Finalmente Emilio Arisi va in pensione. Lo annunciava l’Adige di ieri, in un articolo, come sempre piuttosto unilaterale, di Patrizia Tedesco. Si diceva che il ginecologo è stato “sempre dalla parte delle donne”.
Il lettore avrà dunque immaginato esserci ginecologi nemici delle donne, che forse praticano quel mestiere per esercitare chissà quali terribili crudeltà sulle povere malcapitate. Ma forse l’espressione “dalla parte delle donne” sta invece ad indicare per l’articolista, nutrita dei più banali luoghi comuni, che l’attività eminentemente abortista di Arisi lo colloca di diritto tra gli amici, appunto, del genere femminile. Come se l’aborto eliminasse solo maledettissimi maschi, e non anche, benedettissime femmine; come se l’aborto non fosse, per ogni donna, una sconfitta terrificante.
Su “Contraccezione, sessualità, salute riproduttiva”, rivista diretta proprio da Arisi, si poteva leggere che le donne, dopo aver abortito, ne soffrono tutta la vita:
“Sia che la donna cerchi di cancellarne il ricordo, sia che continui a sentirne il peso, si tratta comunque di un lutto che si porterà dietro tutta la vita. E’ una scelta che influenzerà anche il rapporto con il partner e con gli eventuali partner successivi, una scelta che peserà nuovamente in caso di altre gravidanze” (Manuela Lerda, n.2, settembre 2007).
Eppure non è questo che il dottor Arisi predica sovente dal pulpito dei compiaciuti giornali trentini. Anzi, sembrerebbe, a leggerlo, che l’aborto sia un nulla di fatto, chirurgico o chimico che sia. Ebbene, dopo tanti e tanti anni, Arisi lascia: forse qualcuno dovrà pur dirlo che prima di lui, altri ginecologi del santa Chiara, non certo meno stimati, hanno abbandonato anche a causa della sua posizione ideologica, del suo ostracismo verso chi aveva visioni diverse.
E forse bisogna anche chiedersi come mai nel Trentino amministrato da tanti anni da giunte catto-progressiste, il primario di ginecologia sia stato scelto tra un uomo famoso soprattutto per le sue posizioni pro-aborto.
Il discorso però ci porterebbe ad altre domande: come mai il Trentino, una regione sino a poche decine di anni fa così ancorata a certi valori, è oggi all’avanguardia nella disgregazione sociale e familiare?
I dati ci dicono che all’epoca del referendum sul divorzio, il Trentino fu una delle pochissime zone d’Italia in cui prevalse il voto contro il divorzio. Invece oggi siamo una delle regioni col più alto tasso di fallimenti matrimoniali (oltre che di suicidi). “In Trentino falliscono 6 matrimoni su 10”, titolava qualche tempo fa il quotidiano Trentino, aggiungendo che anche il numero dei matrimoni è molto diminuito. Una Caporetto umanitaria.
Gli ultimi dati della Provincia parlano di 1.270 divorzi all’anno contro 1.894 matrimoni! In 30 anni dunque , se si confrontano i dati, le separazioni e i divorzi si sono quintuplicati! E dietro, quanta violenza! Quanti figli abbandonati! Quanti figli vittime dell’immaturità affettiva, dell’egoismo, dei capricci, dei loro genitori! Quanti genitori vittime di questa cultura che pone l’aborto, come il divorzio, tra i diritti, quasi fosse cosa normale, e non, quantomeno, un terribile dramma! Chi oggi ha il coraggio di dirlo, che una società come quella nostra si disintegra?
Persino l’assessore Rossi, del Patt, che dice di essere un partito che si riferisce alla dottrina sociale della Chiesa (chi se ne è mai accorto?), ha spiegato che la mediazione familiare serve… a far separare i genitori nel modo più pacifico possibile! Capito? Non serve a provare in tutti i modi a scongiurare la separazione. Non serve ad aiutare i coniugi a superare un momento difficile. A sostenerli, nella difficoltà! A provarci, quantomeno…No, il tabù del diritto al divorzio, fa sì che i mediatori familiari si riducano a dire: “Certamente, separatevi pure, è un vostro diritto…ma cercate di litigare poco, mi raccomando…”.
Da dove questo sfascio? Certamente il cattolicesimo tentino è il primo a dover fare un esame di coscienza: si è sempre più trasformato in un cattolicesimo utopico, marxista, tutto Africa e terzo mondo, molto poco concreto. Invece che lievito, è diventato sale insipido, insapore. E il suo seminario, che un tempo conteneva 400 seminaristi, oggi è semivuot…se l’albero si vede dai frutti… E mentre si pontifica di continuo sui lontani, i nostri figli e le nostre famiglie si disgregano, e vivono una povertà ben più terribile di quella dei paesi poveri. Questo cattolicesimo adulterato si è sempre attestato, politicamente, a sinistra: in nome della lotta a favore dei più deboli, i più deboli sono stati sacrificati! I figli uccisi nell’utero materno, i figli senza genitori…sballottati da una casa all’altra, da un genitore all’altro, da un amante all’altro. Quanto ai soldi, Grisenti e compagnia hanno saputo usarli, certamente non per i poveri….
Il tutto sotto il capello della tanto decantata “autonomia”. Che ha significato, purtroppo, soprattutto soldi, e poco più. Soldi e benessere materiale, senza altro. Siamo così, oggi, una città drogata di sovvenzioni, favori, corruzione, clientele, in cui il Dellai di turno distribuisce a tutti, o quasi, tramite posti pubblici, consulenze, festival dell’Economia (al modico costo, per le finanze pubbliche, di 900.000 euro) che richiamano a Trento banchieri e potenti del mondo (e della sinistra al caviale). Era destino che il catto-comunista Dellai, alla fine, si incontrasse con l’uomo degli Agnelli, della Finanza, dell’aureo mondo degli impomatati e dei fighetta: Luca Cordero di Montezemolo (o qualcuno degli altri illustri danarosi invitati al Festival...Festival forse creato da Dellai per farne, coi soldi pubblici, il trampolino di lancio per la sua futura carriera, al di fuori del Trentino?).
E intanto, il Pil della felicità, a Trento, non cresce di certo…