta hanno ragione. Parlando a vanvera può capitare di centrare casualmente il bersaglio. Sul quotidiano della Margherita, Europa, Alberto Monticone, Angelo Bertani e Aldo Maria Valli cercano di insegnare il mestiere ai vescovi e indicano, senza volerlo, la strada da seguire. Che i vescovi facciano i pastori, giustissimo, e pazienza se i tre volevano dire tutt’altro.
Nessuno di loro sembra provenire dalle regioni in cui la pastorizia ha radici più salde: Abruzzo, Lucania, Sardegna… Nessuno mostra di sapere che ancora oggi, nonostante il divieto assoluto di caccia, i pastori appena vedono un lupo sparano. Sull’appennino lucano, inerpicandosi da Tursi verso il Pollino, non è difficile vedere pelli di lupi appese alle porte degli stazzi. Ai pastori non gliene frega niente del Wwf, dei Verdi e della legge 968, vedono un lupo e gli sparano, lo scuoiano e lasciano la carcassa ai cani e ai corvi. Solo a quel punto gli chiedono se aveva fame e quali erano le sue intenzioni. Uomini rudi per i quali la salvezza delle pecore viene prima, molto prima, del rispetto delle buone maniere.
Perciò i cattodemocratici che vogliono una gerarchia molliccia devono dire esattamente il contrario: “I vescovi facciano i politici e non i pastori”. Secondo Monticone, un mangiaostie a tradimento che scrive papa minuscolo e Costituzione maiuscola, la Chiesa non deve compiere “atti di rilevanza politica”. Deve essere quindi irrilevante. E proseguire la “costruttiva tradizione dell’episcopato italiano degli ultimi anni”, quelli durante i quali molti pastori si distrassero e i lupi scesero a valle: divorzio, aborto, nuove chiese progettate da architetti anticristiani, declino della domenica…
Bertani dice che Ruini sta cercando di resuscitare il passato e non il Vangelo, può darsi, intanto lui sta cercando di strappare dal Nuovo Testamento la Lettera ai Romani.
Valli intervista alcuni parroci allo sbando secondo i quali il vero problema è la mancanza di lavoro. Il Vaticano invece di prendersela coi matrimonietti dovrebbe costruire fabbriche al sud, sembra di capire. Un prete dice che i suoi parrocchiani non credono più nell’indissolubilità del matrimonio e nell’obbligo di andare a messa però ha trovato una ricetta: l’ascolto. Insomma il gregge si sta sparpagliando in ogni direzione e lui si è messo a registrare i belati.
Su Repubblica c’è l’arcivescovo di Pisa, monsignor Plotti, che teme la nota vincolante sui matrimonietti e invoca collegialità. Come se i pastori del Pollino, quando il branco di lupi esce dal bosco, chiedessero la convocazione della conferenza allevatori lucani per decidere se imbracciare le doppiette. Ma quando mai.
I vescovi devono appunto tornare a fare i pastori, senza lasciarsi guidare dal gregge e meno che meno dai mangiaostie a tradimento che non sono veri cristiani ma veri roussoiani (non riconoscono il peccato originale, pensano che i lupi siano buoni o forse vittime di una società ingiusta che li ha resi carnivori)."