Autorità e sacrificio: valori da riscoprire
Di Irene Bertoglio (del 25/05/2010 @ 18:08:14, in Cultura e società, linkato 1357 volte)
L’uomo moderno, rifiutando di seguire gli antichi battistrada, si è illuso di decidere da sé, restando in questo modo assoggettato al vangelo televisivo: siamo talmente bombardati ai messaggi mass-mediatici che rischiamo di vivere trascinati, senza nemmeno rendercene conto. I bambini si trovano ad avere più nonni: la mamma e il papà della fidanzata del papà, la mamma e il papà del fidanzato della mamma! Li si bombarda di attività per riempire affannosamente la loro esistenza: nuoto, calcio, corso di inglese, corso di musica… come se la materialità potesse colmare lo smarrimento di crescere in famiglie sfasciate, in cui si insegna che l’amore eterno non esiste: «gli uomini, fin dall’infanzia, vengono schiacciati dal peso degli affari, dallo studio delle lingue e dagli esercizi, e si fa intendere loro che non potrebbero essere felici se la loro salute, il loro onore, la loro fortuna e quella dei loro amici non andassero bene […] è un modo strano di renderli felici!, direte voi. Che cosa si potrebbe fare di meglio per renderli felici? – Come!, cosa si potrebbe fare? Bisognerebbe togliere loro tutte queste preoccupazioni, perché allora vedrebbero se stessi, penserebbero a quello che sono, donde vengono, dove vanno». Se questo è il frutto dell’abbandono dell’autorità, crediamo sia giunta l’ora di recuperare i valori primordiali: così come per la nostra salute è importante l’autorità medica, dobbiamo riconoscere la necessità di una guida per la nostra esistenza. Il discorso educativo è importante perché quando un popolo è ignorante è più semplice governarlo. Alcuni videogiochi, ad esempio, fanno parte di questa corrotta pedagogia educativa, che sostituisce i valori cristiani con dei “valori” che non contano nulla. Vi è poi una forte propaganda subliminale che mira a propalare il relativismo valoriale e che genera in primis nuove solitudini. Così facendo, i bambini, anche se non ne sono consapevoli, iniziano a prendere confidenza con nomi e simbologie esoteriche. Si vuole dare all’umanità l’idea che Dio non serva più; il sincretismo è il primo passo verso la distruzione della religione: “Dio sei tu” è la grande sottesa verità. Gli effetti di questo edonismo sfrenato sono devastanti, è il dominio del permissivismo. Abbiamo disimparato l’arte di educare; c’è, negli adulti, una paura diffusa di esercitare la propria autorità: sulla scia di Rousseau, le mamme di oggi non dicono più di no e mirano a essere le migliori amiche dei loro figli, creando con loro un rapporto di tipo paritario. Ma un’educazione che prescinde dall’autorità non è più educazione: il concetto stesso di pedagogo riflette l’idea della conduzione e della guida, il termine deriva dal greco paidagogòs e si riferisce allo schiavo che conduceva i ragazzi a scuola: anche i giovani di oggi sentono l’esigenza di essere guidati e sostenuti, di avere dei validi modelli da seguire; diversamente, vivranno disorientati, senza punti di riferimento. La pedagogia che elimina ogni ostacolo ha comportato la nascita di una generazione senza grinta, incapace di seguire con forza una direzione precisa. Chi, in casa, è stato abituato a ottenere tutto, non è stato altrettanto abituato a subire le inevitabili delusioni della vita: al primo ostacolo cadrà, perché potendo avere sempre tutto a disposizione non è stato stimolato ad affrontare le difficoltà. Un bambino sempre esaudito in ogni sua richiesta diventa egoista e incivile perché non avverte l’autorità, non conosce l’esistenza dei limiti sociali. È la dittatura degli immaturi: «l’uomo che non incontra il dolore, rimane per sempre un bambino» (Niccolò Tommaseo). I nostri ragazzi crescono in una famiglia non più normativa ma affettiva: ciò li rende immaturi e tendenti all’autocommiserazione. Dove manca l’educazione al sacrificio nascono il conformismo e l’indecisionismo: uomini di 30-40 anni che non si compromettono per alcun ideale, che si accontentano di vivere senza battersi, senza faticare, senza costruire. Si genera così il virus della noia: «troppo benessere genera il mal-essere, genera i gaudenti scontenti, genera il disagio dell’agio» (Paolo Crepet). La nostra società è ammalata di falsi problemi: avere dei disturbi è diventato una moda, ma il mito della sofferenza è soltanto un fatto di comodo, una giustificazione per rimandare impegni e responsabilità. La nostra generazione è invertebrata: ognuno soffre per qualcosa, ma proprio perché si ha sofferto bisogna dimostrare maturità e disposizione all’impegno. Creare una società di confusi, invece, è oggi un business: genitori e insegnanti sono facilmente propensi ad affidare alle cure dello psicologo un bambino difficile, invece di cercare di scoprire se a fargli perdere l’orientamento sia stato un eccesso di libertà o di attenzioni, i timori dei genitori o i troppi vizi. Quale rimedio? La ricetta è il sacrificio: i bambini, fin da piccoli, devono essere allenati a credere in se stessi, a rendersi indipendenti e a lavorare autonomamente. Crediamo fortemente in ciò che scrisse il grande inventore Thomas Edison: «il genio è fatto dell’1% di ispirazione e del 99% di sudorazione». Rilanciamo la pedagogia dell’ostacolo: i giovani hanno diritto di essere educati al lavoro. Una controcultura sana parte dal desiderio di ciascuno di andare oltre, di capire: bisogna «trasmettere interesse. E quel che più di ogni altra cosa stimola l’interesse è la conoscenza, la passione di conoscere. Non è una ricetta magica, anzi, è una via virtuosa e faticosa ma che, se percorsa, dà un risultato sicuro […] è l’ostacolo oltre il quale c’è un grande premio. Una scuola basata invece sul principio che non bisogna stancarsi mai e tutto deve essere facile come il gioco più banale, crea un esercito di disperati».