Basso, storia di un campione ritrovato
Di Giuliano Guzzo (del 31/05/2010 @ 17:22:52, in Attualitą, linkato 1371 volte)

Lasciamo da parte per un momento i temi caldi dell’etica per battere le mani a lui, il fresco vincitore del Giro d’Italia 2010, Ivan Basso. La storia di questo campione, dal punto di vista sportivo ed umano, presenta profili di grande interesse che meritano di essere ricordati. Classe 1977, inizia a correre e a vincere in bicicletta all’età di 6 anni e a Valkenburg, nel 1998 , si laurea campione del mondo under 23. La consacrazione sportiva arriva negli anni 2004 e 2005, quando, al Tour de France, arriva per due volte sul podio, subito dopo l’americano Lance Armstrong. A quel punto Ivan Basso tocca l’apice della sua carriera e nel 2006, con una prestazione impressionante, stravince il Giro d’Italia. Sembra invincibile e finalmente pronto a battere Armstrong sulle strade di Francia.

Ma proprio alla vigilia del Tour 2006, il giorno prima della partenza, l’incantesimo di Basso si frantuma sotto i colpi dell’ Operación Puerto, una maxi indagine sportiva che vede il dottor Eufemiano Fuentes, medico di diverse squadre ciclistiche, e Manolo Saiz, al momento dell'arresto direttore sportivo della squadra Liberty Seguros, a capo di una organizzazione che si dedicava alla gestione di autoemotrasfusioni, alla vendita di sostanze dopanti, quali EPO, ormoni della crescita, anabolizzanti, e alla pianificazione del loro utilizzo. Per Basso è la fine: viene espulso dal Tour e, poco dopo, licenziato dalla squadra. All’inizio il campione nega le proprie responsabilità, ma le prove si fanno sempre più schiaccianti: nel laboratorio di Fuentes vengono ritrovate, tra le altre, sacche di sangue etichettate col nome “Birillo”, lo stesso del cane del campione varesino che, dopo iniziali e confuse giustificazioni, vuota il sacco: è lui Birillo, quel sangue è il suo.

Un’ammissione che, qualche mese più tardi, non servirà ad alleggerirgli la squalifica, che sarà di due anni. Qualunque sportivo sa bene che due anni di stop e di lontananza dalle gare equivalgono, quasi sempre, alla fine di una carriera. Ma Basso promette subito che tornerà, anche se sono in pochi in credergli. Anzi, si teme che faccia la fine di Marco Pantani, il Pirata di Cesenatico caduto nel vortice mortale droga. Ma dalla sua, rispetto allo scalatore romagnolo, Basso ha avuto un aiuto fondamentale: quello della sua famiglia. La moglie Micaela e i piccoli Domitilla e Santiago non hanno mai smesso di credere in lui, anche se all’inizio, per Basso, lo stop è stato tremendo: “Ci sono stati mesi tra il 2007 e il 2008 che mi svegliavo di notte, guardavo Micaela, i nostri due figli, Domitilla e Santiago, dormire tranquilli. E mi chiedevo angosciato che cosa ci facevo lì. Come potevo meritarmeli? Allora mi alzavo ben prima delle 7 e iniziavo allenamenti solitari massacranti. Sino a 8, 9 ore. Certi giorni mi si chiudevano gli occhi dal sonno. Dio solo sa quanti caffè mi prendevo nei baretti sulla strada. Era il buio, l’angoscia”.

Poi, anche quel tunnel è finito, e Basso lo scorso anno è tornato alle competizioni. E l’ha fatto all’insegna della trasparenza: da qualche anno, infatti, mette su internet tutti gli esiti delle sue analisi, in modo da far capire ai suoi tifosi che non ha più nulla da nascondere. I risultati conseguiti nel 2009 sono stati buoni, ma non eccellenti: quinto al Giro e quarto alla Vuelta di Spagna. Piazzamenti non ottimi ma prevedibili per chi è stato due anni lontano dalle corse. Infatti, in realtà, l’appuntamento con la riscossa definitiva Basso l’aveva quest’anno. E l’ha centrato in pieno, trionfando ieri a Verona, al termine di un Giro d’Italia appassionante e durissimo. E’ uno dei pochi ciclisti ad aver confessato il proprio problema col doping e ad aver pagato per questo, ed è il primo ciclista nella storia ad essere tornato a vincere una grande corsa a tappe dopo due anni di stop.

Oltre alla famiglia, il suo segreto è la fede: ad un giornalista che lo interrogava sulla sua determinazione e su come riesca ad affrontare le prove ciclistiche e non solo, Basso ha risposto in modo molto diretto:”Prego”. Che per il campione varesino la fede conti molto lo si è capito anche nella penultima tappa, quando una tifosa gli ha regalato un santino e lui se l’è portato dalla partenza al traguardo proprio nella frazione per lui più insidiosa, dove rischiava di essere colto di sorpresa dagli attacchi degli altri campioni. A giudicare dal trionfo scaligero di ieri, si direbbe che la Provvidenza abbia dato a Basso un aiuto importante. Così come la famiglia: è stata infatti la notizia dell’arrivo del terzo figlio, pochi giorni fa, a dare al campione varesino la forza di imporsi sulle rampe della salita più dura d’Italia, quella dello Zoncolan, e di iniziare così la sua efficace rincorsa alla maglia rosa.

In un mondo di eroi negativi, di prepotenza ed inganno, il vincitore di questo Giro d’Italia ha una grande storia da raccontare. La storia di un uomo cresciuto vittorioso sulla bicicletta, caduto nel baratro sportivamente più profondo - quello del doping – e poi rialzatosi, come solo i grandissimi sanno fare. La storia di uno sportivo che ha nei rapporti affettivi della famiglia i segreti dei suoi allenamenti, e nella fede le energie più preziose. La storia di un grande atleta italiano, che ora si appresta a sfidare, dopo cinque anni, i giganti del Tour de France. Comunque andrà, gli dobbiamo già un ringraziamento: non è facile, tanto più al giorno d’oggi, poter raccontare la storia di un uomo che, sbandato nelle debolezze, riesce a ritrovare la strada giusta e a riportarsi in modo trasparente sul gradino più altro del podio. Anche per questo grazie di tutto, caro Ivan.