Storie incredibili: quando il piano è inclinato. Molto inclinato.
Di Lorenzo Schoepflin (del 27/05/2010 @ 22:38:30, in Eutanasia, linkato 1331 volte)

Incollo qui di seguito un mio articolo dedicato a Barbara Wagner, Michael Freeland, Amelie Van Esbeen e a tutti coloro che nei Paesi dove sono in vigore leggi che consentono eutanasia e suicidio assistito rischiano di finire nel tritacarne del "fine vita". Quando il vessillo dell'autodeterminazione nasconde la complicità nella, se non la volontà di, eliminazione di malati, depressi, anziani. DA AVVENIRE, INSERTO E' VITA, DEL 27 MAGGIO 2010. Oregon, giugno 2008. La signora Barbara Wagner scopre che il tumore ad un polmone, che da due anni aveva smesso di tormentarla, sta di nuovo progredendo in modo preoccupante.

Gli oncologi le prescrivono medicinali allo scopo di rallentare l’avanzamento della malattia ed allungare l’aspettativa di vita di Barbara. Alla signora viene però comunicato che l’Oregon Health Plan, il piano di contributi per la sanità dell’Oregon, non garantisce copertura finanziaria per quel tipo di medicine. La signora Wagner, nel caso in cui avesse voluto optare per servizi sanitari passati dalla mutua, avrebbe dovuto scegliere: cure palliative o suicidio assistito.

Non è la trama di un romanzo thriller, ma quanto successo veramente in Oregon, uno degli Stati pionieri per quel che riguarda l’approvazione di leggi permissive in tema di eutanasia e suicidio assistito. Fortunatamente la signora Wagner fu aiutata dalla casa farmaceutica che produceva le medicine prescritte, ma non c’è dubbio che questa storia, come molte altre, mostri in modo evidente a quali abusi di ogni tipo si giunga una volta che si aprano le porte alla dolce morte ed al diritto all’assistenza medica al suicidio.

Arriva ancora dall’Oregon, dove il Death with Dignity Act, la legge che regolamenta il suicidio assistito per i malati terminali è stata approva nel 1997, la vicenda di Michael Freeland. Il caso fa scuola, essendo il primo, relativamente all’Oregon, per il quale viene resa disponibile l’intera storia clinica del paziente. Freeland è poco più che sessantenne quando gli viene diagnosticato un cancro.

L’uomo, che “aveva una lunga storia di seria depressione e di precedenti tentativi di suicidio”, viene così affidato ad un ospedale psichiatrico da alcuni medici, che temono possa tentare nuovamente di togliersi la vita. Nonostante questo, un medico attivista pro suicidio assistito consegna a Freeland la dose letale di medicinali da ingerire che non gli viene sequestrata neppure quando è accertata la sua incapacità di prendere decisioni per la propria salute.

Solo l’intervento dell’associazione Physicians for Compassionate Care (Medici per le cure compassionevoli) garantisce che vengano intensificate le cure palliative, che migliorano la situazione a tal punto da far desistere Freeland dai suoi intenti suicidi. I casi riguardanti soggetti depressi ed in generale persone con problemi psichici e le forzature da parte di militanti schierati per il diritto a morire costituiscono il filo conduttore che porta dritti in Europa.

E’ il maggio 2009 quando Dignitas, la nota associazione svizzera che fornisce assistenza al suicidio, finisce al centro di indagini per aver aiutato a morire Andrei Haber, un rumeno da tempo afflitto da depressione. Il giudice Philippe Barboni si trova di fronte ad un vero e proprio abuso: “Questo caso presenta un fatto particolare – dichiarò Barboni – la persona non soffriva di una seria e incurabile malattia. […] Le sue motivazioni erano essenzialmente psicologiche”.

I dubbi sull’operato di Dignitas sono molteplici. A fine aprile, in occasione del ritrovamento di urne cinerarie nei fondali del Lago di Zurigo, i sospetti si concentrano tutti su Dignitas. “Lo hanno sempre fatto”, ha denunciato Soraya Wernli a proposito della prassi di gettare almeno un’urna su tre nel lago.

La Wernli è un’ex collaboratrice di Dignitas, uscita perché resasi conto che sotto le rassicuranti sembianze dell’omicidio compassionevole esibite dall’organizzazione presieduta da Ludwig Minelli, si nascondeva in realtà una “macchina del profitto”.

La legge svizzera stabilisce che è illegale contribuire alla morte di un paziente se si configura un guadagno per chi fornisce assistenza: nonostante questo, notava il quotidiano Telegraph nel gennaio 2009, Minelli è divenuto milionario grazie all’aiuto al suicidio fornito ad almeno 870 malati terminali.

 Ma morte procurata in Europa non significa solo Svizzera: in Belgio e Olanda, dove le leggi sul fine vita risalgono al 2002, non sono mancati casi che hanno destato scalpore.

In Belgio, a fine marzo 2009, Amelie Van Esbeen, una novantatreenne in buono stato di salute, decide che ne ha abbastanza. “Voglio morire ora”, dice l’anziana signora. Ma la legge belga non prevede il diritto all’eutanasia per chi non è allo stato terminale di una malattia e non soffre di dolori insopportabili.

Saranno sufficienti dieci giorni di sciopero della fame ad Amelie per ottenere l’eutanasia tanto desiderata. La legge viene di fatto violata. Anche in Olanda si registra un caso per molti versi analogo a quello della signora Van Esbeen.

Nel novembre 2007 viene incriminato il presidente della Stichting Vrijwillig Leven (Associazione per la vita volontaria). L’accusa è quella di aver aiutato a morire una donna olandese alla quale era stato negato il diritto all’eutanasia poiché non si erano riscontrati i requisiti previsti dalla legge olandese.

Nel maggio 2009 arriva la condanna. I numerosi abusi non sembrano servire da monito per il Regno Unito: è del 24 maggio, infatti, la notizia che per la prima volta si sono applicate le linee guida volute dal Direttore della Procura generale Keir Starmer a proposito di assistenza al suicidio, secondo le quali il reato si configura solo se chi aiuta a morire trae un beneficio economico dal suicidio.

Michael Bateman, che ha assistito la moglie suicidatasi con un sacchetto di plastica e del gas, è stato dichiarato non perseguibile. Bryan Boulter del Crown Prosecution Service, l’organo incaricato delle decisioni su eventuali azioni giudiziarie, ha dichiarato che incriminare Bateman “non ha alcun interesse pubblico” poiché la moglie aveva chiari intenti suicidi ed è evidente che egli ha agito “motivato da compassione”.